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 2021  agosto 11 Mercoledì calendario

Il caldo estremo era già previsto

L’italiana Claudia Tebaldi, coautrice del sesto rapporto dell’Ipcc (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) e ricercatrice del Pacific Northwest National Lab, vive da tempo negli Usa, dov’è emigrata poco dopo la laurea in Statistica alla Bocconi e dove ha cominciato a lavorare, fra le prime al mondo, sulla quantificazione delle incertezze nei modelli climatici presso il National Center for Atmospheric Research di Boulder, in Colorado. È lì che ha incontrato il suo «mentore», Jerry Meehl, con cui ha firmato il primo studio scientifico sulle onde di calore nel futuro e sulla correlazione con il riscaldamento globale, pubblicato su Science nel 2004. Studio che andò lei stessa a «spiegare» al Senato americano. 
Avevate già previsto tutto?
«Sì, avevamo previsto che questi eventi estremi sarebbero diventati più intensi, più frequenti, più lunghi».
Com’è possibile che un riscaldamento globale di 1,1°, come l’attuale, provochi impennate simili?
«Innanzitutto, è bene chiarire che certe regioni del pianeta si scaldano più della media, altre meno. Ad esempio, per 1° di riscaldamento globale, la superficie terrestre si riscalda di almeno 1,5° mentre l’oceano di circa 0,7°. E anche a livello terrestre, ci sono regioni che si riscaldano ad un tasso doppio, come le zone artiche, rispetto alla media. I modelli probabilistici dimostrano poi che con l’aumento medio delle temperature aumentano anche le probabilità di eventi estremi “caldi”».
La canicola è sempre esistita...
«Gli estremi esisterebbero anche senza il riscaldamento terrestre provocato dall’uomo, che però li rende più frequenti, probabili e lunghi». 
Tutto ciò lo potete «vedere» nei modelli matematici?
«In questi due decenni, i modelli hanno subito dei progressi importanti. Agli inizi, erano utilizzati per ottenere risposte molto generiche e Paesi complessi come l’Italia non venivano neppure rappresentati. Con gli anni, le proiezioni sono diventate sempre più affidabili e dettagliate, anche a livello regionale e per fenomeni complessi».
Come saranno le future «heatwaves», onde di calore come quelle che quest’estate hanno colpito gli Usa e ora minacciano l’Europa?
«Il rapporto Ipcc calcola come sarà il giorno più caldo dell’anno e quello più freddo nelle diverse regioni del pianeta in base a tre diversi scenari: un riscaldamento di 1,5°, 2° o 4°C. Rispetto agli estremi di calore, abbiamo la certezza che il riscaldamento in sé peggiora la situazione, ma i dettagli dei fenomeni particolari, ad esempio l’onda di calore che arriverà adesso in Europa, sono influenzati anche dalla circolazione atmosferica che è molto più complessa da prevedere nel futuro».
La regione del Mediterraneo è a rischio?
«Purtroppo il bacino del Mediterraneo è sempre stato un hotspot, una parte del mondo in cui le proiezioni di siccità ad esempio sono molto consistenti e con essa tutti i problemi che state già sperimentando: ondate di calore, incendi, mancanza d’acqua».
Gli eventi estremi diventeranno la «nuova normalità»?
«Sicuramente dobbiamo adattarci. Non posso affermare che ogni estate futura sarà drammatica come questa, proprio perché gli eventi estremi sono soggetti ad aspetti aleatori. Ma è certo che ogni incremento del riscaldamento globale aumenta la loro probabilità e la loro frequenza. È già sotto i nostri occhi. Il cambiamento climatico non riguarda più soltanto il povero orso polare sul ghiaccio che si scioglie o le isolette del Pacifico che finiscono sott’acqua. Riguarda la nostra vita. Alcuni eventi sono così eccessivi – come i 40° a Seattle o a Vancouver un mese fa – che gli scienziati sono pronti a dire che senza il riscaldamento globale non si sarebbero verificati».
Eventi «reversibili»? 
«Viaggiano in tandem con il riscaldamento globale. Se lo fermiamo o almeno limitiamo, ciò si rifletterà abbastanza rapidamente su questo tipo di fenomeni. Mentre per altri eventi, come lo scioglimento dei ghiacci o l’innalzamento dei mari, il risultato si vedrebbe soltanto dopo diversi decenni. D’altra parte si ipotizza che lo sviluppo tecnologico permetterà di riassorbire parte dei gas serra già concentrati in atmosfera e questo provocherebbe un raffreddamento globale e una minore probabilità di eventi estremi».