Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  agosto 19 Giovedì calendario

Abbracciare gli alberi

Il dramma del Covid che ha devastato anche l’India in questi mesi sembra avere messo la sordina alle legittime pulsioni ambientaliste di tante popolazioni del sub-continente. Eppure, un messaggio continua a farsi sentire, propagato dai seguaci di Sunderlal Bahuguna, l’uomo che ha insegnato all’India moderna ad abbracciare gli alberi. «Siamo diventati i macellai della natura», diceva senza mezzi termini Bahuguna, ucciso dal Covid, a 94 anni, nel maggio scorso. Per oltre mezzo secolo ha guidato uno dei movimenti ambientalisti più singolari del Pianeta: il Chipko, dal termine hindu per «abbracciare». È grazie a lui se, negli anni Settanta, iniziarono le prime proteste in difesa degli ambienti naturali minacciati dalle speculazioni come da tante attività antropiche: con lui e il suo seguace Chandi Prasad Bhatt, le donne nell’Himalaya indiano abbracciarono le piante incatenandosi ai fusti per impedire ai taglialegna di abbatterle. «Dovrete passare sui nostri corpi prima di uccidere i nostri alberi» era la sfida. 
Oggi, abbracciare gli alberi è diventato un mantra planetario, soprattutto dopo la pandemia che da lungo tempo ci sta impedendo di abbracciare altri esseri umani. Ma l’idea di stringersi ai giganti del mondo verde – Bahuguna iniziò abbracciando un Khejri, ovvero una Prosopis cineraria, della famiglia dei carrubi – viene da più lontano e, fin dall’antichità, era alimentata dalla convinzione che cingendo le braccia intorno ai grandi testimoni di boschi e foreste l’uomo potesse in qualche modo proteggerli: in primo luogo dalle minacce che la stessa antropizzazione della Terra alimenta.
Ci sono due date nella storia del Tree-Hugging Movement nel mondo. E due luoghi: entrambi in India. Perché se l’ecologismo moderno celebra le donne che nel villaggio di Mandal, nella regione himalayana, salvarono gli alberi della vicina foresta – era il 1973 – i libri di religione testimoniano la forza di una antica setta indiana, fondata ai margini del Thar Desert, in Rajasthan, da Guru Jambheshwar nel XV secolo: la setta dei Bishnoi. Tra i suoi 29 comandamenti (sei dei quali potrebbero essere stati scritti oggi da Greta Thunberg), il più importante prescrive di abbracciare gli alberi, il secondo di proteggere la fauna selvatica.
Furono i Bishnoi i precursori degli ambientalisti moderni. E a loro si ispirò il carismatico e combattivo Sunderlal Bahuguna, il cui libro The Road to Survival è ancora tra i bestseller della letteratura ambientalista indiana. Erano stati sempre i seguaci del guru Jambheshwar, i Bishnoi appunto, a battersi nel 173o contro il maharaja di Jodhpur, Abhay Singh, che voleva abbattere una foresta per costruire un palazzo: la prima ad opporsi, abbracciando un albero, fu una donna, Amrita Devi: non lasciò la presa neppure quando arrivarono gli sgherri del re, che la uccisero. Altri 363 Bishnoi perirono per difendere i giganti verdi in quello che è divenuto famoso come «il massacro di Khejarli»: la prima grande battaglia in difesa dei polmoni verdi della Terra. 
Altre e importanti lotte, due secoli e mezzo dopo, le avrebbero portate avanti i seguaci del Chipko Movement: è grazie a loro se l’India non ha distrutto negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso gran parte del proprio patrimonio forestale. Nel 1980 il movimento ottenne dall’allora primo ministro indiano Indira Gandhi la firma di una legge che vietò per 15 anni il taglio degli alberi nelle aree himalayane. Tra il 1981 e il 1983, Bahuguna percorse a piedi circa 5 mila chilometri in un pellegrinaggio transhimalayano per portare il suo messaggio in difesa della natura alle donne delle montagne. Quattro anni più tardi partecipava alla Conferenza sullo sviluppo globale e la crisi dell’ambiente a Kuala Lumpur, insieme a Vandana Shiva. E lei, l’attivista indiana più nota al mondo, lo scorso 6 giugno ne ha commemorato la figura ricordando come lo incontrò la prima volta negli anni Settanta, nel Silyara Ashram che Bahuguna e la moglie Vimla avevano fondato. «Ha insegnato a me e alla mia generazione – ricorda Shiva – come l’economia della natura sia l’economia reale che sostiene tutte le economie, compresa l’economia di mercato». Di più: «Attraverso Chipko, ho imparato a praticare il satyagraha, ovvero come rifiutarsi di obbedire a leggi ingiuste o seguire politiche basate sulla violenza contro la natura e le persone».
Oggi i Chipko sono una realtà consolidata nel Nord dell’India, grazie alle donne: sono sempre loro le prime paladine del movimento, perché a differenza degli uomini non si sono mai lasciate corrompere dagli speculatori che offrivano alcol e soldi per distruggere le foreste. Nasce dalle donne la rete di cooperative in difesa del patrimonio silvicolo che organizza attività agricole alternative (produzione di foraggio rispettando il riposo dei campi), o vivai per la riforestazione. 
Anche i Bishnoi – forti di quasi tre secoli di storia – restano una comunità molto numerosa: circa 960 mila persone, la cui principale aspirazione è sacrificarsi per difendere flora e fauna. Ogni giorno i bambini bishnoi imparano in famiglia i principi fondamentali dell’ecologismo militante. Il loro credo è la conservazione dell’ambiente e in questo sono degli oltranzisti: tra il 1998 e il 2018 hanno portato avanti la causa durata vent’anni contro l’attore di Bollywood Salman Khan che, nei pressi di Jodhpur, mentre girava un film, aveva ucciso due rare antilopi cervicapra. Khan venne infine condannato. Dopo quell’episodio nacque la milizia Bishnoi Tiger Force (Btf): uomini in ogni villaggio pronti a usare le maniere forti per difendere alberi e animali. In anni recenti la Btf ha virato verso un attivismo moderato, riorganizzandosi come Ong. Ma è rimasta un gruppo di lotta: pochi mesi fa ha vinto una battaglia contro il governo locale che voleva tagliare centinaia di alberi lungo la strada tra un villaggio e Jodhpur.
Dai Bishnoi al Chipko Movement, la storia del popolo che abbraccia gli alberi ha fatto proseliti nel mondo. Se sul finire degli anni Settanta il termine tree hugger veniva usato per ridicolizzare gli hippies, tra il 1997 e il 1999 in California fece scalpore il record dell’autrice ambientalista Julia «Butterfly» Hill che, per salvare una sequoia di 1.500 anni, visse su un ramo del grande albero (alto 55 metri) per 738 giorni, resistendo a intimidazioni, pioggia e vento. Alla fine, la Pacific Lumber Company risparmiò la sequoia. Tornando all’India, nel 2017 una catena umana di studenti impedì la distruzione di circa 4 mila grandi alberi, intorno al cantiere di ampliamento della superstrada NH 112 nel West Bengala. 
L’anno scorso, invece, in Islanda era ripartita con forza l’usanza di uscire per andare ad abbracciare alberi in boschi e foreste, con una nutrita letteratura sul potere curativo del rapporto con i grandi abitanti verdi del Pianeta, tanto che gli psicologi e il Servizio forestale nazionale raccomandavano alla popolazione: «Non potete abbracciare persone a causa dell’emergenza Covid? Abbracciate un albero, almeno 5 minuti al giorno». Il consiglio resta valido. Provare non fa male.