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 2021  agosto 12 Giovedì calendario

Gustav Thöni e gli undici nipoti

Sophie, Matthias, Marilena, Greta. E così via, contando fino a undici. Non è un piccolo esercito, ma quasi: è il «battaglione» di nipoti di Gustav Thöni, settant’anni, uno dei più grandi campioni di tutti i tempi dello sci alpino. Quattro Coppe del Mondo, tre medaglie olimpiche, sette mondiali e, appunto, nonno di undici tra ragazze, ragazzi e bambini. 
La più grande? 
«Sophie, diciannove anni». 
Il più piccolo? 
«Ne ha appena due, ancora non può andare sulle piste da sci». 
Perché, gli altri ci vanno tutti? 
«Quasi tutti, anche se non penso che abbiano intenzione di fare sul serio». 
Eppure con un nonno che ha praticamente vinto tutto sugli sci... 
«Ma io non sono uno di quelli che rievocano le glorie, sono un nonno normalissimo, li porto a giocare e cerco di aiutare i loro genitori a crescerli bene all’aria aperta». 
Non ha raccontato loro nemmeno dell’Olimpiade invernale di Sapporo del 1972, in quella occasione clamorosa dove lei vinse l’oro nello slalom gigante e l’argento nello slalom speciale? 
«Quando vengono in casa, qui da noi, vedono la mia teca che contiene le medaglie e i trofei e se fanno qualche domanda io rispondo, certo. Ma non mi metto lì con loro a rievocare gli ori e i record». 
D’altra parte, che lei parli pochissimo lo sanno tutti. 
«Ecco, a maggior ragione con i miei nipoti. Figuriamoci se mi sciolgo in parole o aneddoti. La mia è una famiglia di montagna, molto riservata, schiva, non siamo gente chiacchierona». 
Lei da tempo guida l’hotel Bellavista di Trafoi. 
«Da cinque generazioni». 
È la sua casa natale? 
«A mille e cinquecento metri d’altezza, ai piedi del monte Ortles, la cima più alta dell’Alto Adige». 
Lei dice che quasi tutti i suoi nipoti fanno sci. Ci sarà qualche raccomandazione speciale che viene dal nonno in questi casi. 
«Dico di stare attenti ma non sono di quelli che inculcano l’idea della montagna come pericolosa o matrigna. La montagna siamo noi, noi che ci siamo cresciuti e che ci viviamo. L’importante è rispettare le regole di base». 
Ma nessuno dei suoi nipoti l’ha mai sfidata sugli sci? 
«Una volta, sì. Uno di loro volle andare sulle piste con me e sa com’è finita?». 
Come? 
«Con lui che mi sgridava: “Nonno, tu vai troppo forte”. Capito chi è che dà lezioni?». 
Ma non pensa che a loro farebbe piacere ascoltare la «leggenda» della cosiddetta Valanga Azzurra degli anni ‘70, quel gruppo di italiani che dominava lo sci mondiale? 
«Vede, chi fa sport tende a togliere un po’ di leggenda sia alle persone che allo sport stesso. Io mi ricordo con piacere, ovviamente, quel periodo, è stato bellissimo. Così come sono stati indimenticabili certi ori. Però io all’epoca pensavo a fare la gara e basta». 
Uno sguardo «tecnico», diciamo. 
«Sì, contava l’esercizio. Ecco perché oggi tanti come me fanno fatica a raccontarsi ai nipoti. E ai giornalisti». 
Giusto. Però ci sono successi che ci restano nel cuore e che quando li ricordiamo sembrano fiorire. Ne racconta uno, come lo racconterebbe ai suoi nipoti? 
«E va bene. Certo, in testa a tutto c’è l’oro olimpico a Sapporo 1972, una cosa forte anche perché era la mia prima Olimpiade. Però ci sono state anche delle sfide magari meno rumorose ma importanti». 
Per esempio? 
«Il Trofeo Topolino, la mia prima vittoria». 
Che cosa vogliono fare da grandi i suoi nipoti? 
«La maggiore vorrebbe fare Medicina, ma sa, sono ancora troppo giovani, cambieranno idea chissà quante volte». 
Però frequentano il suo albergo. 
«Non solo, i più grandi vengono anche a dare una mano. Credo che sia educativo coinvolgerli nell’attività di famiglia». 
Tra l’altro, lei qualche volta accompagna gli ospiti nei dintorni. 
«Qualche volta, sì, mi piace. D’estate possono prenotare l’escursione alle Tre Fontane Sacre, cioè “tre fontes”, la radice del nome di Trafoi». 
Una camminata con un campione. 
«Altra vita». 
Qual era il suo sogno da bambino? 
«Vincere una medaglia olimpica». 
Ce l’ha fatta, eccome. 
«Sì». 
E senza parole inutili.