Il Messaggero, 18 agosto 2021
Roberto Vecchioni fa l’elogio del Sudoku
«L’enigmistica è un giardino dei pensieri che si biforcano», sosteneva Jorge Luis Borges. Roberto Vecchioni, cultore della materia e amante del gioco che Maki Kaji ha condotto nella modernità, avvicinandolo a milioni di persone in tutto il mondo, parte dalle parole dello scrittore e poeta argentino per raccontare il Sudoku.
Scelga un aggettivo per qualificarlo?
«Rivoluzionario. È un gioco prettamente logico, matematico. Ti conquista per quanto è ingegnoso».
Quale definizione del Sudoku trova appropriata?
«Potremmo descriverlo come fossero parole crociate senza parole».
Ha assonanze con altri giochi?
«Ha qualche somiglianza con le strategie dello scacchista. Anche gli scacchi richiamano alla matematica. Lascia pochissimo spazio all’improvvisazione e al caso. È bellissimo».
Come hanno reagito gli amanti del cruciverba all’ampia diffusione del Sudoku?
«Non mi pare che ci siano state particolari ribellioni. La differenza è che nel Sudoku non si può intervenire sull’errore ed è più impersonale».
Lei continua a giocarci?
«L’ho fatto per molto tempo assiduamente e non l’ho mai abbandonato del tutto, ma a un certo punto è lecito che possa stufare».
Perché?
«Si ripete sempre la stessa cosa. Cerchi i numeri in quel modo...».
E invece?
«Ha la caratteristica straordinaria propria dei grandi gialli che non ti stanchi di rileggere. Conosci i personaggi, la trama, ciò che ti attende, eppure non lasci le pagine».
Che cosa ha spinto le persone verso il Sudoku?
«Intanto il fatto di trovarlo nei tascabili, nei periodici».
Qual è il primo passo di avvicinamento?
«All’inizio ci si confronta con le sfide più piccole, poi una volta imparate le regole bisogna crescere e andare avanti, tentando le cose più difficili. Credo sia fondamentale avere qualcuno che ti aiuti. Consiglio di muovere i primi passi con chi già sa cosa sia il Sudoku e possa spiegare i percorsi logici da compiere per eliminare certi numeri o tenerli. Nella vita è tutto così: ci vuole sempre un maestro con cui salpare».
Poi che cosa accade?
«In breve tempo ti accorgi di non accontentarti più e vuoi aumentare il grado di difficoltà della sfida, fino a quelli che appaiono davvero impossibili».
Quale processo emotivo stimola il Sudoku?
«Questo è particolarmente interessante. Dimostrare a sé stessi quello che si è. Non è un gioco che fai per metterti in mostra davanti agli altri. Non ha dinamiche di gruppo».
In che cosa consiste la sfida?
«Misurarti con i tuoi limiti e vedere fino a dove puoi spingerti. Ti dà una soddisfazione notevolissima senza vanagloria. È raro incontrare qualcuno che si vanti di essere bravo nel Sudoku. I veri enigmisti non sono così. La bellezza è dire a sé stessi di essere riusciti a superare anche questo ostacolo. In parte è una metafora delle difficoltà della vita».
Arriviamo alla sua passione per l’enigmistica. Lei la porterebbe a scuola?
«Certamente. Tutti i ragazzi e le ragazze dovrebbero poter accedere in classe a quella seria, pura, perché dà un’apertura mentale incredibile anche nei giochi logici».
Che cosa aggiungerebbe?
«Penso agli enigmi e ai giochi matematici di Martin Gardner, per esempio, perché portano il pensiero laterale che manca spesso ai ragazzi».
In che senso?
«Hanno una costruzione mentale molto precisa senza via laterali e sfoghi. L’enigmistica offre queste possibilità. Questo dobbiamo scoprire, facendo in modo che dentro di noi ci sia un calcolatore più grande e fantasioso di quelli che abbiamo già inventato. Questa è la funzione dell’enigmistica».