Ma perché ora, perché di nuovo la sua regione, dopo più di dieci anni?
«All’inizio la storia non aveva un carattere geografico, poteva essere ambientata ovunque, poi è arrivata la voglia di raccontare la storia di un uomo del mio paese, che è Lauria.
Corrisponde a un momento della mia vita: sono rimasto solo, mio padre se ne andò trent’anni fa, poi senza neanche più mia madre è già da un po’ che bazzico di più il paese; è un ritorno alle immagini della mia adolescenza. Sono emozionato dai luoghi, succede forse ai signori di una certa età, mi commuovo a guardare posti che ho guardato tutta la vita senza spendere una lacrima, anzi con la voglia di scappare. Oggi vedo tutto con la lente d’ingrandimento dell’appartenenza, con tutta questa bella retorica del c…».
Per carità, si fermi qui, e da dove parte la storia?
«Partiamo dal titolo, che è Scordato , ovviamente inteso nel doppio senso della musica e in quello di dimenticato: il protagonista è un accordatore di pianoforti che non è in armonia col contesto, un viaggio più o meno interiore nel quale rivive tappe salienti della sua gioventù e risale ai nodi che lo hanno reso “scordato”. È un film sui benefici del perdono. Grazie a quello si scioglie la patina di rancore con cui a volte si vive, malissimo. È una commedia, con dei riflessi musicali, esattamente come la mia vita. Ho scelto questo lavoro per toccare la musica, anche se da un punto di vista marginale».
Però alla fine la musica la va a toccare al suo massimo livello.
«C’era il sogno di coinvolgere un mio idolo. Giorgia la conosco da quando aveva 18 anni e cantava accanto al padre nel gruppo Vorrei la pelle nera. La vidi sbucare una sera al Palladium di Roma e poi andai a seguire tutti i concerti, praticamente uno stalker».
È stato complicato convincerla a impegnarsi in un’avventura così diversa?
«È stata una scelta ponderata. Lei era attratta, conosceva i miei film, ma è una che prende le cose molto sul serio. Abbiamo fatto delle prove e Giorgia sapeva già a memoria molte parti del copione, s’era messa lì a studiare, con grande dedizione.
Insomma, ci abbiamo messo un po’ a sciogliere la riserva, e solo dopo aver lavorato, come non mi era mai successo prima».
Non vogliamo svelare troppo, ma almeno questo lo dobbiamo sapere.
Giorgia canterà?
«Chiamare Giorgia a fare la cantante? No, troppo geometrico. Diciamo che non posso “non” farla cantare, ma non sarà una vera e propria performance canora, diciamo che “canticchierà”. È una cosa che lei fa part time, secondaria rispetto alla professione principale che è quella di fisioterapista, molto eccentrica.
L’esibizione arriva a svelare un piccolo apologo che ha a che fare col tema del film che è l’armonia, o meglio come far parte di un’armonia, ma non mi fate dire di più...».
Può essere che la sua accentuata miopia abbia a che fare col gusto di fare cinema?
«Naturale che sia così, ho sempre fatto dei sogni pilotati, con una regia, anche quelli più spinti, diciamo che c’è un limite alla mia visuale, e lì parte l’immaginazione, ma deve corrispondere a una parte che io vedo. Nel mio primo film raccontavo quello che sarebbe stato il mio piano B se non avessi fatto l’attore e il regista; in realtà fu per me un approfondimento, i luoghi li scelsi su una guida turistica: avevo girato poco per la regione, ero portato ad andare altrove. La verità è che sono stato prima a New York che a Matera. Oggi ho avuto il bisogno di farmi guidare dalla mia provenienza e infatti ho cercato e trovato tanti attori lucani.
Poi nella storia arriva Salerno, perché è una città di mare, e perché fu la prima città di riferimento verso nord.
Mi ha sempre attratto come luogo e facendo l’accordatore di pianoforti ho pensato al conservatorio di Salerno. Una ricerca miope, se vuole, ho guardato vicino a me, dove vedo bene».
Ci dica, Papaleo, ma alla fine l’accordatore e la fisioterapista una storia d’amore ce l’hanno o no?
«Mistero. Diciamo che su questo c’è un piccolo colpo di scena che vorrei lasciare al pubblico. Posso dire che mi piacerebbe che tra i due ci fosse una storia d’amore, ma non li posso obbligare, perché poi i personaggi, soprattutto quando sono ben riusciti, cominciano a decidere per conto loro, quindi vedremo».