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 2021  agosto 14 Sabato calendario

Quando Nixon liberò le valute

La prossima volta che fate compere su internet, mettete benzina o pagate le tasse, ringraziate, (o maledite), Richard Nixon. È un’ironia della Storia che il peggiore presidente americano dell’era moderna (nonostante Trump, Nixon si merita ancora quel titolo), abbia preso una decisione epocale per l’economia mondiale. Successe cinquant’anni fa, il 15 agosto 1971, una domenica proprio come quest’anno. Dopo un summit segreto tra Nixon e i suoi consiglieri economici a Camp David, il presidente annunciò in un discorso televisivo la fine del “gold standard”, il sistema aureo che aveva regolato le finanze del pianeta sin dal termine della Seconda guerra mondiale. La rottura del rapporto di cambio fisso tra il dollaro e l’oro scatenò una rivoluzione economica che aprì la strada alla globalizzazione, al commercio internazionale e ad un periodo di lunghissima prosperità e pace, ma anche all’esplosione del debito pubblico, all’instabilità cronica dei mercati e al declino del superpotere americano nel mondo del denaro. Le cronache raccontano di un Nixon preoccupato, non di stravolgere gli equilibri economici che avevano permesso all’Europa e al Giappone di rinascere dopo la distruzione bellica e agli Usa di dominare il capitalismo internazionale, bensì di essere odiato dagli americani perché il suo discorso avrebbe interrotto il popolarissimo telefilm Bonanza. La mossa a sorpresa di Nixon creò il sistema di “valute fiat” che è sopravvissuto fino ad oggi. Le divise moderne sono supportate non dai lingotti d’oro nelle casseforti governative ma dalla credibilità del Paese o blocco che le emette, mentre il loro valore fluttua liberamente a seconda dei fondamentali economici, della fiducia degli investitori e dei flussi speculativi dei mercati.
È una struttura che oggi diamo per scontata ma che, all’epoca, fu criticata da molti perché i cambi fissi decretati dall’accordo di Bretton Woods nel 1944 avevano portato al boom di Usa, Europa e Giappone negli anni ‘60.
Ma fu proprio la rinascita dei Paesi sconfitti nella Seconda guerra mondiale a creare scompensi per il “gold standard”, mettendo pressione sugli Usa – che, indebolito dalla guerra in Vietnam, non aveva abbastanza oro per garantire il dollaro – e spingendo il mondo sull’orlo della stagflazione: il doppio smacco di inflazione e contrazione.
La “liberazione” delle valute fece sì che i Paesi produttori potessero facilitare le esportazioni svalutando le proprie divise (un meccanismo che, purtroppo, è stato spesso abusato da governi alla ricerca di scorciatoie) e i Paesi consumatori potessero comprare beni e servizi con monete forti. Come ha scritto sul Wall Street Journal Jeffrey Garten, professore di Yale e autore di un nuovo libro sul summit del 1971, “il nuovo sistema ha permesso al commercio e ai flussi di capitale di fiorire, il che ha contribuito ad abbassare i prezzi e ad ampliare le scelte dei consumatori, riducendo drasticamente la povertà globale”. Ma non solo. La rottura dell’ancora tra dollaro e oro ha dato il via libera a banche centrali e governi per stampare denaro. Il risultato è una marea di debito: alla fine dell’anno scorso ha raggiunto 281.000 miliardi di dollari, più del 330% del valore del Pil mondiale. Fin quando i tassi d’interesse rimangono bassi, i costi non saranno elevati ma, prima o poi, queste bollette andranno pagate con un amaro cocktail di tasse e austerità.
La roulette delle monete – e gli strumenti finanziari creati per scommetterci – hanno contribuito alla precarietà dei mercati. Tra il 1947 e il 1967 c’è stata solo una crisi finanziaria di rilievo (in Gran Bretagna). Dal 1971 ad oggi, ne abbiamo contate almeno dodici, dallo shock del petrolio del 1973 fino alla crisi dell’euro. E nonostante l’inesorabile ascesa di azioni e obbligazioni, la traiettoria dell’economia mondiale in questo periodo è da montagne russe, con molti vincitori ma anche molti perdenti. Dopo mezzo secolo, è forse il momento di cambiare. Ci sono molti pretendenti al trono del denaro: dalle criptovalute ai sistemi di pagamento digitali alle iniziative di Big Tech. Li accomuna il fatto che sono tutti al di fuori dell’orbita delle autorità tradizionali.
Sappiamo già che il prossimo annuncio-bomba non interromperà Bonanza, ma la domanda fondamentale è se la prossima rivoluzione monetaria partirà dai governi o se a guidarla saranno le tante forze centrifughe del capitalismo mondiale.