Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  agosto 12 Giovedì calendario

L’investitore in bitcoin non è anti sistema

Una moneta alternativa. Un sistema di pagamento elettronico che permetta a due soggetti di compiere transazioni direttamente tra di loro senza la necessità di una terza parte che faccia da garante. È, come si deduce dal “white paper” di Satoshi Nakamoto, uno dei punti fondanti del bitcoin. Un cryptoasset che tutt’ora, nella narrazione popolare, è spesso vissuto come anti-sistema. La riprova? Secondo gli esperti il fatto che nel febbraio scorso, quando agli investitori della piattaforma online Robin Hood è stato di fatto impedito di comprare le azioni di GameStop (creando difficoltà agli hedge fund ribassisti sul titolo), i flussi in acquisto si sono riversati proprio sulle cryptocurrency. 
Il working paper della Bis
Sennonché le cose non paiono stare così. Almeno secondo un working paper pubblicato dalla Bank of international settlement (Bis). Gli studiosi, dapprima, hanno analizzato i dati sulle scelte di pagamento dei consumatori negli Usa pubblicati dalla Fed di Atlanta dal 2009 ad oggi. Poi hanno confrontato queste informazioni con molteplici variabili socio-economiche: dall’uso dei sistemi di pagamento digitali al grado di fiducia nel contante e nei servizi bancari tradizionali fino al livello di reddito ed educazione. Ebbene: ciò che è saltato fuori è che chi investe in cripto asset non ha particolari paure rispetto al cash né ripone scarsa fiducia negli istituti di credito. I cripto asset non vengono percepiti come alternativi alla moneta legale o alla finanza regolata. Bensì, indicano gli esperti, sono considerati «una nicchia digitale oggetto di speculazione». Insomma, i dati mostrano che chi opera con le criptovalute ha, tra gli altri, un obiettivo: il guadagno. 
La visione degli esperti
«Non vedo nulla di cui stupirsi – afferma Christian Miccoli, cofondatore di Conio-. Il mercato dei cripto asset si è ingrandito e via via articolato nel tempo. La maggioranza degli investitori guarda alle cryptocurrecies come un modo, seppure da attuare con molta cautela, per diversificare il portafoglio rispetto ad azioni e titoli tradizionali». Potrà essere così, e tuttavia non può negarsi da un lato che, come nel caso del bitcoin, i token digitali nascono e si sviluppano quali alternative alle valute fiat; e, dall’altro, che ancora adesso la narrazione principale (soprattutto tra gli esperti) ha non di rado il retrogusto dell’anarco-capitalismo o dell’anti-sistema. «Non mi pare-ribatte Miccoli-. Fenomeni quali quelli del bitcoin sono anche il frutto di avanguardie, spesso illuminate talvolta radicali». Situazioni in cui non di rado si concretizza la cosiddetta eterogesi dei fini. Cioè: il configurarsi di risultati diversi, ed imprevisti, da quelli considerati dalle stesse avanguardie. «Il bitcoin ne è la prova: più che una valuta alternativa è ormai una riserva di valore, un asset su cui, per l’appunto, investire». Già, investire. Il working paper della Bis riguarda il mondo americano. Ma le conclusioni possono estendersi ad altri Stati, all’Italia? «La risposta è sì -riprende Miccoli- Guardando alla nostra clientela la finalità principale dell’operatività sui cripto asset è il guadagno». Come dire, quindi, che non sussistono grandi differenze tra i vari Stati. Una situazione che, a ben vedere, è confermata dallo stesso rapporto Consob: “Congiuntura e rischi del sistema finanziario italiano in una prospettiva comparata”. Nel paper viene indicato, analogamente al lavoro della Bis, che, ad esempio rispetto all’età, nelle diverse nazioni (dal Belpaese alla Gran Bretagna fino alla Germania) sono sempre i più giovani (18-34 anni) ad usare i cripto asset. Così come, riprendendo i numeri della Bis, è rilevante sia il livello di reddito che quello culturale. Negli Stati Uniti l’incremento del grado d’istruzione fa salire dell’8-11,7% la probabilità di conoscere una cryptocurrency (e quindi d’investire). Mentre essere più ricchi consente di aumentare la consapevolezza sui token digitali del 2,3-3,1%. E rispetto al genere? Qui va rilevato che anche nella criptosfera la parità non esiste. Il fatto di essere un uomo corrisponde ad una probabilità più alta di conoscere almeno una cryptocurrency del 9,6-12,1%. «Si tratta di un identikit – tiene a precisare Andrea Medri, direttore di The Rock Trading – che in larga parte è riscontrabile nello stesso nostro Paese». Seppure, va segnalato, «che anche persone più avanti negli anni si stanno avvicinando ai cripto asset».