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 2021  agosto 17 Martedì calendario

In Afghanistan in fumo duemila miliardi di dollari

Le immagini della débâcle americana in Afghanistan si sono susseguite ora dopo ora – il fumo di documenti top-secret bruciati in fretta salito dai tetti della grande ambasciata statunitense, la bandiera a stelle e strisce ripiegata e gli elicotteri per l’evacuazione come a Saigon nel 1975, infine le scene di disperazione all’aeroporto di Kabul. Ma anche un altro dato di fatto, meno tragico quanto altrettanto significativo, misura il fallimento per Washington e gli alleati davanti alla vittoria dei telebani: il tesoro di centinaia e migliaia di miliardi di dollari mobilitato in vent’anni di guerra nel Paese sotto quattro presidenti statunitensi di entrambi di partiti fino a Joe Biden.
L’ultimo atto a Kabul ha scatenato furiose polemiche: Washington ha indicato che potrebbe orchestrare l’evacuazione di ventimila americani e forse trentamila afghani che hanno lavorato con loro e a rischio di rappresaglie degli insorti. Dalle stesse associazioni di veterani del conflitto, però, si levano accuse che ciò non basta e che il caos del ritiro appare un’incomprensibile disfatta: ricordano che dal Vietnam del Sud gli americani evacuarono oltre 110.000 persone.
La drammatica spirale di immagini, polemiche, vite umane perse o in pericolo e soldi gettati al vento minaccia di smentire il messaggio di leadership competente che Biden ha coltivato con cura da quando si è insediato. In contrasto con l’irresponsabilità di cui aveva accusato il predecessore Donald Trump, ha vantato d’essere tra i presidenti americani arrivati allo Studio Ovale con maggior esperienza internazionale. E l’Afghanistan si è trasformato in un test cruciale per il cruciale ruolo svolto da Washington: sia sotto il profilo militare che delle risorse, si è fatta carico di gran lunga del contributo tra gli alleati.
Solo per dar vita a un esercito regolare locale ha iniettato almeno 83 miliardi, con alcune stime che lievitano a 143. Il conto finanziario totale degli aiuti sale a più di duemila miliardi quando a quasi mille in spese del Pentagono e progetti di ricostruzione economica (almeno 44 miliardi) si sommano altre voci, da interessi sul debito all’assistenza alle vittime, tra cui quasi 2.500 militari statunitensi (altri 21.000 sono rimasti feriti) su oltre 240.000. Ciò non vuol dire che l’”investimento” americano sia stato isolato: ha capitanato uno sforzo internazionale dall’Onu alla Nato e a singoli Paesi. Tra i protagonisti, la Gran Bretagna ha investito nel conflitto 30 miliardi, la Germania 19 miliardi, l’Italia dieci miliardi. L’Alleanza Atlantica ha operato nell’insieme con due missioni di sicurezza, l’International Security Assistance Force (sotto ombrello Onu) seguita dalla Resolute Support Mission. Sostegno politico era arrivato da Enduring Partnership. La Nato aveva inoltre promesso aiuti all’esercito afgano per 4 miliardi l’anno fino al 2024.
L’intero sforzo, americano e globale, è ora sotto spietati riflettori. In discussione negli Stati Uniti è una missione anti-terrorismo nata all’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001 e trasformatasi in nation-building senza mai sviluppare strategie adeguate e tra un falso ottimismo ufficiale portato alla luce da documenti pubblicati dal Washington Post come Afghanistan Papers. Disegni di creare forze armate sul modello Usa si sono rivelati impossibili, con solo nominalmente 350.000 soldati locali alla mercè oltretutto degli americani per ogni riparazione degli arsenali. Corruzione e incompetenza hanno dilagato, non solo locale ma nella grande rete di fornitori esteri. Le autorità Usa di supervisione hanno denunciato casi di centinaia di milioni in sprechi e tangenti: tra gli esempi 547 milioni spesi per venti aerei da traporto truppe, 16 inservibili e rivenduti come rottami. I soldati afghani arresisi all’offensiva talebana erano affamati e senza munizioni.
La débâcle, l’ultimo atto e le sue radici, hanno generato anche un clima di recriminazioni dentro i vertici militari e diplomatici a Washington. Il Pentagono aveva premuto per rinviare un ritiro finale dall’Afghanistan. A decisione presa, aveva chiesto allora di accelerare l’abbandono dell’ambasciata a Kabul per evitare drammi. Il dipartimento di Stato, convinto di avere mesi prima d’una conquista talebana, temeva al contrario l’apparenza d’una fuga affannosa. Confusione ed errori hanno aggravato la crisi e messo a nudo l’abisso tra realtà e parole della Casa Bianca.