Specchio, 15 agosto 2021
Biografia di Samuele Bersani raccontata da lui stesso
In quest’estate non delle migliori, nella quale i concerti ancora risultano un po’ pirateschi (scarsamente annunciati e poco frequentati per via del distanziamento, in luoghi spesso di montagna e bellissimi quanto remoti), il tour di Samuele Bersani ha vinto il trofeo, visto che non era nemmeno previsto, come lui stesso candidamente ci confesserà.
Quand’è partito da Cogne, il 7 luglio, alle cascate di Lillaz, ha ricordato come sempre il suo scopritore e mentore, Lucio Dalla, con una versione acustica di Tu non mi basti mai, raccontando di aver visto nascere il brano in studio di registrazione: «Una volta che Lucio appena tornato da messa, aveva tirato fuori la stilografica e in un baleno lo aveva vergato senza nemmeno una correzione, un tratto di penna».
Adesso Samuele sta girando l’Italia da Nord a Sud, fino alla fine del mese, con una felice data sotto casa, il 28 a Cattolica («Finalmente potrò andare a trovare il mio gatto a casa dei miei») e una partecipazione il giorno dopo allo sfizioso festival internazionale del videoclip IMAGinACTION, a Forlì, nella serata dedicata ai cantautori.
Cantautori dei quali Bersani è una specie di idea platonica contemporanea, non essendoci a quanto pare altri che curino con tanta minuziosa devozione i testi e le musiche, e abbiano inoltre vinto quattro volte (com’è successo a lui) il premio Tenco per l’album dell’anno. Questa volta è toccato a Cinema Samuele, uscito in ottobre, del quale si sono innamorati in tanti.
Quattro anni fermo, caro Samuele, e ora tour poco annunciato, e in tempi problematici.
«Mi sembra proprio che la ripartenza mi abbia portato un colorito interiore diverso. Questo è un tour non previsto: dopo che quello nei teatri è stato rimandato a dicembre, mi son fatto questo regalo. La dimensione del concerto è quella che preferisco, per mantenere un contatto con le persone, soprattutto nel momento che viviamo. E’ una grande occasione per essere vicini. Avevo bisogno di ricevere questo affetto, ma anche di darlo: la felicità è quella. Ero chiuso da tempo per preparare il disco, quattro anni senza pubblico. Mi piace vedere le persone che mi sono cresciute davanti agli occhi, quelli di 20 anni e quelli di 50 proprio come me. E il mio lavoro non finisce quando vado in camerino: mi piace l’idea di vedere ragazzini, che non penseresti mai conoscere le canzoni per intero, aspettarmi fuori per parlarmi. E io non faccio il reggaeton».
Questa è una fortuna nostra, e tua.
«Ti fa venir voglia che arrivi presto l’inverno, il reggaeton».
Tutti attenti alle precauzioni del momento, in questa sua esperienza?
«Vedo duemila attenzioni degli organizzatori, ma le persone sono molto vigili anche quando facciamo le foto nel dopo-concerto. Mascherine, distanziamento. Incontro però anche gente che non si vuole vaccinare: ci sono quelli che vogliono aspettare, nella migliore delle ipotesi, o quelli che negano persino l’ipotesi. D’altra parte vediamo pure manifestazioni che sono un superamento della decenza. Io e tanti altri siamo stanchi di non scorgere una via d’uscita. Un ragazzo nel dopo concerto mi ha spiegato: "Io sono no vax di questo vax, ma ho portato mia mamma". Allora saresti un matricida, se stesse in piedi questo ragionamento. E’ una minoranza che ti fa paura, però quando torno dalla spesa con due borse per mano vedo anche persone che si distanziano per strada».
A chi pensi faccia bene, la tua musica?
«A quelli che sono vicini a liberarsi dai dolori. Non sono uno schizzinoso, a volte qualcuno mi ha fermato per strada e fatto i complimenti, ed è un piacere. Ma a volte i giudizi sugli altri sono troppo affrettati».
Definiresti triste questo concerto che stai portando in giro, con la scia di un amore finito? Ne Il tuo ricordo canti: «Il passato è una droga che non ho più intenzione di prendere».
«Soprattutto se è un passato narcisista, ti fa passare l’intenzione... E’ stato un periodo triste per far uscire un disco: era il 2 ottobre, ci voleva coraggio. Cinema Samuele è anche un disco liberatorio, ci sono tanti spiragli, è come una lucciola. Su Il tuo ricordo dico che non è che uno debba aver paura dei ricordi; mentre scrivevo, la canzone mi stava facendo bene, una piccola cura per l’anima. In tournée ci gioco, mi diverto, mostro il lato analogico del mio lavoro. Per esempio, l’altra sera a Vieste è piovuto, e ho cantato tutta la sera con una luce sparata bianca. Si crea una specie di cupola fra me e quelli che stanno davanti. Lo spettacolo è una cosa reciproca, lo fanno loro. Vedo che c’è molta voglia di tornare a gesti semplici».
Torniamo a IMAGinACTION, il festival di video. Immagino la proiezione di Harakiri, un piccolo delizioso film, per una gran canzone ironicamente disperata: «Stava facendosi Harakiri/ Chiuso in un cinema porno francese/ Ma dopo i primi tentativi/ "Non è il momento", disse, poi si arrese/ Agli sviluppi della trama/ Alla profondità dei dialoghi».
«Sui video ho dato carta libera al regista Giacomo Triglia. E’ una canzone ben raccontata, mi piaceva molto l’idea di questo piccolo cinema nell’aia».
Non sembri il tipo da videoclip.
«Io non ho 16 anni, non sono un rapper con crew, e in quanto tale non ho mai avuto il coraggio di far seguire a ogni canzone un video. Sono un po’ più solitario, a volte sottovaluto le mie potenzialità. Mi piacerebbe per esempio lavorare con Infascelli che mi capisce al volo e abbiamo già fatto una cosa insieme in India. Quando si fa il video, ho paura che invece che un aiuto possa trasformarsi in una finestra che può togliere la libertà altrui: diventa un rischio di spegnimento cervello».
Non è che facciano anche danni, questi videoclip?
«In certi anni il video era centrale, alcuni registi sono diventati poi dei grandi del cinema. Mai come oggi la parola è diventata un’immagine, è tutto un video dalla mattina alla sera. Ma se penso a quello di Daydreaming dei Radiohead, regista Anderson (quello di Magnolia) è di una bellezza meravigliosa: Yorke segue se stesso in uno spazio dove cambia sempre porte, finché entra nella tana dell’orso e si raggomitola. Quando un video è superiore persino alla canzone, ed è proprio come il pane per il burro, perché no? Del resto mai come oggi la parola è diventata immagine: come diceva Sartori, l’homo sapiens è stato sostituito dall’homo videns».
Viene in mente L’Intervista, dove canti di quel disgraziato giornalista di una rivista, licenziato perché parla male di una star.
«Non era troppo entusiasta quando lo aveva incontrato, era stato preso della sua puzza d’alcol di prima mattina. Tant’è che poi disinfetta il microfono, cosa che oggi si fa continuamente, quindi sono stato premonitore. Non è successo a me, ho solo immaginato. Sono dinamiche che accadono, non ci sono figure intoccabili».
Ma di scrittura di libri, non se ne parla Samuele?
«Devo perdere un po’ di timidezzza. Mi piace molto il racconto ma mi piace molto di più la musica. Mi parlano sempre dei testi ma la musica non è secondaria, i miei testi arrivano alla fine. Devi prima metterci la musica che spinge le parole, le tira su poco per volta. Una sensazione bellissima, ci sono dei suoni che alla prima sillaba della parola trovi quella giusta o quella che le assomiglia, ma sai quante volte bisogna scavare, prima che esca. Di canzoni ne ho scritte meno di 100, ma sono 30 anni, e alla prossima volta sarò al decimo disco di inediti. Appena sento che non sto ampliando, che ci sono parole che si ripetono, abbandono perché mi annoio. Se io avessi scritto solo canzoni sull’abbandono, se non avessi invece vissuto che in due si fa la rivoluzione, non avrei mai scritto una canzone su un amore forte. Sono felice di questo disco, è una soddisfazione di un lavoro che mi racconta in un modo nuovo».
Felice quanto del premio del Club Tenco?
«Sono molto orgoglioso. Avevo 22 anni quando son partito, adesso guardo con curiosità i ventiduenni anche nei concerti. Mi ha chiamato per annunciarmelo Staino, il presidente del Tenco. Spero riescano a fare la rassegna a fine ottobre e ci sarò. In tutti questi anni è nata anche una scena che hanno chiamato indipendente anche se non capisco bene perché, è comunque una scena importante. Io amo molto Iosonouncane. Il Tenco si è aperto agli scenari nuovi, non più chitarra e voce».
Ma chitarra e voce non esistono più da tempo.
«Guarda che non c’è nessuno più nostalgico di quelli che non hanno vissuto quegli anni, e dunque gli esempi non mancano. Ma ti ricorda come suonava Fausto Mesolella degli Avion Travel? C’è chitarra e voce e chitarra e voce».
Quando accadrà il tour teatrale?
«In novembre/dicembre. Lì proporrò veramente tutto l’ultimo disco, ma per farlo ho bisogno di un organico un po’ copioso. Mi sembra giusto, perché quando scrivevo queste canzoni pensavo al live».
A quali canzoni sei più affezionato?
«Pixel e Le Abbagnale, una canzone molto speciale che vuole i fiati. Non l’ho cantata ancora, ma lo farò».
Mi dici cinque nomi di personaggi che hanno segnato la tua vita?
«Fellini, il poeta romagnolo Raffaello Baldini che ha anche vinto il premio Montale. Un giorno Ivano Marescotti mi chiese se lo avessi mai letto e l’ho comprato, mi son trovato di fronte a dei brividi che mi capitavano ascoltando Dalla. Poi Franco Battiato, Fabrizio De André e naturalmente Lucio Dalla».
Cinque canzoni?
«Rondini di Dalla, di Battiato Prospettiva Nevsky e/o Povera Patria. Di De André mi ha conquistato Le Nuvole con l’inizio recitato, ma poi tutto l’album. Una canzone di Battisti, Per altri Motivi, dentro L’Apparenza con Pasquale Panella. Fuori dai confini Elvis Costello, gli Smiths, i REM e i Radiohead ma mi piacciono un casino anche i Blur, a fronte dei competitors Oasis».
Cosa pensi del primo ministro Mario Draghi?
«Provo un grande rispetto per un uomo che sta tenendo tanti fili; mi sembra che sia lui padrone della scena, con un tono molto più sobrio di quello tenuto per molti anni da altri. Non ho ancora messo a fuoco tutto, ma penso non voglia far parte del chiacchiericcio».