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 2021  agosto 19 Giovedì calendario

Biografia di Isabella D’Este

«Non bisogna attendere altro che alla salute dell’anima prima e dell’onore e al comodo della persona poi, per cavare qualcosa da questo fragile mondo, e chi non sa compartire il tempo della vita sua, passa con molta passione e poca lode». Così Isabella d’Este, Marchesana di Mantova, ammonisce la cognata Elisabetta Gonzaga, duchessa d’Urbino. Nata a Ferrara «la più moderna città d’Europa» – il 17 maggio 1474, primogenita del duca Ercole e di Eleonora d’Aragona figlia del re di Napoli, Isabella è dotata di una profonda consapevolezza di sé, dei propri natali e talenti, nonché di un asciutto realismo. Prediletta dai genitori e dai maestri, precoce e brillante, pur non essendo avvenente desta dall’infanzia l’ammirazione generale, tanto che l’ambasciatore di Mantova scrive di lei: «Più (della venustà) è il mirabile intelletto e ingegno suo».
MECENATISMO
La propensione al bello e all’eleganza, il gusto della rappresentazione, l’inclinazione al mecenatismo, la passione per la classicità appena riscoperta e per la musica, l’interesse per la politica sono caratteristiche estensi incise nei suoi geni. Figlia di un uomo detto il Tramontana, che ha scelto il diamante per impresa, Isabella rivela una tempra altrettanto forte. Nel febbraio 1490 viene mandata a Mantova per sposare Francesco Gonzaga: in verità, avrebbe preferito andare in moglie di Ludovico il Moro, potentissimo reggente di Milano, a cui viene offerta invece sua sorella minore, Beatrice d’Este. Anche nella piccola Mantova, comunque, la nuova marchesa ha modo di dispiegare inesauribili energie. Negli appartamenti al piano nobile del Castello di San Giorgio, vicini alla Camera picta del Mantegna, comincia a mettere insieme una delle più straordinarie collezioni artistiche del Rinascimento, andata dispersa dopo la sua morte. Nei Camerini (fra cui lo Studiolo e la Grotta) accumula quadri pregiati, statue antiche, strumenti musicali, libri, cammei, orologi, scacchiere, oggetti preziosi di ogni tipo.

L’ICONA
Fra feste, rappresentazioni, balli, cerimonie religiose e pagane, in un turbinio di abiti, pettinature e gioielli – Isabella è quella che chiameremmo un’icona della moda – il tempo scorre. All’estense, tuttavia, è toccata in sorte un’epoca splendida e miserabile. È il paradosso del Rinascimento: da un lato c’è la grande bellezza, costellata di talenti incomparabili in ogni campo e città d’arte; dall’altro guerre, carestie, pestilenze e invasioni. La penisola è tutta divisa: al nord ci sono le più moderne Signorie (nonché la potente Repubblica di Venezia e il regno dei Savoia), al centro lo stato pontificio, al sud il feudale reame degli aragonesi. Ogni stato è in guerra con il vicino, il particolare di cui parla Guicciardini prevale sull’interesse generale, manca un progetto Paese. L’unico che aveva in mente un disegno di equilibrio globale, Lorenzo il Magnifico, muore nel 1492. Cominciano quindi le horrende guerre d’Italia: i francesi scendono dalle Alpi nel 1494 e le invasioni si succederanno sino alla pace di Cateau-Cambresis del 1559. Ricca, bella, piena di tesori, la penisola è appetibile ed è facile preda degli stranieri.

I NEMICI
La Marchesana si trova a gestire una realtà difficile e deve tener testa ad antagonisti molto più forti di lei, fra cui Francesco I di Francia, l’imperatore Carlo V, e diversi pontefici, fra cui Alessandro VI Borgia e Giulio II della Rovere. Vuole tutelare la casata dei Gonzaga e Mantova, lasciare all’amatissimo figlio Federico nato nel maggio 1500 uno stato intatto, spianare la strada agli altri maschi (Ercole diverrà cardinale, Ferrante uomo di guerra). Il marito Francesco non è di grande aiuto: coraggioso, sì, ma avventato, impulsivo, donnaiolo al punto da intrecciare una relazione con la cognata Lucrezia Borgia, che ha sposato in terze nozze Alfonso d’Este.
Isabella, però, è una donna di potere, una politica cinica e avveduta, geniale tessitrice di rapporti, abilissima nel barcamenarsi fra le alleanze. In assenza del marito, preso prigioniero dai veneziani, governa con mano ferrea in nome del figlio. Tenere il timone dello Stato le piace tanto e le riesce così bene che Giulio II e altri la accusano di non volere la liberazione dello sposo e la chiamano puttana ribalda. Lei non se ne cura; anche dopo la morte di Francesco esercita le funzioni di reggente, meritandosi pienamente l’appellativo di prima donna del mondo.

LA DELUSIONE
La grande delusione le verrà proprio da Federico che, salito al trono, la estrometterà dal governo, commettendo gravi errori. Isabella riprende allora a viaggiare, un’attività da lei molto praticata. Si trova a Roma, a palazzo Colonna, nei tremendi giorni del Sacco dei Lanzichenecchi del 1527, dove offre grande prova di sé. Tornata a Mantova, si sposta al piano terra di Corte Vecchia, dove ricostruisce i Camerini e sposta le collezioni. Poi rilancia nuovamente, occupandosi di governare Solarolo in Romagna. Muore quindi nel febbraio 1539. A lei, che tanto amava le imprese e i motti, si addice bene quel Nec Spe Nec Metu, Né con speranza né con timore, che aveva scelto come regola di vita.