Corriere della Sera, 20 agosto 2021
In morte di Angelo Zegna
Diceva che «non bisogna mai mollare». E sull’industria del nostro Paese era ottimista, convinto com’era che avesse la capacità di inventarsi sempre qualcosa di nuovo. Angelo Zegna, imprenditore di uno dei più importanti gruppi italiani, è morto ieri a 97 anni. Lascia i quattro figli, Gildo, Elisabetta, Bendetta e Anna. I funerali si svolgeranno questo pomeriggio in forma privata a Trivero, la città del biellese dove Zegna è stata fondata nel 1910 e dove Angelo ha concluso la sua vita. Pur amando l’Italia, da decenni era residente in Svizzera: si era trasferito a Lugano negli anni Settanta, insieme a una grossa parte delle produzioni per assicurare le consegne degli ordini in un periodo di grandi scioperi. «Vedevamo – raccontava – che c’era un futuro per l’abito su misura, ma lo si può fare solo se si è rapidi, tre settimane al massimo». Si è spento nell’abitazione dove passava le estati in famiglia. E la famiglia era con lui anche ieri.
Angelo era la seconda generazione Zegna, figlio di Ermenegildo, il fondatore. Insieme al fratello Aldo aveva preso in mano l’azienda all’inizio degli anni Sessanta e l’aveva fatta crescere: prima aggiungendo l’abbigliamento ai tessuti; poi iniziandone l’internazionalizzazione e lo sviluppo dei negozi. Aveva passato definitivamente il testimone al figlio Gildo e al nipote Paolo nel 2007 (allora entrambi amministratori delegati) in occasione di un importante cambio della governance: a Gildo la gestione, come ceo, a Paolo il ruolo di ambasciatore della società e della famiglia nella veste di presidente che fino a quel momento era stata dello stesso Angelo. Contestualmente i due rami familiari (i discendenti di Aldo e i discendenti di Angelo) confluivano tutti e liberi in un’unica società di controllo, la Monterubello, secondo uno schema che c’è ancor oggi e che evolverà con l’annunciata quotazione a New York.
Angelo Zegna è stato un imprenditore e un padre amato e rispettato. Carattere curioso, pragmatico, sobrio e appassionato; anche severo, come tanti uomini della sua generazione (era stato al fronte) e come era stato suo padre. Lo raccontava lui stesso in una delle ultime interviste, rilasciata al Corriere: «Mio padre era un uomo molto severo, anche se socialmente molto aperto, e ci ha dato sempre direttive precise. È stato lui a orientare le nostre scelte in base ai nostri temperamenti: io ho studiato scienze economiche e mio fratello ingegneria. D’ altra parte, lo stesso aveva fatto mio nonno Angelo». Il nonno omonimo era orologiaio ma decise di acquistare tre telai e, dei suoi 12 figli, ne fece studiare uno solo. Ermenegildo, dando così il via a quello che oggi è un gruppo da 1,3 miliardi di euro di ricavi nel 2019.
In azienda, Angelo, aveva mosso i primi passi giovanissimo, 12 anni. Ci andava durante l’estate, insieme al fratello Aldo. Trascorrevano metà della giornata in fabbrica e l’altra metà a casa a studiare tedesco con una istitutrice. Parlava fluentemente anche inglese e forse per questo fu un viaggiatore instancabile. L’ingresso ufficiale in azienda avvenne dopo la laurea.
Bene la pratica, ma lo studio non doveva mancare. Diceva che «la formazione delle nuove generazioni è fondamentale» e parlando dei giovani Zegna sottolineava che «tutti dovevano aver trascorso un periodo di lavoro all’ estero e sapere almeno un paio di lingue». Spronava a fare: «I giovani che vogliono possono trovare il loro spazio, se hanno volontà, determinazione, umiltà di imparare». Credeva nei valori trasmessi in famiglia e, se qualcosa andava storto, le colpe maggiori erano dei genitori «che non si fanno carico di dare un messaggio ai figli».