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 2021  agosto 11 Mercoledì calendario

Plácido Domingo: «Ho ancora forza e voce»

O Lola c’hai di latti la cammisa/Si bianca e russa comu la cirasa. Sul terrazzo dell’Hotel Timeo, Plácido Domingo intona la prima strofa de La Siciliana, dalla Cavalleria Rusticana di Mascagni. L’ultima volta in Sicilia l’aveva fatto quasi quarant’anni fa, nel 1982 a Vizzini, dove Franco Zeffirelli aveva voluto girare gli esterni dell’opera per il film uscito nello stesso anno. Ma la mula sulla quale il regista fiorentino aveva voluto il tenore, si imbizzarrì: «Probabilmente fu innervosita dal mio la bemolle – ricorda con un sorriso l’artista spagnolo —, fece un brusco movimento e mi gettò a terra». 
È un ritorno, quello di Plácido Domingo, che questa sera al Teatro Antico di Taormina dirige il Rigoletto, prima delle due opere in programma del Bellini Festival. «Ho una storia con Bellini, anche se non vengo considerato uno specialista del Bel Canto. Ho diretto I Puritani e Norma, che ho anche cantato e inciso. Penso che Verdi sia la continuazione del Bel Canto, sia pure nella sua potenza e la scelta di fare Rigoletto in un festival belliniano è significativa. Devo dire grazie a Leo Nucci, che canta e fa una regia interessante: sappiamo che la storia di Rigoletto è basata su Le roi s’amuse di Victor Hugo, che fu però censurato e bandito dalle scene. Verdi la riprese in musica, camuffando un po’ il racconto. La regia di Nucci vuole essere più vicina allo spirito trasgressivo del racconto di Hugo. Ma qui inizia per me un’avventura siciliana: l’anno prossimo verrò a Palermo per cantare il Simon Boccanegra. E poi spero di tornare un giorno a Catania per dirigere Bellini con questa fantastica orchestra». 
Sa che esiste una ricetta di cucina siciliana legata alla «Norma» di Bellini e probabilmente dedicata alla sua interprete preferita, Giuditta Pasta? 
«Non vedo l’ora di assaggiare la pasta alla Norma. Non l’ho mai mangiata». 
Ha compiuto 80 anni. Come vive questo passaggio? 
«Ancora non lo credo. Grazie a Dio, ho ancora la forza, lo spirito e la voce per continuare a lavorare. Forse non faccio più tutto quello che mi chiedono, però posso scegliere. Lavoro in modo diverso. Al momento direi che per il 70% canto, per il 30% dirigo. Probabilmente in futuro dirigerò di più, ma per fortuna la voce ancora non mi lascia. E questo mi rende felice». 
Qual è il suo primo ricordo musicale? 
«I miei genitori erano cantanti di zarzuela. Mia madre mi raccontava che avevamo appena ascoltato un pezzo, E l Caserio, una celebre zarzuela basca. Avrò avuto 5 o 6 anni. E quando sono uscito, cantavo la melodia dell’ouverture: pam pam, rira rira rira rira ri, pam pam rira rira rira ra. Ma il primo vero ricordo di canto è di un giorno nel quale ero al pianoforte. Avevo 15 anni. Mi accompagnavo in una romanza che canto spesso La del soto del parral. Quando ho finito mia madre piangeva: “Non puoi immaginare come stai cantando”, mi disse». 
Cos’è la musica per lei? 
«È come il cibo e l’acqua. Non posso farne a meno. Poi c’è il resto, l’intellettualità, l’arte. Ma semplicemente non posso pensare e capire una vita senza musica». 
La musica ci aiuta a essere persone migliori? 
«Ci sono stati e ci sono tanti compositori e interpreti al mondo e forse non tutti sono stati o siamo bravissime persone. Ma credo che la musica ci renda sicuramente migliori». 
Com’è cambiato il mondo della lirica? Il suo amico Riccardo Muti dice di non riconoscerlo più, che spesso i giovani direttori arrivano sul podio senza studi lunghi e severi. È d’accordo? 
«Io credo che si debba pensare seriamente alla musica e studiarla con profondità. Riccardo lo ha fatto, come dimostra il suo lavoro, dalla Scala ai Wiener Philharmoniker. Ricordo l’incisione di un’Aida con Montserrat Caballé, quando conobbi questo giovane direttore incredibile. Mi dispiace che negli ultimi anni non abbiamo lavorato spesso insieme. Ogni tanto mi viene da pensare che non mi veda come baritono. Tornando alla domanda penso che abbia ragione a metà. Riccardo, per esempio dirige sempre con la partitura, anch’io lo faccio. Altri direttori dirigono con l’IPad. Altri senza nulla. Ma non è la misura della loro serietà. Abbado dirigeva senza partitura, ma sosteneva che non vedeva e per questo faceva a memoria». 
Che ricordo ha di Luciano Pavarotti? Con lui e José Carreras, i tre tenori, avete cambiato la storia della lirica. 
«Siamo stati grandi amici, colleghi e rivali. Ho avuto per lui una totale ammirazione. Quando cantavamo, ognuno di noi tre metteva tutto in una frase. Poi veniva l’altro. C’era forte competizione. Ma ci siamo divertiti e mi manca molto». 
Lei ha paura della morte? 
«Sì. Tutti pensiamo a come sarà quel momento. Io vorrei avere accanto a me la mia famiglia, avere la forza di poter dire ho vissuto abbastanza e che devono essere felici. E poi addormentarmi. Ma non sappiamo. Il grande passo, il grande mistero arriverà». 
Lei ha presentato delle scuse verso le persone che le hanno lanciato accuse di molestie. È stata un’ammissione di colpevolezza? 
«C’è stato un grande equivoco. Chiedere scusa per me è un atto di rispetto dovuto di fronte a qualsiasi evento che possa creare disagio al prossimo. Ma sul resto, come ho detto sin dall’inizio, ribadisco che non ho mai abusato di nessuno, né di una donna, né della posizione dei miei incarichi. Ricordo che le due uniche indagini indipendenti condotte nei miei confronti negli Usa si sono concluse senza riscontrare alcun abuso. Tra poco saranno passati due anni. Io dico che può bastare».