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 2021  agosto 15 Domenica calendario

In Cina il virus ferma i container

Chiuso per virus. Ancora. E, ancora, i ritardi nelle spedizioni dai porti cinesi a quelli europei e americani salgono a livelli mai visti. Così come i prezzi, da capogiro. Un caso di Covid e la Cina ha deciso di chiudere uno dei terminal del porto di Ningbo, il terzo più grande al mondo, mettendo in crisi ancora di più la già ingolfata catena delle spedizioni. Proprio mentre il periodo di maggior picco dell’anno si avvicina. C’è da far arrivare in tempo sugli scaffali la merce per il Natale. E potrebbe non essere così facile.
Dopo la chiusura di Yantian a fine maggio, durata quasi un mese, si rischia di rivivere un incubo, con il sistema marittimo mondiale che lotta per gestire una domanda senza precedenti. «Il fatto che le navi accumulino ritardi e che ora siano in aumento i focolai nei principali centri di produzione cinesi potrebbe avere conseguenze di vasta portata per lo shopping natalizio», ha spiegato Josh Brazil, dell’americana project44. Ma è solo una parte del problema.
Dal cibo all’elettronica, dall’abbigliamento all’arredamento soffrono tutti. Se due anni fa un container di 40 piedi (cioè lungo 12 metri) da Shanghai a Rotterdam costava 2.100 dollari, oggi si arriva a 13.700. «In 30 anni prezzi così non li avevo mai visti», spiega Fabio Ciardi, branch manager a Pechino della Savino Del Bene, primo spedizioniere italiano con una decina di uffici in tutta la Cina. «Per un container sulla Shanghai- Genova oggi bisogna sborsare 12.800 dollari. Due anni fa eravamo tra i 1.500 e i 2mila».
Dopo il lungo lockdown della scorsa primavera e la crescita incredibile della domanda sulle rotte dalla Cina e dai Paesi asiatici ? nella prima metà dell’anno l’export cinese verso l’Ue è cresciuto del 25,5%, quello verso gli Usa del 17,8% ? si è prodotto un ingorgo mai visto. Ma più si esporta meno container ci sono, più la domanda si alza più i prezzi delle spedizioni crescono, come quelli della merce. «Durante la pandemia le persone hanno iniziato a ordinare di tutto, attrezzi per la ginnastica, pc, arredamento, tutto sfornato qui in Cina», prosegue Ciardi. Lo stesso ingorgo si verifica anche nei porti di arrivo. «Una nave che dalla Cina arriva in America prima di poter entrare nel terminal può dover aspettare due-tre settimane. E non ritorna in tempo per ripartire: mancano i container e i prezzi schizzano», racconta Johnny Cheung della Fastic, società di spedizioni taiwanese che ha il cuore delle operazioni a Ningbo. «Anche se sei disposto a pagare queste cifre, magari non ti confermano lo spazio a bordo o non c’è l’equipaggio. Una follia».
Se nel luglio dello scorso anno la tratta Cina-Ue aveva ritardi in media di mezza giornata, ora siamo a 2,18 giorni. Da Shenzhen ad Amburgo si arriva a 8. «Per mettere le merci sui treni ci vogliono settimane. La domanda tiene, ma da questi imbuti bisogna passare. E i container rimangono a bordo delle navi strapiene», dice Ciardi. Circa il 60% della merce globale viaggia via mare nei quasi 180 milioni di container in giro per il mondo. Ma oggi, complice la pandemia, ci sono 353 navi bloccate fuori dai porti (139 soltanto in Cina), il doppio dello scorso anno. La rotta più penalizzata è la costa Ovest americana, ma anche in Europa le difficoltà ci sono. E se un piumino arriva nei negozi a febbraio, invece di adesso, allora non serve più a nulla.
A sparire, almeno dalla Cina, è quella parte di business di poco valore. «Molti ora si stanno rivolgendo all’Europa dell’Est», conclude Ciardi. «Ripensare la produzione in Europa è il tema del momento, ma non è semplice. Vuol dire trovare un fornitore che mi dia la stessa qualità e sicurezza. Ovviamente si accorcia la supply chain. Ma i fornitori devono essere in grado di far fronte alla produzione». Un ritorno alla normalità non si vede. «Non sarà prima del capodanno cinese». Arrivederci a febbraio.