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 2021  agosto 13 Venerdì calendario

Tornare a rivedere il centro

Il fatto che si torni a parlare di un raggruppamento di centro fondato sulla possibile convergenza tra Forza Italia e i seguaci di Matteo Renzi ripropone il tema della congenita idiosincrasia al bipolarismo del sistema politico italiano. In tanti evidentemente ci eravamo sbagliati: il bipolarismo non fa per noi. 
Per molte ragioni. Vuoi per il carattere frastagliatissimo delle secolari vicende della Penisola e il deposito di personalismo, individualismo e localismo che si sono lasciate dietro; vuoi per la presenza nella nostra storia del fascismo e del comunismo con tutti i settarismi e le contrapposizioni frontali, le preclusioni ideologiche, che hanno comportato. Infine – o forse soprattutto – per quel misto di opportunismo e di cinico realismo, di prontezza a cogliere le opportunità e perciò a mutare d’opinione, quella propensione alla «manovra» e all’accordo dietro le quinte che sono al cuore di una tradizione nazionale la quale ha dato, sì, vita al trasformismo, ma anche al connubio cavouriano e all’incontro tra liberali e democratici, o tra i sei partiti del Cln, senza di che non ci sarebbe stato né il Risorgimento né la Resistenza né la Costituzione. 
Il ritorno d’attualità del tema del centro non può non richiamare – forse a lui per primo – la grande occasione mancata da Silvio Berlusconi. L’occasione cioè di costruire al momento della sua discesa in campo un grande centro moderato, svuotando politicamente ed egemonizzando quanto stava alla sua destra.
I n questo modo ripetendo in sostanza quanto a suo tempo aveva fatto la Democrazia cristiana con il Movimento sociale. Un’occasione che come ho detto, Berlusconi ebbe fin dall’inizio, al momento del suo massimo potere di coalizione nel 1994, allorché Forza Italia – formazione conservatrice-moderata di tono genericamente liberale e a vocazione palesemente centrista – strinse una duplice alleanza diversificata – al Nord con Bossi, al Sud con Fini – ponendosi come collante ma insieme come garante decisiva dello schieramento elettorale. Un’analoga occasione di tipo centrista si ripresentò più o meno con la vittoria del 2001. 
Non credo valga l’obiezione che nella Seconda Repubblica Berlusconi, a differenza della Dc nella Prima, non si trovava alle prese con una destra delegittimata. 
In realtà, infatti, è vero, come io credo, che An non aveva, e ancor più Fratelli d’Italia non ha, nulla di fascista così come anche la Lega ha sostanzialmente deposto da tempo l’antico sovversivismo separatista. È altrettanto vero però che appiccicato a entrambi è sempre rimasto e rimane tuttora qualcosa che alla fine rende a entrambe non poco problematico candidarsi in prima persona alla leadership di governo. È il fatto che gli uni e l’altra hanno rotto, sì, con le loro origini «eversive», ma non sono riusciti a costruire una propria identità realmente autonoma dal passato dandosi per il presente una linea politica consistente e coerente. In un certo senso Lega e FdI sono rimasti a metà del guado. Ecco allora il ricorso al surrogato dell’«opposizionismo», la tentazione di dire sempre di no per dare e avere l’impressione di consistere politicamente in qualcosa, la tentazione ricorrente di attaccarsi a ogni protesta, di dar voce a qualunque movimento antifiscale o antivax e insieme di cavalcare ogni invocazione tipo «legge e ordine». Ma da qui pure, paradossalmente, una costante difficoltà/incapacità sia della Lega che di Fratelli d’Italia di essere dalla parte dello Stato – non a caso Giorgia Meloni parla solo e sempre di «nazione» – salvo che si tratti di prendere le parti di polizia e carabinieri. Un’incapacità/difficoltà che rispecchia per l’appunto una sorta di anarchismo «de’ noantri», e che è frutto della difficoltà in generale di riconoscersi in un disegno coerente di fini, in un ordine politico di regole. 
In teoria una destra simile avrebbe dovuto costituire una condizione ideale perché Forza Italia potesse occupare e magari rafforzare un ruolo di tipo centrista svolgendo nei confronti di essa una funzione legittimante. E invece è in certo senso accaduto il contrario, tanto è vero che oggi Forza Italia è ai minimi termini mentre Lega e FdI veleggiano ai primi posti dei sondaggi candidandosi al governo del Paese. Come mai, per quale motivo? 
Innanzi tutto per un motivo probabilmente ideologico. Decisa ad essere opposta e diversa dalla Prima, la Seconda Repubblica nacque infatti all’insegna ideologica del bipolarismo, che Forza Italia non poté che condividere. Anche perciò, e forse perché convinto che il proprio strapotere finanziario e mediatico avrebbero assicurato per sempre alla sua creatura un’assoluta preminenza, Berlusconi stesso si rifiutò di vedere la situazione per quella che era e si accomodò al «bipolarismo all’italiana», il bipolarismo di coalizione, non esplorando neppure l’ipotesi diciamo così «democristiana» di incarnare il centro cercando di egemonizzare la destra.
Per riuscirci gli mancava comunque un elemento decisivo: la possibilità dei due forni. Cioè la possibilità di ricorrere ad un aiuto a sinistra ogni volta che gli fosse mancato l’appoggio della destra e come strumento di pressione verso quest’ultima. Era per l’appunto quanto a suo tempo aveva invece potuto fare la Dc ricorrendo ai repubblicani e ai socialdemocratici, poi ai socialisti, infine anche ai comunisti. Da questo punto di vista l’ideale per Berlusconi sarebbe stata probabilmente la sopravvivenza del Partito Popolare, che nel ’94 aveva ricevuto pur sempre l’11 per cento dei voti.
Sta di fatto che per crearsi la possibilità dei due forni Berlusconi avrebbe dovuto capire – come una volta gli consigliò platealmente il suo ministro Giuliano Ferrara nell’aula della Camera – che dopo il suo strabiliante successo, almeno con qualche personalità o segmento della sinistra gli sarebbe convenuto mostrare un volto benevolmente inclusivo anziché antagonista, dal momento che tanto la destra l’aveva comunque in pugno. In altre parole Berlusconi avrebbe dovuto fare davvero politica, vera politica. Il guaio è che precisamente ciò, come si sa, gli è stato però reso sempre difficile se non impossibile dalla sua posizione proprietaria, dai vasti interessi connessi a tale posizione e dalla conseguente legislazione a suo personale vantaggio che il Cavaliere si è sempre sentito in dovere di promuovere. E che la destra sua alleata non fece mai nulla per contrastare ben sapendo che in realtà proprio questo elemento serviva a ribaltare la propria posizione di dipendenza e di debolezza in una posizione di forza, rendendola di fatto indispensabile. E infatti stante la propria immagine e la propria politica, con chi altri si sarebbe mai potuto alleare Berlusconi alle elezioni o in Parlamento?
L’eventuale riposizionamento centrista di Forza Italia oggi (con Renzi o molto più verosimilmente senza) vorrebbe davvero dire la fine di questa lunga prigionia. Sistemati ormai i suoi interessi proprietari, Berlusconi potrebbe sentirsi una buona volta libero di far ritornare Forza Italia a quella vocazione conservatrice-moderata di tono liberale che è geneticamente la sua. Certo, avendo ormai a disposizione un patrimonio elettorale ben minore che nel passato. Ma come diceva uno che se ne intendeva «anche con il 10 per cento dei voti si possono fare grandi cose».