il Fatto Quotidiano, 10 agosto 2021
Biografia di Romeo Venturelli (un Coppi mancato)
Ferragosto del 1956, Milano-Vignola, terza prova del campionato italiano. Fausto Coppi fora. Gli avversari lo mollano appiedato. L’auto dell’Unione sportiva Pavullese lo affianca: “Signor Fausto, ha bisogno?”. Coppi annuisce. Piazza la bici sul tetto, sale a bordo. Filano dritti al traguardo dove è sfrecciato primo Pierino Baffi. “Chi siete, che fate, avete dei ragazzi in gamba?”, chiede Coppi. Trento Montanini, il direttore sportivo, risponde senza esitazioni: “Uno in particolare: Romeo Venturelli”.
Un giovanotto di 18 anni, alto un metro e 82 per 76 chili, 42 pulsazioni al minuto quando è a riposo. Corridore selvatico dall’energia sconfinata. Pedalata a volte esplosiva. Forte passista in pianura. Buono in salita. Spunto da velocista. Un campione naturale. Per virtù innate, capace di qualsiasi impresa. È di Sassostorno, frazione di Lama Mocogno nel Frignano, sull’Appennino modenese, uno di quei paesi raccontati da Francesco Guccini. In Meo volava. Avventure e sventure di Venturelli, Marco Pastonesi ricorda che è nato povero, cresciuto povero, destinato alla povertà, “finché non sale su una bici e la bici diventa un cavallo magico, alato, capace di trasportarlo nella favola: ogni desiderio sembra potersi esaudire”. “Meo”, infatti, ha una carriera folgorante.
Per questo Coppi lo vuole alla neonata San Pellegrino Sport. Lui è il capitano, Gino Bartali il direttore sportivo: spera che Fausto faccia da balia, nella sua ultima stagione da corridore, al promettente ma anarchico Venturelli destinato a essere al centro di un ambizioso progetto: “L’è un campiùn”, l’aveva rassicurato Fausto. In Romeo vedeva il suo erede.
Coppi lo stimava al punto che il 18 dicembre del 1959, al rientro dal safari in Alto Volta, vuole che sia Romeo a riportarlo a casa, con la sua 1100 nuova (Giulia Occhini, la Dama Bianca, indispettita, si era rifiutata di farlo). E lo invita a cena, nella Villa Carla, tra Serravalle e Novi Ligure. Romeo assiste, imbarazzatissimo, a un litigio tra Giulia e Fausto. Il che aggiunse una sorta di alone leggendario alla sua “investitura”. Perché pochi giorni dopo, il 2 gennaio del 1960, la malaria uccide Coppi: “Il grande Airone ha chiuso le ali”, scrisse l’addolorato Orio Vergani. La morte di Fausto sconvolge l’Italia. Venturelli è distrutto.
Ha perso il mentore. La guida. L’unico che credeva in lui. Vuole dimostrare che la fiducia di Coppi non era mal riposta. A colpi di pedale, il linguaggio del ciclismo.
Il 14 marzo alla Parigi-Nizza, nella crono da Vergèze a Nîmes, stacca i fuoriclasse della specialità Roger Rivière e Jacques Anquetil. Otto giorni dopo, a Reggio Emilia, tappa della Genova-Roma, batte in volata Guido Carlesi detto il Coppino, ma anche il campione del mondo André Darrigade. Il 12 maggio, al Tour de Romandie, nella Noyon-Crans Montana parte a 5 km dall’arrivo e vince con 42” di vantaggio su Anquetil. Il 19 maggio è al 43esimo Giro d’Italia. Si parte da Roma, si arriva a Milano il 9 giugno dopo 3481,2 km. In gara, 140 corridori di 14 squadre. Venturelli è il capitano della San Pellegrino.
Vince la prima tappa Dino Bruni. Il giorno dopo c’è la cronometro di Sorrento. Su e giù dal monte Faito, 13 chilometri di ascesa severa sino a 465 metri, poi 12 chilometri di discesa. Venturelli parte prima di Nino Defilippis. Il popolare “Cit” lo piglia in giro: “Bada, ti prendo!”. Meo parte a razzo. A metà salita, tuttavia, perde 15” da Anquetil. In cima, è staccato di 36”. Tanto che al traguardo, il francese è invitato a salire sul podio, sicuri che abbia già vinto. Gli consegnano la maglia rosa. Le miss lo baciano.
Ma Meo si scatena in discesa. Vola a tomba aperta. Piomba sul traguardo di Sorrento: “Venturelli miglior tempo!”, grida lo speaker Proserpio. Sei secondi meno dello sconcertato Anquetil. Bartali acchiappa Romeo, lo trascina sul palco perché indossi la maglia rosa. Lui la dedica a Coppi. Ha vinto la sua sfida impossibile.
Solo che la notte sclera. Si ubriaca. Fa le ore piccole. I bagordi lasciano il segno. È stanco ancor prima di cominciare la terza tappa col Terminillo. Per darsi la carica, mischia champagne e limone. Follia: “Nello stomaco – confesserà – mi si è fatto il formaggio”. L’ultimo ad abbandonare il capitano è Nunzio Pellicciari, un contadino ossuto, “con il senso della famiglia, dunque del dovere, dunque gregario”.
Anquetil gli sfila la maglia. Nel momento della gloria, Meo ha mostrato i suoi limiti. Molla tutto a Popoli, quarta tappa. Consuma la sua “veloce allegoria del destino” (copyright Bruno Raschi, Gazzetta dello Sport): “Romeo Venturelli nacque, visse e sparì nel giro di pochi giorni”. Renitente alla fatica. Al sacrificio.
Vincerà a ottobre il Trofeo Baracchi, in coppia con Diego Ronchini, poi più nulla. E cinque anni dopo, un Giro del Piemonte. Smise malinconicamente nel 1971: “Dal collo in giù sei una Ferrari. Dal collo in su sei tutto sbagliato, tutto da rifare”, fu il lapidario commiato di Bartali. Gli rinfacciano d’aver dissipato il talento in donne, gola e motori (Maserati). Fuoriclasse di un solo giorno, il 20 maggio del 1960. Poi, mai più. Per i cinquant’anni della scomparsa di Coppi, depone sulla tomba una corona: “A Fausto, il tuo allievo mancato”, la dedica. Lo raggiungerà, un anno dopo, il 2 aprile del 2011.