Corriere della Sera, 13 agosto 2021
15 agosto 1971, il dollaro non è più legato all’oro
Era il 1971, il 15 agosto, domenica come quest’anno, e Richard Nixon prese una decisione formidabile. In prima serata, interruppe «Bonanza», un telefilm western che gli americani apprezzavano forse più del loro presidente, nel quale si raccontavano le storie del ranch di Ben Cartwright, dei suoi tre figli e del loro cuoco cinese (show molto amato anche dai baby boomer italiani). Con gli Stati Uniti all’apice del loro splendore – la luna da poco conquistata, il Vietnam non ancora perso, l’apertura alla Cina nelle carte – la Casa Bianca doveva fare un annuncio storico, che ben giustificava l’invasione della fattoria dei Cartwright.
Nixon lo fece e cambiò la storia dei decenni successivi, fu il “Nixon shock”: chiuse l’epoca dei cambi stabili, aprì quella delle valute fluttuanti e del boom della finanza. È la demarcazione tra l’era della stabilità decisa negli accordi del 1944 a Bretton Woods tra 44 Paesi e i cinquant’anni successivi (ma si andrà ben oltre il compleanno di questi giorni). Il presidente apparve sugli schermi degli americani e annunciò una serie di misure: le più immediatamente significative per i cittadini erano il blocco per 90 giorni di prezzi e salari (per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale) e un’imposizione del 10% sulle importazioni. Quella che cambiò il mondo, però, fu la decisione di sospendere unilateralmente gli accordi di Bretton Woods sui cambi che tanto bene avevano funzionato per le economie occidentali per un quarto di secolo.
Nel 1944, tra le altre cose si era deciso che la valuta della nuova superpotenza mondiale, il dollaro degli Stati Uniti, sarebbe stata l’àncora dei sistemi a libero mercato. La valuta verde era ancorata all’oro a un cambio di 35 dollari l’oncia e i Paesi esteri che possedevano dollari, e avevano un cambio fisso con il biglietto verde, potevano in ogni momento chiedere di convertirli in oro a quel prezzo. Un sistema rigido ma che proiettava una stabilità internazionale garantita dalla potenza economica americana. Di fatto, si trattava di un gold standard, cioè del vecchio sistema di ancoraggio delle valute all’oro, intermediato dal dollaro. Era una situazione che di fatto imponeva prudenza alla Federal Reserve (Fed, la banca centrale Usa) perché se la valuta avesse perso valore a causa dell’inflazione ci sarebbe stata una corsa all’oro detenuto nei forzieri di Fort Knox.
In effetti, negli Anni Sessanta il dollaro divenne via via sopravvalutato rispetto ai cambi fissi con le altre valute del sistema, a causa delle spese per la guerra in Vietnam, di una bilancia dei pagamenti negativa, di un debito pubblico in crescita. All’inizio dei Settanta l’inflazione americana era cresciuta e nel 1971 sfiorava il 6%. Ciò creava disagi a livello internazionale. Dubbi sulla sostenibilità ma anche critiche per quello che i francesi chiamavano “l’esorbitante privilegio dell’America”: cioè a Washington stampare una banconota da cento euro costava pochi cent ma per averne una dello stesso valore gli altri Paesi dovevano pagare l’equivalente di cento dollari. Già nel 1965 il presidente francese Charles De Gaulle aveva annunciato l’intenzione di cambiare in oro le riserve in dollari detenute a Parigi. Negli anni successivi, le tensioni crebbero, alcuni Paesi chiesero oro a Washington e il marco tedesco abbandonò i cambi di Bretton Woods perché ormai troppo forte. Sotto pressione, quel 15 agosto 1971 Nixon decise di uccidere il sistema di Bretton Woods dei cambi fissi decidendo di sospendere la convertibilità del dollaro in oro.
A dire il vero, l’intenzione dichiarata del presidente era di sospenderlo solo per un periodo, in modo da riallineare i valori. In realtà, la decisione si rivelò permanente. Da allora, non è più il riferimento all’oro ciò che dà credibilità a una valuta ma la garanzia delle banche centrali che non le faranno perdere valore. Nel semi-gold standard di Bretton Woods, una banca centrale doveva agire per mantenere la sua valuta al prezzo stabilito dall’àncora dollaro-oro, dopo tutto si è trasferito sulla credibilità: della banca centrale e della valuta in questione. Il sistema di fluttuazione valutaria, assieme ad altre innovazioni e modifiche successive, ha aperto la strada nei decenni successivi al boom della finanza.
Era meglio il gold standard esistente negli Anni Cinquanta e Sessanta, che furono di grande crescita nei Paesi di libero mercato? John Maynard Keynes lo riteneva un “residuo incivile”. E la maggior parte degli economisti lo respinge oggi. Bisogna però dire che negli Stati Uniti l’inflazione media annua fu dello 0,2% dal 1790 al 1913 quando fu fondata la Fed; del 2,7% dal 1914 al 1971, quando la banca centrale ha gestito per parecchi anni il gold standard compreso quello di Bretton Woods; del 4% tra il 1972 e il 2019. Ciò nonostante, il ritorno al vecchio sistema sembra impossibile: non c’è il consenso e 50 anni di fluttuazioni non solo delle valute e di grande finanza lo rendono probabilmente improponibile. Da quel giorno in cui Nixon interruppe «Bonanza», arriva però un’altra lezione: mai distrarsi in pieno agosto.