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 2021  agosto 10 Martedì calendario

Paperoni cinesi meno ricchi

Anche i ricchi piangano. E a guardare di quanto si sono sgonfiati i loro portafogli nell’ultimo mese, eccome se piangono. Da quando a fine giugno Pechino ha tirato il freno a mano alla quotazione a New York di Didi, la Uber cinese, i tycoon di Big Tech hanno perso – come hanno calcolato siaBloomberg sia il Financial Times - 87 miliardi di dollari di patrimonio personale. Sono i Paperoni del settore digitale, nonché tra gli uomini più ricchi di Cina, come il boss di Tencent Pony Ma, l’altro Ma (Jack) fondatore di Alibaba e il creatore del gigante dell’e-commerce Pinduoduo Colin Huang.Quest’ultimo è quello che soffre di più (meno 15,6 miliardi di patrimonio bruciati), ma sono i 12 miliardi in meno sul conto in banca di Pony Ma che rivelano come il Partito stia facendo sul serio. Sempre attento a tessere buone relazioni con la leadership comunista, mai sopra le righe nelle dichiarazioni, il capo del colosso di Shenzhen sembrava aver recepito alla perfezione la massima dell’ex presidente Jiang Zemin: «Starsene tranquilli vi aiuterà a fare una fortuna». Eppure, anche lui, tra i miliardari del Dragone più compiacenti verso il potere, si è scoperto non immune dalla stretta che la seconda economia del pianeta sta dando alle sue Big Tech.
Quella che all’inizio sembrava una campagna mirata contro il miliardario più critico del palazzo quel Jack Ma costretto a sospendere la quotazione da record della sua Ant Group a novembre e che soltanto nell’ultimo mese ha perso 2,6 miliardi di patrimonio personale – si è nei mesi allargata a tutto il settore. Sempre in nome della sicurezza dei dati degli utenti, della stabilità finanziaria e per ridurre le disuguaglianze.
A farne le spese sono state anche le Ed Tech, le aziende che offrono servizi di tutoring per il dopo-scuola dei ragazzi. Dopo l’invito del Partito a diventare no profit e a non accettare capitale straniero, Yu Minhong, fondatore della New Oriental Education, ha visto il valore delle proprie azioni nella compagnia calare da 3 miliardi ad appena 500 milioni di dollari.
Chi, invece, ci guadagna, sono gli imprenditori in settori per così dire tradizionali, con meno rischi e visti più di buon occhio da Pechino. Primo fra tutti il comparto auto, specie dopo le voci di un maggior sostegno alla produzione di veicoli elettrici. I nove più importanti tycoon del settore hanno visto crescere le loro fortune di 22 miliardi. Wang Chuanfu, presidente di Byd (auto e batterie elettriche) è entrato nella top ten dei super ricchi passando da 4,4 miliardi a 25. Lo stesso balzo in avanti hanno fatto coloro che si sono buttati nel business delle energie rinnovabili. E chi non si ferma più è Zhong Shanshan, il re dell’acqua minerale in bottiglia: da venditore di pillole per la disfunzione erettile all’impero Nongfu Spring – la più bevuta in Cina – il suo patrimonio oggi supera i 72 miliardi. Cinque in più solo nell’ultimo mese.
La Cina oggi ha più di mille miliardari, il doppio rispetto a 5 anni fa. E molti hanno fatto fortuna proprio durante il Covid quando la gente costretta a stare a casa ordinava cibo e qualsiasi altra cosa proprio dalle loro piattaforme online. Come spesso accade, l’intento del Dragone è duplice: venire incontro alle sempre maggiori insofferenze del popolo verso questi giganti tech e assicurarsi il controllo. Puntando su quel «benessere condiviso» sbandierato da Xi riducendo le disuguaglianze ma facendo ancora fatica nel ridistribuire la ricchezza in modo strutturale. Prima di tutto c’è la stabilità. Prima di tutto viene il Partito. E poi il mercato.