«Per l’Italia lo scenario non cambia molto rispetto a quanto già previsto», spiega Antonio Navarra, climatologo dell’Università di Bologna e presidente della Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici. «C’è però la conferma che il Mediterraneo è un’area molto delicata, perché si trova al confine tra le aree tropicali e quelle delle medie latitudini: aumenteranno le temperature e diminuiranno le piogge. Inoltre le poche precipitazioni restanti si concentreranno in eventi meteo più intensi. Naturalmente», continua Navarra, «l’entità del cambiamento dipenderà dalla CO2 che continueremo a immettere nell’atmosfera a dal relativo innalzamento della temperatura media della Terra».
I modelli dell’Ipcc applicati all’Europa mostrano cosa potrebbe accadere: se la crescita della temperatura dovesse sfondare gli 1,5 gradi rispetto all’era pre-industriale auspicati dagli accordi di Parigi, il termometro nel Sud dell’Italia d’estate potrebbe salire di 2 gradi e le precipitazioni diminuire del 20%. Se poi il riscaldamento globale dovesse raggiungere i 4 gradi in più, le piogge sulla Sicilia rischierebbero di subire un tracollo vicino al 40%. Tanto che gli esperti dell’Onu ritengono che nell’area del Mediterraneo aumenteranno i fenomeni di desertificazione e condizioni meteo sempre più favorevoli all’innesco e alla propagazione di incendi devastanti. Immagini che purtroppo comuni già oggi che il riscaldamento globale è di "appena" 1,1 gradi.
«Aldilà dei numeri, questo rapporto ci impartisce due lezioni», aggiunge Navarra. «La prima è che la Terra si è già riscaldata di un grado rispetto all’era preindustriale e che un altro mezzo grado è "assicurato", nel senso che è già nei gas serra che abbiamo immesso in atmosfera. Anche se riducessimo drasticamente le emissioni arriveremo comunque a un innalzamento di 1,5 gradi. Quindi i cambiamenti climatici ci saranno e il Pianeta di riscalderà, ma di quanto dipenderà dalle emissioni dei prossimi 60 anni. La seconda lezione è che, vista l’irreversibilità del processo di riscaldamento, sarà ancora più importante adottare politiche di adattamento, capaci di mitigare gli effetti dell’emergenza climatica».
«Abbiamo tolto altri dieci anni alle generazioni future », commenta Riccardo Valentini, professore di Ecologia forestale all’Università della Tuscia e membro dell’Ipcc. «Il dato che mi colpisce più del rapporto è quello relativo al raggiungimento della soglia simbolica di 1,5 gradi di innalzamento della temperatura. Nel rapporto precedente era previsto che l’avremmo toccata intorno al 2040. Mentre ora appare molto probabile che avverrà entro il 2030. Quello pubblicato ieri non è solo un rapporto scientifico, è un documento politico», prosegue Valentini. «Perché lo hanno scritto centinaia di ricercatori ma le loro conclusioni sono approvate dai Paesi membri delle Nazioni Unite. Dunque i governi hanno riconosciuto che esistono questi dati, ora dovrebbero agire di conseguenza. Dopo questo rapporto l’inazione politica sarebbe fuori da ogni logica. Più di così la comunità scientifica non poteva fare».