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 2021  agosto 15 Domenica calendario

In morte di Ranieri Polese

Poteva ricordare con sintesi vaporose una lezione di Cesare Luporini, suo maestro di filosofia all’Università di Firenze, e scivolare subito dopo in un’analisi comparata dei romanzi noir italiani e americani. O tracciare paralleli tra i fermenti protonazisti nella Repubblica di Weimar, punita oltremisura dai vincitori della Grande Guerra, e l’eclissi di un certo spirito popolare in Grecia (dove aveva casa nell’isola di Simi) per colpa dello strangolamento economico deciso da Bruxelles con la crisi del 2009. Oppure curare gli «scritti militanti» di Luis Sepúlveda, non disdegnando di dedicare un saggio alle canzoni di Vasco Rossi. E al ristorante milanese Rigolo di largo Treves, dopo aver magari relazionato gli amici sui film «non premiati» a Cannes, era sempre pronto a gareggiare canticchiando i motivetti di remoti Festival di Sanremo. 
Teneva insieme questo e moltissimo d’altro, Ranieri Polese Remaggi, stroncato a Milano alle sette del mattino di ieri da una dura malattia contro la quale ha combattuto per sei anni. Nato a Pisa nel 1946 in una famiglia della borghesia colta (il padre avvocato-umanista, un suo fratello, Luigi, orientalista con cattedra a Tokyo) e vissuto fino alla maturità a Firenze, ha scritto sulla «Nazione» e «l’Europeo», approdando nel 1989 alle pagine culturali del «Corriere della Sera», regno di Giulio Nascimbeni, storica firma di via Solferino. 
Al fianco del vecchio «paròn» Polese ha lavorato per diversi anni, perfezionando lo stile «Corriere» che gli era già connaturato, prima di prendere lui stesso il timone della redazione. Da allora ha arricchito il giornale con le infinite scoperte che ricavava da una cultura di gran classe e dalle sue curiosità di lettore onnivoro e plurilingue (parlava inglese, tedesco e francese), ansioso di novità. Specie se non venivano dal paludato mondo accademico, che non amava. 
Un eclettismo che gli ha consentito di mischiare «alto e basso» della letteratura, del teatro, del cinema (era nel sindacato dei critici dagli anni Settanta e fu tra i selezionatori alla Biennale di Venezia), della musica e di ogni forma d’arte, più o meno tradizionale, sperimentale o alternativa, purché anticipasse lo spirito del tempo. Ranieri Polese, insomma, accoglieva tutto. Senza pigrizie o snobismi, con generosità anche verso gli ultimi arrivati sulla scena pubblica perché, oltre ad avere il genio dell’amicizia, era appunto generoso. 
Un canone di autenticità e libertà al quale è stato sino all’ultimo coerente. Lo provano i temi che, in veste di caporedattore, ha fatto esplorare dai colleghi, come i temi che ha approfondito in prima persona, da inviato e editorialista. Scorrere adesso quelle pagine del «Corriere» permette di comporre il suo ritratto intellettuale e morale. Un profilo importante, che si completa con alcuni suoi libri (ad esempio Tu chiamale se vuoi… e Per un bacio d’amor, editi da Archinto), rivelatisi molto più che raffinati divertissement sui debiti letterari delle canzonette. 
Su di lui, poi, un supplemento di conoscenza lo offre la raccolta dell’Almanacco Guanda, che ha curato per anni e in cui si sono riverberate le sue passioni civili. Qualche settimana fa, come per caso, Ranieri mi ha chiesto al telefono se conoscessi il proprio non notissimo poeta francese Paul-Jean Toulet. Sono rimasto stupefatto perché lo conoscevo, e bene: negli anni Sessanta aveva rappresentato quasi un’infatuazione, per me. Quando mi ha messo alla prova cominciando a recitare i suoi versi più celebri, «Amico dormi, domani la tua anima/ il volo prenderà più alto./ Dormi…», e mi ha sentito completare a memoria la poesia, ha taciuto, mettendo giù la cornetta con un colpo di tosse e un «ciao». È stato il suo modo di congedarsi.