la Repubblica, 13 agosto 2021
Il fuoco, da Prometeo a oggi
Senza il fuoco non ci sarebbe la civiltà. Prometeo lo ruba agli dei per donarlo agli umani e viene punito per l’eternità. L’ Homo erectus utilizzava il fuoco già 400.000 anni fa, prima che apparissero i nostri diretti progenitori. Il fuoco serviva per scaldare, cacciare, coltivare, proteggersi dai predatori, cucinare e digerire i cibi, ovvero per diventare quello che siamo, perché senza il fuoco non ci sarebbe nessuna attività: l’ Homo faber è nato dal fuoco. Migliaia e migliaia di anni non bastano però a controllare il fuoco, a usarlo con attenzione e discernimento. Così ora le foreste della penisola, in particolare al Sud, ardono e inceneriscono. Il fuoco fa paura, ma al tempo stesso ci attira.
Gaston Bachelard nella sua Psicoanalisi del fuoco ci mostra come funziona l’attrazione e la repulsione del fuoco, il suo substrato psichico: bruciare è distruggere, e insieme fertilizzare il terreno, come sapeva bene l’ Homo sapiens. Nel fuoco vivono i demoni e dal fuoco rinasce l’Araba fenice. Se Prometeo rappresenta la tendenza al sapere – per Bachelard è il complesso d’Edipo della vita intellettuale –, Erostato è il suo contrario: la volontà di diventare famoso appiccando il fuoco al tempio sacro di Artemide a Efesto. La religione nasce dal fuoco, dai sacrifici, ci ricorda Mirecea Eliade. Hestia, la divinità della casa, contrapposta a Ermes, dio degli incroci e dei commerci, è la custode del focolare. Secondo il filosofo francese alla base della psicologia dell’incendiario c’è un carattere di natura sessuale; del resto, nella creazione del fuoco si associa un gesto di violenza e di distruzione. Il fuoco “è il fenomeno oggettivo di una rabbia intima, di una mano che si inasprisce” (Bachelard). Sono stati i ripetuti incendi accidentali o volontari, effetto di guerre o di gesti sconsiderati, a spingerci a costruire con materiali inerti quali la pietra e i mattoni le nostre case e le città.
Italo Calvino in viaggio in Iran raggiunge il tempio zoroastriano dove arde da tempi immemorabili il fuoco della divinità creatrice, Ahura Mazda, dio del fuoco. Lo scrittore è affascinato dal potere distruttivo delle fiamme, lo teme e insieme lo attrae. Il fuoco è vita e morte, e dentro le fiamme sono racchiusi i significati della purezza, della passione dell’assolutezza. L’universo stesso è un grande incendio, riflette Calvino, consapevole che il Sole, che ci trasmette energia e vita, è in realtà una palla di fuoco. Nel suo diario di viaggio annota una frase di Jean Cocteau, cui era stato chiesto: se la sua casa brucia, cosa porterebbe in salvo? Aveva risposto: il fuoco! Senza di lui saremmo comunque più poveri.