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 2021  agosto 18 Mercoledì calendario

Il business dell’oppio in Afghanistan

«L’Afghanistan non sarà più un centro per la coltivazione del papavero da oppio o per il business della droga». Il portavoce dei taleban Zabihullah Mujahid utilizza la prima conferenza stampa dopo la conquista di Kabul per definire alcune linee guida con cui l’Emirato islamico d’Afghanistan tenta di accreditarsi presso la comunità internazionale. Tra di esse le rassicurazioni che il Paese non sarà una piattaforma per il traffico di stupefacenti. C’è di più, perché Mujahid chiede al nuovo governo venga fornito «il sostegno internazionale per promuovere un’alternativa alla coltivazione del papavero». Al netto dell’attendibilità dell’impegno preso è chiaro che un appello di questo genere ha l’obiettivo di ammaliare la comunità internazionale, specie perché da sempre l’oppio rappresenta il carburate del movimento fondamentalista.
Gli Stati Uniti hanno speso più di otto miliardi di dollari in 15 anni nel tentativo di privare i taleban dei loro profitti derivanti dal commercio di oppio ed eroina in Afghanistan, ricorrendo a eliminazione fisica del papavero, attacchi aerei e raid nei presunti laboratori. La strategia si è rivelata fallimentare: mentre Washington chiude la sua guerra più lunga, il Paese rimane il più grande fornitore di oppiacei al mondo e «rischia di esserlo anche con i taleban al potere», suggeriscono funzionari ed esperti delle Nazioni Unite.
La distruzione dovuta alla guerra, i milioni di persone sradicate dalle loro case, i tagli degli aiuti esteri alimentano una crisi economica e umanitaria che lascerà molti afghani indigenti e, pertanto, dipendenti dal traffico di droga come unica fonte di sopravvivenza. Condizioni destinate a favorire una produzione illecita di oppiacei ancora più elevata con un potenziale vantaggio per i miliziani delle madrasse.
«I taleban hanno contato sul commercio di oppio come una delle loro principali fonti di reddito», afferma Cesar Gudes, dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodc), secondo cui l’apporto afghano è di oltre l’80% rispetto alle forniture globali di oppio ed eroina. E con i fondamentalisti a Kabul - prosegue -, i signori della droga potrebbero trovare terreno fertile «per meglio posizionarsi ed espandere i loro affari». Del resto, anche durante la siccità e la penuria di grano, quando i prezzi salgono alle stelle, gli agricoltori hanno coltivato papavero ed estratto oppio che viene raffinato in morfina ed eroina. Negli ultimi anni, hanno persino installato pannelli solari di fabbricazione cinese per far funzionare pozzi di falde acquifere.
Secondo l’Unodc, tre degli ultimi quattro anni hanno visto alcuni dei più alti livelli di produzione di oppio dell’Afghanistan. Anche con la pandemia di Covid-19, la coltivazione del papavero è aumentata del 37% l’anno scorso. L’Onu e gli Usa sostengono che i taleban siano coinvolti in tutte le fasi, dalla piantagione di papaveri, all’estrazione dell’oppio e dalla fissazione di «tasse» ai coltivatori e laboratori di droga, all’imposizione di gabelle ai contrabbandieri per le spedizioni dirette in tutto il mondo. Funzionari del Palazzo di Vetro riferiscono che i fondamentalisti hanno probabilmente guadagnato più di 400 milioni di dollari tra il 2018 e il 2019 dal traffico di droga.
Secondo un rapporto dell’ispettore generale speciale per l’Afghanistan (Sigar) degli Stati Uniti del 2018, Washington ha invece speso circa 8,6 miliardi di dollari tra il 2002 e il 2017 per stroncare il traffico di droga in Afghanistan. Questi sforzi non hanno avuto molto successo, anzi hanno alimentato la rabbia contro il governo di Kabul e i suoi sostenitori stranieri, e la simpatia per i talebani tra agricoltori e lavoratori che dipendono dalla produzione di oppio. I taleban hanno imparato la lezione nel 2000, il calo della produzione ha innescato un’enorme tempesta politica ed è stato uno dei motivi per cui ci sono state defezioni così drammatiche dopo l’invasione degli Stati Uniti.
Pertanto, dicono gli esperti, è imprescindibile che un reale impegno nella lotta alla coltivazione del papavero dell’Emirato islamico di Afghanistan sia accompagnato dal sostegno internazionale invocato dal portavoce Zabihullah Mujahid, e usato come leva per fare breccia nel muro di diffidenza dell’Occidente.