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 2021  agosto 11 Mercoledì calendario

Via sbarre e manette dalle aule dei processi

Sono immagini indimenticabili quelle di Tortora e Carra, i due “Enzo”, in manette. Già 38 e 28 anni fa, eppure la reazione indignata resta vivida. Chissà se quelle foto sono passate davanti agli occhi di chi ha scritto – nel decreto legislativo sulla presunzione d’innocenza appena trasmesso, come ha scoperto Repubblica, alla commissione Giustizia della Camera – un comma che influirà sull’imputato detenuto nell’aula del processo. Un comma che addossa al giudice la nuova responsabilità di decidere, con un’ordinanza motivata e dopo aver sentito le parti, se quell’uomo deve stare dietro le sbarre perché pericoloso o se ha diritto di sedersi con l’avvocato.
Poche righe nel decreto, un definitivo stop alle manette, bandite dal processo, ma usate per portare il detenuto dal carcere in aula. Ma se oggi è la polizia a misurare la pericolosità dell’imputato, da domani il difensore potrà chiederne conto e ragione al giudice e ottenere un’ordinanza che permette all’imputato di seguire il processo da uomo “libero” come chiede la direttiva europea sulla presunzione d’innocenza.
Via Arenula aggiunge un comma all’articolo 474 del codice di procedura penale che oggi recita: “L’imputato assiste all’udienza libero nella persona, anche se detenuto, salvo che siano necessarie cautele per prevenire il pericolo di fuga o di violenza”. E qui arriva il nuovo comma: “Il giudice, sentite le parti, dispone con ordinanza l’impiego delle cautele. È garantito il diritto dell’imputato e del difensore di consultarsi riservatamente, anche attraverso l’impiego di strumenti tecnici idonei, ove disponibili. L’ordinanza è revocata con le medesime forme quando sono cessati i motivi del provvedimento”. Nella relazione via Arenula spiega che “l’eventuale adozione di misure di coercizione fisica debba costituire oggetto di specifica valutazione da parte del giudice”.
Una decisione che entusiasma i fan della presunzione di innocenza, primo tra tutti Enrico Costa di Azione che con un suo emendamento a fine marzo ha obbligato il governo a recepire le norme Ue del 2016. Pienamente soddisfatto il presidente delle Camere penali Gian Domenico Caiazza. Perplesso e preoccupato delle conseguenze Stefano Musolino, pm a Reggio Calabria, neo segretario di Magistratura democratica.
Costa reagisce da garantista. «Nel decreto è scritta una cosa che dovrebbe essere naturale in un paese civile: imputato e difensore possono consultarsi riservatamente. Perché si arriva a scriverlo? Perché troppo spesso l’esercizio della difesa è un inutile orpello da limitare. Quanto all’imputato dietro le sbarre, a meno che il pericolo di fuga non sia gravissimo, siamo di fronte a una violazione grande come una casa delle norme Ue». Caiazza parla di «rafforzamento positivo» delle norme esistenti e di «una giusta assunzione di responsabilità da parte del giudice sul diritto di stare in aula. Un’ordinanza motivata, che può essere impugnata, rafforza il diritto dell’imputato a vedere adeguatamente motivata la privazione del diritto di comparire al processo da uomo libero».
Ma Stefano Musolino è preoccupato. «Qui si rischia l’ennesimo trasferimento in capo al giudice di valutazioni che avrebbero preteso un’assunzione di responsabilità del legislatore. Nei fatti, a decidere sarà la polizia penitenziaria o giudiziaria che accompagna in aula il detenuto e deve garantire la sua incolumità. Sarà difficile per il giudice decidere in contrasto con le polizie». Il rischio, per Musolino, è che tutto ciò sortisca un solo effetto, «creare un’altra causa di conflittualità interna al procedimento che lo rallenterà». E va da sé che, in tempi di processi “improcedibili”, potrebbe essere un grattacapo.