la Repubblica, 14 agosto 2021
In Giappone mi scrivo dalle Poste del Futuro
Mi sono imbattuta nell’Ufficio Postale del Futuro un anno fa a Shiretoko, una località remota nel nord-ovest del Giappone, in Hokkaid?. In un angolo dellahall della ryokan dove alloggiavo, si ergeva una sorta di scultura sui toni del bianco e dell’azzurro che recitava: Mirai y?binkyoku ovvero “Ufficio Postale del Futuro”.
Si tratta di un servizio creato da Yoshiaki Kaihatsu, un artista che, in alcune zone del Giappone e in certi periodi dell’anno, offre la possibilità di spedire una lettera che verrà tuttavia recapitata dopo un intero anno. La carta da lettere è azzurra, come azzurro è l’uccellino della felicità dell’opera teatrale di Maurice Maeterlinck – la felicità che, appena i due piccoli protagonisti cercano di afferrare, svanisce. Il servizio costa 200 yen (circa 1,50 euro), ed è comprensivo della carta da lettere, della busta e del francobollo mentre la cifra sale a 45.000 yen per chi, aziende e organizzazioni, vuole acquistarne un set da 500 pezzi.
Basta tuttavia frugare in rete per scoprire come esistano altri servizi simili in Giappone, tra cui la Japan Philatelic Society Foundation, l’Ufficio Postale del Futuro della città di Suita (?saka), e Mirai Post, una azienda attiva tutto l’anno e su tutto il territorio giapponese, che custodisce per un periodo massimo di 10 anni cartoline, lettere o taimu kapuseru “capsule del tempo”, scatole di tre diverse dimensioni (piccola, media, grande) in cui inserire ogni sorta di messaggio od oggetto.
Ricordo ancora il pomeriggio a Shiretoko in cui scrissi la lettera, non ad altri ma a me stessa. Ero seduta a terra sul tatami e con l’oceano placido oltre la vetrata, e scrivendo e scrivendomi a mano su quella piccola distesa color felicità ricordo avvertii il peso di ogni parola, quasi intuissi la responsabilità di un vaticinio. Ora che è trascorso un anno esatto, la lettera mi è stata recapitata e riposa ancora sigillata sul mio comodino. Cosa si prova? Si prova innanzitutto stupore nel ricevere una lettera cartacea, poi subentra il timore per la severità di quell’altra sé che nel passato si aspettava qualcosa, e insieme giunge la tenerezza per l’ingenuità di ognuno nell’augurarsi la gioia.
Delle tante celebrazioni informali di cui è fitto il calendario giapponese, esiste persino una data dedicata al “Giorno dell’Ufficio Postale del Futuro”. Fissata da una azienda che produce etegami ovvero cartoline dipinte a mano (una tradizione antica che, soprattutto in estate e a fine anno, conserva l’abitudine tutta analogica di scambiarsi formule di saluto e ringraziamento per iscritto), si celebra il 1° di marzo, per la particolare lettura della data che, in giapponese, ricompone la parola futuro.
Una di quelle parole intraducibili che mi colpì durante i primi anni di frequentazione con questa complicatissima lingua fu natsukashii, «che spiega il sentimento di mancanza anche per qualcosa di cui non si è mai fatta esperienza, qualcosa di bellissimo e intenso, come un’infanzia felice che si immagina con tutta la pienezza di una gioia non ricevuta». È esattamente la sensazione che comunica il servizio dell’Ufficio Postale del Futuro. Jacques Lacan scriveva che la lettura del passato la fa il futuro; che il passato, in poche parole, lo fabbrica il futuro. Ed ecco che forse la chiave di lettura di tutto è proprio quella nostalgia anticipata che si prova scrivendosi come Alice nel Paese delle Meraviglie che cerca (inutilmente) di elargirsi buoni consigli.
In un istante, con una nettezza che si fatica a spiegare, il Presente diventa Passato sotto la penna, si dilata l’immaginazione su di sé e succede quella magia che nessuno nel quotidiano riesce mai a fare, ovvero far sì che il Presente (che mentre si scrive diviene già Passato) possa portare a termine il suo vero compito, ovvero ispirare il Futuro.
E poi? Dopo aver spedito la lettera all’Ufficio Postale del Futuro cosa serve fare? Ma è ovvio: dimenticare le proprie parole. Solo così, aprendola e leggendola, la si potrà davvero sentire.