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 2021  agosto 12 Giovedì calendario

Renzi e i giornalisti

In questi giorni molti quotidiani hanno riportato distrattamente i passaggi del libro di Renzi dedicati alla magistratura e alla stampa. Nessuno però ne ha sottolineato il senso politico.
L’ex segretario del Pd, l’uomo che ha guidato la sinistra italiana dalla fine del 2013 all’inizio del 2018 con qualche interruzione, scavalca a destra Berlusconi nell’approccio ostile a pm e giornalisti.
Nel suo libro Renzi dedica molte pagine alle inchieste giudiziarie e giornalistiche su di lui, la sua famiglia e i suoi collaboratori.
Il leader di Iv offre la sua visione dei casi Consip, Banca Etruria, del rinvio a giudizio del cognato e del di lui fratello, per la questione dei fondi Unicef. Scambia per una quasi assoluzione il provvedimento del Tribunale del Riesame che ha liberato dagli arresti domiciliari i genitori, confermando però il grave quadro indiziario. Renzi però non si limita ad attaccare Il Fatto per gli scoop. Non si accontenta di riportare come Vangelo la versione di Piero Sansonetti, che lui definisce “ex direttore dell’Unità” (in realtà è stato condirettore) forse perché definirlo ‘direttore del giornale del coimputato di mio padre nel caso Consip’ (Alfredo Romeo) non avrebbe prodotto lo stesso effetto. Renzi non si ferma alla critica faziosa di magistratura e stampa ma si trasforma in istigatore dell’azione dei magistrati contro i giornalisti. E del Csm contro i magistrati. Nemmeno Berlusconi era arrivato a tanto. “Quando un giornalista pubblica una notizia riservata sulla casa della mia famiglia violando il segreto istruttorio e bancario – scrive Renzi – presento una denuncia per violazione del segreto. Casualmente il pm che gestisce il fascicolo è proprio il pm Turco. E cosa succede? Nulla. Nessuno sequestra i telefonini dei responsabili della violazione del segreto: non hanno mica finanziato la Leopolda, loro”. Insomma per Renzi il pm Turco gli ha fatto un torto perché non ha sequestrato i cellulari di due giornalisti che avevano fatto solo il loro dovere raccontando sulla base di documenti veri la storia vera del prestito ricevuto da Renzi stesso per comprare la sua villa di Firenze.
A rendere grottesca questa frase c’è un dato: in passato il cellulare di Tiziano Renzi non è stato sequestrato né dai pm di Roma né dai pm di Napoli nel caso Consip, nonostante Tiziano fosse indagato a Roma. Anche i pm di Firenze hanno evitato fino al novembre del 2019 di sbirciare le comunicazioni del babbo indagato per altri fatti. Viceversa proprio chi scrive questo articolo ha subito un sequestro simile a quello che Renzi oggi auspica contro i colleghi Emiliano Fittipaldi e Giovanni Tizian, nel frattempo passati al Domani.
Nel 2017 i pm di Napoli sequestrarono i telefonini e i pc miei e dei miei congiunti perquisendo quattro abitazioni, compresa quella di mio padre 95enne, per scoprire le fonti degli articoli sul caso Consip. Ebbene la Cassazione spazzò via quel provvedimento abnorme ordinando ai pm di restituire tutto, computer e cellulari, subito, senza leggere nulla. Nonostante questo precedente Renzi si infuria se i pm di Firenze non mandano i finanzieri ad agguantare i cellulari dei giornalisti per scoprire le fonti delle notizie su di lui.
Non è la prima volta. Quando a maggio una signora osò filmare (lecitamente) con il telefonino l’incontro all’Autogrill di Renzi con il funzionario dei servizi segreti Marco Mancini e passò il video a Report, i legali del leader Iv chiesero ai pm di sequestrare e acquisire “il cellulare, i computer, la corrispondenza telematica (email e messaggistica WhatsApp) e gli altri sistemi informatici”.
Renzi è stato il leader della sinistra italiana, che ha sempre mostrato attenzione alla tutela dei magistrati, dei giornalisti e delle fonti. Possibile che nessuno ricordi all’ex premier che il dovere di un politico è rendere conto dei suoi incontri con gli 007 e dei prestiti ricevuti dagli imprenditori senza intimorire giornalisti e fonti?
Anche la sfida finale di Renzi al pm Luca Turco è inedita per un leader politico. L’ex premier prima accusa e poi provoca così il pm che indaga su di lui e i suoi familiari: “Nessun organismo di controllo ha mai scelto di verificare davvero la fondatezza di queste critiche e accuse. E io sono pronto a portare le prove di tutto ciò che sto dicendo annunciando sin da adesso che ove il dottor Turco volesse denunciarmi per le cose – sacrosante e inattaccabili – scritte in questo libro, sono pronto a chiedere al Parlamento di rinunciare alle guarentigie previste dalla Costituzione per affrontare il processo e portare le carte che dimostrano ciò che ho scritto davanti a un giudice terzo”.
Se il pm Turco accettasse la provocazione si metterebbe nelle condizioni di doversi astenere nei procedimenti contro Renzi e i suoi familiari. L’ex sindaco ha studiato legge molti anni fa. Delle due l’una: o sfida il pm Turco perché ha dimenticato le regole dell’astensione o perché le ricorda bene.