La Stampa, 12 agosto 2021
Neri Marcoré vuole solo cantare e fare tv di nicchia
Prepariamoci a considerarlo sempre di più come un cantante, perché gira e rigira è quello che Neri Marcorè (attore di cinema e di teatro, imitatore, conduttore, entertainer) ha una gran voglia di fare. Nello spettacolo Le divine donne di Dante, atteso al Mittelfest di Cividale del Friuli il 5 settembre dopo il debutto a Ravenna, ai testi di Francesca Masi sulle figure femminili della Commedia alterna un gran numero di canzoni, dal repertorio degli autori che preferisce. Molto De Gregori, molto Capossela, molto Sting, molto Fossati, molto Ligabue, ma anche Ron, Neffa, i Depeche Mode abbinati a Pia de’ Tolomei: e una Here Comes the Sun finale. Ad accompagnare il protagonista, che spesso imbraccia la chitarra, l’Orchestra Arcangelo Corelli diretta da Jacopo Rivani.
Marcorè, è sua la responsabilità nella scelta dei brani?
«La porto tutta sulle spalle, mentre dai testi scritti da Laura sono stato felice di imparare un sacco di cose che non sapevo, ed è quella la voglia che mi spinge sempre di più nelle scelte professionali. L’idea era di attualizzare queste signore antiche, magari un po’sepolte nell’epoca scolastica, e farle rivivere sotto la lente dell’oggi. Le canzoni contemporanee servono da interfaccia».
E le eroine dantesche ne escono tutte, in qualche modo, perdonate: nessuna merita la dannazione eterna.
«Non secondo il mio giudizio, ma neanche per la nostra etica contemporanea. Pensi a un’adultera come Francesca, pensi alle lussuriose come Piccarda. Del resto, qualcuno già molto prima dell’epoca di Dante lo aveva detto: chi è senza peccato scagli la prima pietra».
Da dove arriva questa passione per la musica?
«Da molto lontano. La prima volta che son salito su un palcoscenico, spinto da Giancarlo Guardabassi che lavorava in una radio locale, avevo 12 anni e ho cantato un brano dei Bee Gees. Non ho avuto una formazione specifica, ma ho imparato strada facendo. Da ragazzo neanche avevo una band, s’immagini: è una voglia che mi sto togliendo adesso. Il primo spettacolo in cui ho cantato sul serio, quello su Gaber con Giorgio Gallione, credo sia del 2007. Poi sono venuti quelli sui Beatles, su De André, su Gianmaria Testa, e quello che porto in giro anche quest’estate, "Le mie canzoni altrui". Nelle serate estive, per le piazze, prima proponevo i numeri di cabaret, le imitazioni. Ma mi ero un po’stancato, perché fare un’imitazione in piazza non è come stare in tivù, ti costringe ad abbassare il registro. Ora, se m’invitano, dico: vengo per cantare. La cosa ha preso piede: l’anno scorso, prima estate del Covid, di concerti ne ho tenuti 25».
E quest’anno come sta andando, tra green pass e mascherine?
«Con qualche ritardo per i controlli, nelle due serate che ho fatto finora secondo le nuove disposizioni, ma tutto sommato in grande serenità. I vaccini hanno cambiato tutto e ci stanno avviando a una vita normale. Se a maggio o a giugno dell’anno scorso ci avessero detto che per sentirci sicuri sarebbe bastato mostrare un documento ci sarebbe sembrato un miracolo. Piuttosto, a questo punto le limitazioni di posti mi suonano come un eccesso di zelo: vogliamo fare il paragone con quello che abbiamo visto negli stadi? All’aria aperta, trecento spettatori invece di mille mi sembrano un po’ pochini».
Come la vede per l’autunno?
«Sono ottimista. Non è vero che la gente ha paura di uscire e di tornare al cinema o a teatro. Dopo quest’anno e mezzo, adesso che riaprono i boccaporti, la voglia di spettacolo sta tornando intatta. Non è vero che siamo cambiati. Certo, gli incassi nelle sale cinematografiche al momento sono infinitesimali. Ma era un effetto prevedibile, è troppa la voglia di stare all’aperto».
E al cinema è uscito anche il suo «Boys», diretto da Davide Ferrario. Ma per i prossimi mesi, che cosa prepara?
«Una serie per RaiPlay che stiamo girando in questi giorni, 25 puntate di dieci minuti l’una, credo in onda da gennaio, titolo "Le più belle frasi di Oscio". Con la sc, mi raccomando, perché si tratta di un guru un po’ improvvisato, di periferia. E poi, per Rai 5, la partecipazione ad "Art Night", da conduttore che cuce i servizi. Gliel’ho detto che, quando lavoro, mi piace imparare cose nuove. Allargo gli orizzonti».
La rivedremo, a «Dimartedì», nelle imitazioni di Draghi e di Giuseppe Conte?
«Non credo. Devo quella partecipazione alla stima di Giovanni Floris, ed è stato divertente. Ma la tivù, con l’on demand e lo streaming, sta vivendo una stagione complicata. Mi piacerebbe uno spazio un po’ di nicchia, dove osare di più. Come facevamo con "Per un pugno di libri" di là andava "Novantesimo minuto" e per i nostri ascolti non c’era storia. Ma proprio per questo lavoravamo in totale tranquillità ».