la Repubblica, 17 agosto 2021
L’enigma dei talebani
Sebbene circolino le più disparate voci sulle prossime mosse dei talebani, in realtà loro stessi sono stati colti di sorpresa dal successo della loro “guerra lampo” e non hanno avuto il tempo di progettare la fase successiva, quella del consolidamento al potere. Il leader Haibatullah ha non pochi problemi da risolvere.
Le voci incontrollate che circolano a Kabul variano dall’annuncio imminente della restaurazione dell’Emirato, alla prossima proclamazione di Mullah Baradar, il capo della diplomazia dei talebani, a presidente.
Ancora domenica mattina i talebani si aspettavano di cominciare una trattativa riguardo alla loro occupazione di Kabul con una qualche delegazione di dignitari della Repubblica Islamica. Per non irritare e umiliare ulteriormente i già scioccati funzionari dell’amministrazione Biden, che peraltro stava rafforzando temporaneamente la propria presenza a Kabul con migliaia di rinforzi, i talebani avevano accettato di fermare le proprie colonne ai limiti esterni della capitale. In ogni caso, i talebani avevano solo poche centinaia di uomini attorno a Kabul.
Tuttavia, domenica l’improvvisa fuga del presidente Ghani ha causato l’inizio immediato della disintegrazione di quello che restava delle forze armate afghane. A quel punto, nemmeno gli americani si sono più opposti all’entrata dei talebani a Kabul.Questo nuovo sviluppo ha minato le trattive per la formazione di un governo di transizione, alla cui testa gli americani stavano cercando di mettere un notabile rispettato dei primi anni della Repubblica Islamica, Ali Jalali, già ministro degli interni di Karzai. Jalali è un uomo vicino agli americani, ma non compromesso con l’orgia di corruzione degli anni più recenti. I talebani, però, non sembrano troppo interessati. I talebani avrebbero comunque voluto un personaggio di transizione più neutrale, ma soprattutto sembrano indirizzarsi direttamente verso la proclamazione di un governo guidato da loro stessi. Ormai la ragion d’essere di un governo ad interim o transitorio non è più tanto chiara, visto che ben poco è rimasto della Repubblica Islamica.
Implica questo il ritorno dell’Emirato originario, che governò l’Afghanistan nel 1996-2001? È improbabile che i talebani intendano fare ritorno al loro sistema di governo originario, dei cui difetti sono assai consapevoli. Utilizzare la stessa denominazione, d’altra parte, rassicurerebbe la massa dei loro combattenti che i principi del movimento non sono stati sacrificati sull’altare del pragmatismo politico. All’ombra della continuità apparente, i talebani potrebbero innovare più facilmente. L’alternativa è la proclamazione di un sistema politico e di governo apertamente ibrido, che era peraltro l’obiettivo dichiarato dei talebani quando discutevano con i diplomatici americani dei negoziati che intendevano condurre con l’élite politica di Kabul. Una specie di “Quinta Repubblica”, dopo quelle di Daud (1973-1978), di Taraki-Amin-Karmal-Najibullah (1978-1992), di Rabbani (1992-1996) e dopo la Repubblica Islamica appena defunta.
Questa opzione sarebbe meglio accetta non solo agli americani, ma anche ai Paesi della regione, che a gran voce nei mesi scorsi avevano auspicato che i talebani non ristabilissero l’Emirato Islamico. Ancora domenica il ministro degli Esteri iraniano, Zarif, ha dato il benvenuto all’instaurazione del Consiglio di Coordinazione di Karzai-Abdullah-Hekmatyar, che cerca di negoziare il futuro dello stato afghano con i talebani. Per quanto riguarda i ranghi dei talebani, ubriacati dalla vittoria nella loro impressionante “guerra lampo”, l’idea di rinunciare all’Emirato, per cui sono morti in così tanti, non sarebbe ben accetta, anche se la denominazione adottata sicuramente non sarebbe l’attuale “Repubblica Islamica”.
Con questi e altri dilemmi dovrà confrontarsi Haibatullah Akhund, il cui arrivo a Kabul è stato annunciato dai talebani per non appena la capitale sarà abbastanza sicura. I talebani stanno facendo affluire rinforzi verso Kabul, dove la loro presenza è ancora modesta.
Alcuni dei problemi che Haibatullah si aspettava di affrontare si sono risolti da soli: l’integrazione delle due armate contrapposte non è più necessaria, in quanto il “nuovo” esercito afghano si è sciolto come neve al sole. I talebani stanno selezionando specialisti che potranno essere loro utili, specie nell’aviazione. Alcuni dei nuovi alleati dei talebani, come Salahuddin Rabbani, potrebbero tuttavia chiedere di veder inseriti i propri lealisti nell’esercito che i talebani si accingono a formare.
Haibatullah dovrà ovviamente decidere che tipo di governo formare, ovvero chi includervi. Dovrà essere cauto nel rappresentare le diverse componenti regionali, etniche e tribali dei talebani, ma anche elementi esterni, ovvero rappresentanti degli alleati che li hanno aiutati ad ascendere al potere e che hanno ancora considerevoli basi di potere a livello regionale e il sostegno di alcuni dei paesi confinanti: soprattutto le fazioni di Salahuddin Rabbani, Hekmatyar e Karzai.
Dal punto di vista della stabilità del nuovo regime, risolti i problemi più immediati, si porranno molte altre spinose questioni di ingegneria istituzionale. Per esempio, Haibatullah dovrà affrontare l’adozione o meno di un sistema elettorale.
All’interno dei talebani i sistemi elettorali non sono più visti con il fumo negli occhi come nei primi anni della loro insurrezione, ma chiaramente se i talebani ne introdurranno uno, non sarà la copia di quello della Repubblica Islamica. È assai probabile che vorranno restringere la competizione elettorale a gruppi e individui che accettino almeno il principio di un governo basato sulla legge Islamica (ovvero niente laici). La soluzione adottata avrà un impatto considerevole sulla capacità dei talebani di costruire e mantenere coalizioni, senza le quali finirebbero probabilmente nei guai abbastanza rapidamente.
(L’autore è senior research fellow al Rusi di Londra e affiliato al King’s College. Tra i suoi libri, “Taliban at war”)