la Repubblica, 13 agosto 2021
Breve storia del muro di Berlino
Tutto cominciò e tutto finì con una bugia. Nell’estate del 1961, quando le voci sulle intenzioni della Germania Est di frenare l’emorragia di esuli con un gigantesco muro lungo la frontiera diventarono assordanti, Walter Ulbricht proclamò, indignato, che «nessuno ha intenzione di costruire un Muro». La storia della Ddr iniziò così, con la più grande bugia del secolo, per i tedeschi delle due Germanie. Separati dal 13 agosto di sessant’anni fa, per quasi trent’anni, da una “striscia della morte”. Un’area di muri, di filo spinato, di mine antiuomo, di cavalli di frisia, presidiata dai famigerati Vopos che avevano l’ordine di sparare a vista. Nella primavera del 1989, quando il successore di Ulbricht, Erich Honecker, proclamò che «il Muro ci sarà ancora tra 100 anni», anche quella bugia fu smentita. Il 9 novembre del 1989, il Muro franò sotto i colpi della Rivoluzione pacifica – l’unica rivoluzione che i tedeschi si siano mai concessi. E la Ddr, in bancarotta da tempo, implose fragorosamente. Al 13 agosto del 1961 risale anche il primo “ricordo politico” di Angela Merkel. La futura cancelliera aveva appena compiuto sette anni: il giorno che il Muro fu eretto, sua madre Herlind pianse ininterrottamente. Veniva da Amburgo, era cresciuta nella Germania Ovest; si era trasferita nella Ddr con la piccola Angela ancora in fasce per seguire il marito, per amore del pastore Kasner. Quasi tre decenni dopo, quando il Muro cadde, Angela Merkel era già in ascolto. Non si era mai ribellata apertamente al regime. Ma nei mesi caldi della rivoluzione, aveva messo timidamente il naso in qualche movimento di opposizione. Quando la Cortina di ferro si disintegrò, la giovane scienziata cresciuta nel Brandeburgo si lanciò nella più straordinaria carriera politica della Germania riunificata. Ma ogni volta che si parla di barriere alle frontiere, di tetti ai profughi, ogni volta che in Europa torna lo spettro dei muri, Merkel ricorda quella ferita, quell’anelito verso la libertà che l’ha angustiata nei primi trentacinque anni della sua vita. E che fonda ancora oggi la sua azione politica.
Nella lunga era della Germania divisa, il Muro è stato oggetto di mistificazioni, eufemismi e bugie. E stato il simbolo di tragiche morti e di spettacolari fughe, è stata l’oggetto proibito di una sehnsucht collettiva mai sopita, neanche dal feroce apparato di sicurezza della Stasi che aveva il compito di tenere i tedeschi orientali chiusi dentro. Tanto che la costruzione del Muro, nell’estate del 1961, fu accompagnata da una colossale operazione di trasferimento forzoso delle famiglie che abitavano vicino alla frontiera che non fossero fedelissime al regime. La battezzarono “operazione parassiti”. Ufficialmente, il Muro era stato definito, invece, la “barriera antifascista”, i bonzi la consideravano un argine contro l’imperialismo capitalista, si consideravano dalla parte giusta della storia. Dopo il 1945, sedici milioni di ex sudditi del regime nazista divennero dal giorno alla notte i vincitori della guerra contro Hitler a fianco dell’Armata rossa. La Ddr si considerava la Germania più democratica; mentre elemosinava soldi a Mosca, proclamò per decenni l’imminenza del “sorpasso” sulla Germania Ovest. Ines Geipel, ex atleta di punta della Germania Est e instancabile nel denunciare il doping di Stato, sostiene da anni che la scarsissima elaborazione del nazismo nella Germania Est è una delle ragioni del successo delle ultradestre e dei neonazisti nei Land al di là dall’Elba.
Il Muro divenne anche il simbolo del coraggio e delle disperazione. Di eroi come Joachim Rudolph, che cominciarono dal primo giorno a scavare – da Ovest – un tunnel sotto alla Bernauer Strasse per consentire ai suoi fratelli dell’Est di continuare a scappare. Quando riemerse dopo settimane di scavi dal suo “tunnel 29”, Joachim incrociò lo sguardo di una donna, se ne innamorò all’istante e la sposò. Altri furono meno fortunati. Olga Segler morì sul colpo nel tentativo di buttarsi dalla finestra per atterrare dalla parte democratica della Germania e raggiungere sua figlia: la sua casa di Bernauer Strasse era diventata dal giorno alla notte una parte del Muro. Minimo 240 persone persero la vita nel tentativo di scappare a Ovest, tra il 1961 e il 1989. L’ultima vittima fu Chris Gueffroy. Nella notte tra il 5 e il 6 febbraio del 1989, il berlinese ventunenne tentò di attraversare la frontiera con un amico e fu ucciso da una pallottola al cuore sparata da un poliziotto di frontiera. I funzionari della Stasi convocarono la madre, la interrogarono e le comunicarono soltanto dopo molte ore che il figlio era stato ucciso. Il Muro spezzò famiglie e spezzò cuori, per ventotto lunghi anni. «Il cielo, almeno, non possono dividerlo» dice Manfred alla sua amante Rita, nel più celebre romanzo di Christa Wolf. «Sì invece», gli risponde lei: «il cielo è sempre il primo ad essere diviso».