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 2021  agosto 10 Martedì calendario

Storia delle perline di Venezia

A partire dal XIV secolo il commercio di perline di Venezia era molto attivo nei porti levantini, del Maghreb e dell’Europa del Nord. Con l’inizio della navigazione sulla costa occidentale dell’Africa, la scoperta dell’America e le grandi spedizioni oceaniche, le perline diventano un importante mezzo di pagamento. Sono piccole sfere di vetro colorato che possono essere usate per fabbricare collane e gioielli. Essendo un prodotto raro nel bacino indiano, in Africa e nelle Americhe, il vetro è molto caro. In Africa le perline di Venezia hanno un successo straordinario e vengono usate nel commercio degli schiavi, dell’oro e dell’avorio.
È giusto ricordare che il 18 giugno 1452 papa Niccolò V promulgò la bolla Dum diversas, rivolta in modo particolare al re del Portogallo Alfonso V. Questo documento papale autorizzava i portoghesi ad attaccare, conquistare e sottomettere i saraceni, i pagani e altri nemici della fede, a impossessarsi dei loro beni e delle terre e, soprattutto, a ridurre in schiavitù ogni nemico della cristianità. Il commercio portoghese di schiavi si sviluppa quindi rapidamente, generando una forte domanda di perline; anche Cristoforo Colombo, nel suo primo viaggio, trasporta con gli altri “doni” alcune perline, che – come gli specchi – si rivelano molto utili negli scambi con gli “indiani”.
Uno status symbol
Il successo delle perline supera ogni aspettativa, poiché piacciono alle diverse popolazioni con le quali gli europei entrano in contatto, specie ai capi locali che, come tutti i nuovi ricchi, vogliono possedere questi oggetti, simbolo del potere. Per esempio, la tribù africana degli Ashanti, in Ghana, una delle più grandi società matriarcali dell’Africa occidentale, tra il 1680 e il 1896 vive il suo periodo di splendore vendendo gli schiavi catturati nei territori africani in cambio di prodotti europei, in particolare le perline di Venezia. All’inizio intrattiene questo commercio con i portoghesi, poi con gli olandesi e i danesi e infine con gli inglesi che nel 1870 conquistano Kumasi, la capitale degli Ashanti, e fondano la colonia chiamata Gold Coast.
L’utilizzo di perle di vetro risale a duemila anni prima di Cristo, soprattutto in Egitto. Le produzioni mediterranee alimentano i commerci micenei e fenici. L’arte del vetro è molto importante nell’impero romano, che importa tecniche e artigiani dal Medio Oriente. Il vetro può rimpiazzare le vere perle e i pezzetti di lapislazzuli, troppo cari. Costantino promulga diverse leggi a favore degli artigiani che lavorano il vetro: sono esentati dalle tasse e vengono equiparati ai medici, ai farmacisti e agli architetti. La tradizione del vetro arriva a Venezia attraverso il grande centro di Aquileia. Nel 1291, visto il pericolo di incendi causati dalle fornaci delle vetrerie, tutta la produzione vetraria veneziana viene trasferita sull’isola di Murano tranne quella delle perline poiché si pensa che la loro fabbricazione comporti rischi minori.
Rosari e grasso di balena
I maestri vetrai realizzano due tipi di perle: piene e soffiate. In seguito, per produrle si utilizzeranno tre tecniche. Prima di tutto c’è la produzione delle conterie: si tratta di grosse perle con le quali si fabbricano i rosari destinati a contare le preghiere; ecco perché gli operai specializzati in questo tipo di lavorazione si chiamano “paternostreri” (pater noster). Altri studiosi, come l’abate Vincenzo Zanetti, ritengono che il termine conterie avesse una diversa etimologia e provenisse da contingia che, nell’antico veneziano, indica un ornamento utile a valorizzare la bellezza di un vestito o di una persona. 
La seconda tecnica si basa sulla produzione di perle vere e proprie chiamate “margherite”, dal termine latino margarita che significa perla. Molte donne lavorano nelle proprie case per infilare le perle secondo una sequenza stabilita che segue criteri estetici; vengono chiamate “impiraresse” (dal verbo latino impirare che significa infilare). 
A partire dal XVII secolo i maestri vetrai veneziani sviluppano una terza tecnica, realizzata sulla fiamma di una lanterna alimentata con grasso di balena. Un soffietto permette di ottenere temperature molto elevate, migliorando sensibilmente la bellezza e la qualità delle perle cui era possibile aggiungere una gran varietà di dettagli ed elementi, rispetto alla fabbricazione precedente.
Il commercio triangolare
La domanda di perline esplode con il crescente sviluppo del commercio triangolare di schiavi tra l’Europa (in particolare Liverpool e Nantes, Bordeaux, La Rochelle, Le Havre e Saint Malo), la costa dell’Africa occidentale e il continente americano. Le perline diventano uno dei principali mezzi di pagamento per l’acquisto di schiavi e sono ben accette nei territori e nei porti d’imbarco di tutta la costa africana, dal Ghana al Mozambico. Anche la domanda asiatica è molto vivace e, a questo proposito, bisogna segnalare che gli archeologi hanno trovato in Alaska delle perline di Venezia di colore blu che sarebbero arrivate nella regione, all’epoca controllata dalla Russia, via lo stretto di Bering, ma fra i 1440 e il 1480, cioè prima di Cristoforo Colombo…
Nel corso del XVIII secolo, la produzione settimanale di perline raggiunge i 19mila chili. È destinata soprattutto al mercato estero. I maestri vetrai veneziani riescono a produrre fino a 100mila differenti tipi di perle. L’abolizione della schiavitù penalizza fortemente la domanda di perline, ma gli artigiani veneziani si riprendono in fretta, dedicandosi alla produzione delle murrine: prodotti in cui le perline venivano usate per trasformarle in gioielli compositi e in altri oggetti come, per esempio, i vasi. Idee e modelli vengono dall’epoca romana; i vetrai dell’impero fabbricavano questi oggetti preziosi utilizzando la fluorite, una pietra speciale translucida che, secondo Plinio, arrivava dal regno dei Parti. Gli imperatori e l’aristocrazia romana si servivano di questi recipienti molto costosi per offrire bevande calde.
Ancora oggi numerosi artisti fanno uso della murrina per realizzare vasi o pareti vetrate.