Corriere della Sera, 20 agosto 2021
Cosa c’è nel iato oscuro dell’Universo
S ono immagini veramente spettacolari quelle raccolte dal radiotelescopio Lofar, Low Frequency Array, una rete di migliaia di antenne distribuite in tutta Europa. Mettendo a punto una tecnica innovativa gli astrofisici della collaborazione Astron, che gestisce l’apparato, sono riusciti a migliorare di 20 volte la risoluzione delle immagini raccolte fino a quel momento. Il risultato lascia senza fiato. Ora si può studiare con dovizia di particolari l’evoluzione di galassie lontane e, in particolare il ruolo dei buchi neri super-massicci nella loro formazione.
Si può osservare da vicino il lato oscuro dell’universo, un mondo dominato da immani catastrofi, così lontano dall’immagine di cosmo ordinato e tranquillo che ci è famigliare. Si vedono buchi neri super-massicci annidati nel cuore delle galassie-bambine e intenti a divorare milioni di stelle. Mentre riducono in briciole interi mondi facendoli spiralizzare verso i loro dischi di accrescimento emettono ai poli enormi quantità di materia, sotto forma di getti relativistici, che si propagano nello spazio per migliaia di anni luce.
I lobi di plasma che accompagnano alcuni nuclei galattici attivi, sono talmente spropositati che potrebbero benissimo ospitare l’intera Via Lattea. È il caso di Hercules A, una galassia distante 2 miliardi di anni luce dalla Terra. Se si osserva con un telescopio ottico assomiglia a una comune galassia ellittica come la nostra, ma quando si usano le onde radio si scopre che è molto più massiccia della nostra e soprattutto che il suo nucleo centrale è occupato da un buco nero gigantesco.
Anche la nostra placida Via Lattea nasconde nel suo cuore più profondo Sagittarius-A, un buco nero pesante 4 milioni di volte più del Sole. Una massa certamente mostruosa, ma che impallidisce di fronte a quella del buco nero nel nucleo di Hercules A, che pesa quanto 2,5 miliardi di masse solari.
Le immagini ad alta risoluzione raccolte da Lofar permetteranno di capire con precisione la dinamica di questi fenomeni che hanno giocato un ruolo fondamentale nella formazione delle prime galassie.
La rete di antenne cattura immagini usando frequenze radio FM che, al contrario di quelle della luce, non sono assorbite dalle nubi di polveri e gas che abitualmente nascondono all’osservazione il nucleo delle galassie.
Ma non si tratta semplicemente di «scattare una foto», gli scienziati di Astron sono riusciti a combinare assieme i segnali di più di 70.000 antenne e a farle funzionare come se si trattasse di un unico gigantesco radiotelescopio di 2.000 km di diametro. Per produrre una singola immagine si processano 13 terabytes di dati grezzi al secondo, l’equivalente di trecento Dvd, che vengono poi ridotti e combinati fra loro. Il risultato è stato possibile grazie all’utilizzo di supercomputer, strumenti di calcolo innovativi che, combinati con nuovi apparati per l’osservazione astronomica, stanno rivoluzionando il mondo della ricerca.