Corriere della Sera, 17 agosto 2021
Ezio Greggio ricorda l’amico Gianfranco D’Angelo
Si sono salutati con una battuta, che è poi anche il modo in cui era iniziata la loro amicizia. Tre giorni prima di morire, Gianfranco D’Angelo e Ezio Greggio si erano scritti, facendo un’ultima volta la gara che li ha uniti per 43 anni: «Ogni volta c’era una sorta di sfida a chi sparava la cavolata più grossa, per far ridere l’altro», spiega Greggio con la voce provata di chi non sente solo di aver perso un grande amico, ma «un pezzo di me. Ora restano i ricordi: continuano a riaffiorare, anche quelli che credevo di aver rimosso». Oggi ci saranno i funerali dell’attore, morto il 15 agosto. Greggio ci sarà.
Sapeva che stava così male?
«Sì, la speranza restava ma da quando ho saputo che stava peggiorando non facevo che pensare a lui. Se ne è andato via proprio il giorno di Ferragosto: insieme ne abbiamo trascorsi una marea, lavorando o in vacanza».
Ricorda cosa ha pensato quando lo ha conosciuto?
«Ci siamo conosciuti nel 1978, per la trasmissione Rai La Sberla. Mi sembrava molto pacato, quasi sempre in procinto di addormentarsi, ma in un attimo si accendeva».
Cosa le piaceva di lui?
«Veniva dalla scuola delle commedie da battaglia ma pian piano ho scoperto in lui un monologhista formidabile, con tempi perfetti. Per me è stato un insegnante, anche se la nostra amicizia è nata subito e ci ha giovato: Antonio Ricci ci vide assieme e si convinse a prenderci al Drive In».
Come ricorda quegli anni?
«Come quelli di una grande simbiosi. Dopo gli spettacoli andavamo a cena assieme e per chi ci vedeva era come se lo spettacolo continuasse. Le gag si costruivano spontaneamente: ne ricordo una in cui lo andavo a piangere al cimitero, ma vedevo la fotografia sulla tomba sporca, così sputavo per pulirla, ma restava opaca... al terzo sputo la foto si animava e sputava lui a me, in un occhio. Funzionavamo bene: Antonio scriveva i pezzi e noi sbrodolavamo».
Ad esempio come?
«Non gli dicevo come lo avrei chiamato in scena, durante certe gag, per farlo ridere. Quando si nascondeva per non farsi vedere dalla telecamera, gli dicevo: “Ma dove va?”. Ricci lì ha trovato lo spunto per Paperissima. Era bello, c’era grande coesione».
Has Fidanken, il Tenerone. Capivate prima che certi numeri avrebbero avuto più successo di altri?
«Non eravamo mai preterintenzionali. Alle volte una piccola cosa diventava un pezzo. La nostra vittima predestinata era Beruschi che usciva sempre massacrato da noi, anche fisicamente: una volta era vestito da sposa e anziché tirargli il riso optammo per dei maccheroni, ovviamente crudi. Un’altra facemmo fingere a tutto lo studio di non accorgerci che era rimasto appeso al soffitto, vestito da angelo, e uscimmo tutti. Al di là della porta lo sentivamo chiamare “Ezioooo, Gianfrancoooo” (e imita la voce, ndr.)».
Eravate davvero un gruppo di amici, quindi?
«Assolutamente. Io e Gianfranco non abbiamo mai litigato. Avevamo in comune il gusto dello scherzo. Non so quanti ne abbiamo organizzati. Al Drive Infacevamo le parodie dei grandi film, tra cui Il nome della Rosa. In una pausa, vestiti da frati, siamo andati al bar: le persone non ci riconoscevano e ci salutavano chinando la testa. Quando siamo passati vicino a due anziane, abbiamo finto di inciampare e iniziato a dire una serie di parolacce irripetibili. Ci guardavano sgomente».
Mai nessun imbarazzo?
«Mai. C’era solo voglia di divertirsi. Gianfranco era sempre pronto alla battuta e io uno stimolatore per lui: ogni volta che ci vedevamo succedeva qualcosa. La malinconia non ci apparteneva».
Perché le vostre strade si sono separate poi?
«Dopo la prima edizione di Striscia io ho continuato, lui invece aveva un progetto in Rai. Ma ogni volta che ci rivedevamo era come se ci fossimo lasciati il giorno prima. Accade poche volte nella vita. Ci sono caratteri che creano rapporti quasi soprannaturali, persone con cui non ti devi dire nulla e ti capisci, ci stai bene. Lui era questo per me. Sono felice di averlo omaggiato al mio Montecarlo Film Festival col premio alla carriera: ci fu una grandissima accoglienza, era molto contento».
Il pubblico si era un po’ dimenticato di lui?
«Se non fai tanta tv sei meno in vista, ma con i suoi spettacoli faceva il tutto esaurito. Era un grande monologhista, tra i comici che mi hanno fatto più ridere».
A lui spiaceva essere chiamato meno dalla tv?
«Non ne abbiamo mai parlato ma credo che se gli avessero dato delle possibilità avrebbe potuto fare di più. Ogni tanto ci dicevamo: “Dovremmo rifare qualcosa assieme”. Sarebbe stato bello. Nell’ultimo messaggio gli dicevo che ne avremmo parlato a settembre».
Lui aveva detto di sì, poi lo aveva salutato. Con una battuta.