La Stampa, 14 agosto 2021
La vecchia Lega fa causa a Salvini
L’eredità della "vecchia" Lega, quella che aveva ancora nella ragione sociale l’indipendenza della Padania e non Salvini premier, finisce in tribunale. Eredità solo politica, dato che il partito ha principalmente dei debiti, in primis i famigerati 49 milioni da restituire allo Stato in ottanta comode rate.
Guida la rivolta antisalviniana Gianluca Pini, storico dirigente romagnolo, deputato per tre legislature: «Da troppo tempo assistiamo a passaggi opachi, poco trasparenti, di dubbia legittimità. Ci rivolgiamo al giudice perché faccia chiarezza».
La storia è lunga ma non troppo complicata. Tutto inizia quando la Lega si sdoppia, nel 2018. Quella storica, con il Nord nel nome, diventa una specie di "bad company", che viene commissariato, chiude in pratica bottega, eredita i debiti ma continua a ricevere il 2 per mille dallo Stato. Chi fa politica è il partito nuovo, salviniano e "nazionale". C’è però chi non ci sta, leghisti della prima ora e del primo partito, che insistono a tesserarsi benché le sezioni non ci siano più: «Io ho continuato a fare il bonifico perché sono leghista da trent’anni: leghista, non salviniano. Nel ’20 - continua Pini - volevamo presentarci con il simbolo della Lega Nord alle amministrative. Il commissario, Igor Iezzi, ci rispose che non era possibile perché la Lega Nord non faceva più attività politica. Ma come può un partito che non fa politica ricevere contributi statali?». La requisitoria di Pini non finisce qui. «Secondo lo Statuto, è iscritto alla Lega chi paga la quota associativa entro il 31 marzo di ogni anno. Io l’ho fatto e con me una ventina di persone, a mio giudizio le uniche, oggi, davvero iscritte alla Lega Nord. Abbiamo chiesto che i consiglieri federali e il commissario dimostrassero di essere iscritti, ma non l’hanno mai fatto. Anche se poi nel giugno del ’20, tre mesi dopo la scadenza dei termini, decisero che il tesseramento era gratuito e il rinnovo automatico». Morale: «Stanchi di chiedere spiegazioni e soprattutto di non ottenerle, abbiamo deciso di rivolgersi agli avvocati. Bisogna stabilire perché un partito che non fa attività politica continui a ricevere soldi dallo Stato che usa per pagare il suo debito allo Stato o per distribuirli in generose consulenze». Pini, confessi che mirate soprattutto al simbolo, quell’Alberto da Giussano con lo spadone alzato contro il Barbarossa e Roma ladrona che è sopravvissuto a tutte le rifondazioni... «Deciderà il Tribunale».
Insomma, torna a battere un colpo la minoranza interna, quella che all’ultimo congresso della Lega "originale", nel ’17, ottenne un dignitoso 20% per il suo leader, l’ex assessore regionale lombardo Gianni Fava. Un minoranza, spiega Pini, che continua a credere che la "questione settentrionale" esista e che la Lega possa essere sia nazionale che regionale, «tipo la Cdu-Csu tedesca. Il salvinismo è su un piano inclinato, in perdita di consensi, senza una strategia chiara se non rincorrere i sondaggi e scimmiottare la destra di Meloni».
E qui la provocatoria iniziativa dei "vecchi" leghisti combacia con il crescente malumore di una parte del partito "attuale", quella governativista, moderata e soprattutto draghiana, per la linea troppo a destra di Salvini. L’affaire Durigon ha suscitato molti malumori. «Non sarebbe un caso clamoroso ma il problema è che non è il primo - spiega un cacicco leghista di primo piano -. Certo, è agosto e i giornali hanno montato il caso. Durigon resterà al suo posto perché non ha alcuna intenzione di dimettersi né Salvini di dimetterlo. Ma la storia è il sintomo di una certa leggerezza nell’arruolare nuovi personaggi che hanno uno stile e un modo di fare politica molto lontani dal nostro». Chi ci mette nome e cognome è l’eurodeputata Gianna Gancia: «Sono da sempre contraria, per piacere lo scriva, all’alleanza con l’estrema destra in Europa. Personalmente, nulla contro Durigon che non conosco. Però credo che non sia proprio un buon momento per prestare il fianco alle critiche in Europa e per dare dei motivi di imbarazzo al governo Draghi».