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 2021  agosto 18 Mercoledì calendario

Chi sono e cosa vogliono i talebani

Sono combattenti duri, formati dalle guerre. Gente abituata a lunghe marce, a dormire in bivacchi improvvisati, mangiare poco e rischiare la vita in ogni momento contro nemici che spesso hanno armi ed equipaggiamenti molto più sofisticati. Nascono in genere da famiglie e clan estremamente religiosi tra il fior fiore del mondo pashtun radicato tra l’Afghanistan sudorientale e nelle «zone tribali» del Pakistan settentrionale e del Kashmir conteso all’India. Sono i talebani, gli ex studenti delle scuole religiose islamiche cresciute sin dagli anni Settanta nel Pakistan conservatore, finanziate in buona parte dall’Arabia Saudita e legate alle tradizioni di pensiero del wahabismo sunnita teso alla ricerca della purezza originaria dell’Islam.
Ma chi sono oggi i talebani? Davvero si sono moderati come proclamano? Oppure le loro aperture al mondo non nascondono altro che il desiderio di essere accettati dalla comunità internazionale per poi tornare a reprimere la loro popolazione e addirittura dare asilo ad Al Qaeda e Isis?

Sono diversi da venti anni fa?
Il loro stile appare oggi molto diverso da quello di soltanto 20 anni fa. Basti osservare come si comportano di fronte a telecamere e macchine fotografiche. Tutti noi giornalisti che ci recammo a Kabul nella seconda metà degli anni Novanta fummo prima o poi fermati (se non arrestati) brevemente dalle loro «pattuglie della moralità», che vietavano qualsiasi riproduzione o immagine del corpo umano in nome di una rigorosa interpretazione del Corano. Le foto erano tabù. Non più. I loro combattenti giocano con i cellulari scambiandosi video e immagini. Alla conferenza stampa ieri erano ben contenti di farsi riprendere e persino rispondere a giornaliste donne davanti alle telecamere.
Anche questa è una tattica? Difficile pensarlo. Come del resto è evidente la nuova attenzione ai rapporti internazionali. Nei metodi e nello stile i talebani appaiono molto cambiati. Sarebbe strano il contrario, visto tra l’altro che la presenza della coalizione occidentale ha impresso una crescita strabiliante alle città e alle infrastrutture principali. Kabul 2000 era un cumulo di macerie. Oggi è una città con palazzi di compagnie straniere, banche, centri commerciali, hotel, negozi d’informatica.

Dove nasce il movimento?
Le loro radici dirette nascono dalla jihad (la guerra santa) contro l’invasione sovietica negli anni 80. Loro ancora non c’erano come movimento. Ma i loro leader più importanti venivano proprio da quel mondo, allora finanziato dagli americani nel contesto della Guerra Fredda per frenare l’influenza sovietica. Furono poi nel 1994 il Mullah Omar, assieme al suo numero due Mullah Abdul Ghani Baradar, a fondare i talebani tra gli studenti delle scuole religiose di Kandahar. Ma allora gli americani se ne erano andati lasciando il Paese al compito impossibile di ricostruire le città distrutte.

Islam e tribalismo
All’inizio persino le classi dirigenti della capitale li accolsero con sollievo. I talebani promettevano di porre fine alla frammentazione terrificante della guerra civile interna. Erano uomini primitivi, contadini con le Honda 125 e il Kalashnikov a tracolla, che imponevano il burqa, punivano l’adulterio con la lapidazione, i ladri avevano gli arti amputati. Le esecuzioni in piazza erano all’ordine del giorno. Si dicevano religiosi, ma neppure conoscevano l’arabo per leggere il Corano e adattavano la legge islamica ad ancestrali tradizioni tribali. Si finanziavano coltivando l’oppio. Ma il Mullah Omar fu persino pronto ad azzerarne la produzione per il riconoscimento da parte della comunità internazionale. E quando nel dicembre 1999 i gruppi estremisti kashmiri dirottarono su Kandahar un volo delle linee aeree indiane furono ancora i talebani, specie il loro ministro degli Esteri Muttawakil, a mediare la liberazione dei passeggeri. «Magari ora ci ascolterete», disse. Bussò a Washington e al Palazzo di vetro a New York: non trovò risposta. Pochi mesi dopo vennero minati i Budda di Bamiyan. Ma ancora nessuno li avrebbe mai disturbati, se non avessero deciso di accogliere Al Qaeda nel loro Paese.

Chi guiderà il governo?
Dopo la loro velocissima sconfitta nell’ottobre-novembre 2001 si dispersero sulle montagne. Ma già nel 2006 erano di ritorno. Nel 2013 moriva Mullah Omar. Lo sostituì il Mullah Akhtar Mansour, poi ucciso nel 2016 da un drone americano. Da allora li guida il 61enne Hibatullah Akhundzada, ex capo delle Corti islamiche esperto in legge religiosa. Oggi cresce la possibilità che alla presidenza del loro nuovo governo sia nominato Baradar, che ha negoziato gli accordi di Doha con gli americani.

Da Bin Laden a oggi
Ma in verità si conosce molto poco dei loro equilibri interni. Non è neppure chiaro quale sia il loro reale atteggiamento nei confronti di Isis e Al Qaeda, che comunque dispongono di cellule ben presenti nel Paese. Potremmo assistere presto al braccio di ferro sul tema tra radicali pan-islamici e nazionalisti afghanocentrici. Proprio come era avvenuto nei confronti di Osama Bin Laden alla vigilia degli attentati dell’11 settembre 2001.