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 2021  agosto 15 Domenica calendario

Olimpiadi e Pil, il bilancio non è quello che sembra

Diamoci una calmata. I recenti successi sportivi sono importanti. La ripresa economica procede bene. Ma la strada da fare è ancora tanta e poi, a guardar bene, i risultati ottenuti, seppur buoni, vanno un po’ ridimensionati.
Prendiamo, per esempio, le Olimpiadi. I media ci hanno detto che l’Italia non era mai andata così bene nella storia delle olimpiadi moderne. Quaranta medaglie. Un record assoluto. Vero. Ma non è venuto in mente a nessuno che il numero di medaglie distribuite a Tokyo a tutti i paesi non era mai stato così alto? 339 gare in programma significano 1017 medaglie (anzi un po’ di più per via degli ex equo). Nel 1960 a Roma le medaglie erano 438 e noi ne prendemmo 36, ossia l’8,2 per cento. A Tokyo la percentuale è stata del 3,3 per cento. Se guardiamo al rapporto tra medaglie vinte dall’Italia e medaglie distribuite nelle 16 Olimpiadi dal 1960, l’ultima Olimpiade è al quinto posto, dopo Roma nel 1960 (il vero record), Tokyo nel 1964, Los Angeles (1984) ed Atlanta (1996). L’attento lettore obietterà però che questo calcolo non tiene conto del fatto che, nel corso del tempo, è aumentato anche il numero delle nazioni partecipanti. In altri termini, vincere nel 1960 era più facile perché c’erano meno atleti in gara. Per tener conto di questo si può allora guardare alla differenza tra la percentuale di medaglie vinte dall’Italia sul totale delle medaglie disponibili e la percentuale degli atleti italiani sul totale degli atleti partecipanti. Una differenza positiva indica che abbiamo avuto una quota di medaglie superiore a quella normale. Ma anche usando questa metrica la classifica non cambia: la prestazione dell’Italia a Tokyo resta al quinto posto negli ultimi sessant’anni. Un risultato eccellente, il migliore dal 1996. L’Italia s’è desta. Però avevamo fatto meglio in passato.
Passiamo ai risultati economici. Anche in questo caso i media hanno accolto le stime sulla crescita del Pil nel secondo trimestre con grida di giubilo: il Pil è aumentato del 2,9 per cento, ben al di sopra della media europea (1,8 per cento). Abbiamo battuto quasi tutti. Altro che fanalino di coda. Effettivamente è un ottimo risultato. Non mi sorprende molto perché sono mesi che dico che il Pil quest’anno crescerà al di là di quello che il governo prevedeva nel Documento di economia e finanza di aprile. Però è normale che i Paesi dove il Pil è caduto maggiormente nel 2020 crescano ora più rapidamente. Siamo nella fase del rimbalzo. È allora più interessante andare a vedere quanto lontano siamo dal livello del Pil pre-Covid (quarto trimestre del 2019). Nel secondo trimestre eravamo ancora sotto del 3,8 per cento, peggio della media europea (meno 2,6 per cento). Qui si obietterà che si sta uscendo dalla crisi economica dovuta al Covid molto più rapidamente di quanto fossimo usciti dalla crisi economica del 2011-13. È vero ed è un’ottima notizia. Ma quello che è cambiato rispetto al passato è l’atteggiamento delle istituzioni europee che ci hanno fatto arrivare, tra il 2020 e quello che ci si può attendere per il 2021, la bellezza di 370 miliardi. Insomma, un bell’aiutino l’abbiamo avuto.
Da qui due considerazioni. Primo, scordiamoci che il flusso di finanziamenti che arrivano dalle istituzioni europee sia perpetuo. Il grosso è arrivato dalla Bce e si esaurirà nel 2022 (quanto rapidamente dipende dall’andamento dell’inflazione che, sappiamo, sta riprendendo, anche se per ora, giustamente, la Bce non è troppo preoccupata). I finanziamenti del Recovery Plan arriveranno solo se realizziamo quanto abbiamo promesso nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (528 condizioni). Fra l’altro, il termine “resilienza” ha un significato politico non indifferente. Diventare resilienti (o resistenti) significa essere in grado di sostenere il prossimo shock economico senza aiutini esterni. La linea di credito europea (la Recovery and Resilence Facility) contiene questo nome per ricordarci che, se questa volta i soldi sono arrivati, i Paesi europei sono attesi fare riforme per evitare che al prossimo shock sia ancora necessario un aiuto esterno. Se lo ricordino quei politici italiani che pensano che questa linea di credito dall’Unione europea all’Italia possa, anzi debba, debba diventare permanente, come se fosse un nostro diritto.
Seconda considerazione. Non guardiamo troppo ai recenti successi, che comunque sono rilevanti. Guardiamo avanti. La strada da percorrere per recuperare il terreno perso nell’ultimo quarto di secolo rispetto al resto dell’Europa è enorme. Come è enorme l’agenda delle riforme che dobbiamo realizzare. Il governo sta operando bene, con risultati tangibili. Ed è auspicabile che continui a operare fino alla scadenza naturale di questo Parlamento. Rimbocchiamoci le maniche. Va bene festeggiare, ma non montiamoci la testa. I veri festeggiamenti li faremo quando il Pil pro capite italiano avrà raggiunto quello tedesco. Io credo sia possibile, ma ci vorrà un bel po’ di tempo (nel secondo trimestre scorso stavamo sotto di oltre il 25 per cento).