Corriere della Sera, 9 agosto 2021
La Normale di Pisa senza prof di archeologia da 11 anni
Che succede alla Normale? È mai possibile che all’élite accademica italiana, per trovare un professore all’altezza della cattedra di archeologia, non siano bastati finora undici anni? Quasi il tempo impiegato nel Dodecaneso per tirar su nel III secolo a.C. il Colosso di Rodi? C’è chi dirà: che razza di confronti! Per carità, sarà pure forzato paragonare uno dei più grandi cantieri dell’antichità alle scelte di un ateneo di enorme prestigio ma ridotte dimensioni. A Pisa, però, c’è qualcosa che non va.
Perché è proprio grazie al rapporto virtuoso tra eccellenza e dimensioni (alla sola Allama Iqbal Open University di Islamabad sarebbero iscritti 1.806.214 studenti) che la Normale, nel 2019, ha potuto vantarsi d’essere «la prima università del mondo per la ricerca nelle Scienze naturali: fisica, matematica, chimica». Evviva. Ma a maggior ragione è difficile capire il tormentone in corso e l’uscita di scena di tanti archeologi via via selezionati e scartati in uno sgocciolar di veleni e svolazzar di corvi mai visto prima.
Ma partiamo dall’inizio. A fine 2009 va in pensione l’ordinario di «Storia dell’arte antica» Paul Zanker, a fine 2010 quello di «Storia dell’arte e dell’archeologia classica» Salvatore Settis già direttore (cioè rettore) della nobile istituzione. Le cattedre vuote, però, non paiono angosciare alcuno. Al punto che il primo bando per archeologia viene pubblicato, con comodo, nel 2013. I candidati che si presentano, per metà stranieri, sono una quarantina. Fior da fiore, la commissione ne seleziona cinque: Luca Giuliani, ordinario a Berlino dov’è rettore del Wissenschaftskolleg, Clemente Marconi, ordinario alla New York University e già vittima in passato della «concorseide» italica (ricevette lo stesso giorno la lettera di nomina in America e l’avviso «grazie, lei non ci interessa» a Palermo), Francesco De Angelis, associato alla Columbia, Massimo Osanna, ordinario a Matera e prossimo a vedersi affidare la rinascita (missione compiuta) di Pompei, e infine Judith Barringer, ordinaria a Edimburgo.
Primo passo in autunno: tutti e cinque sono invitati alla Normale a tenere un seminario. Luca Giuliani, ritenuto la prima scelta, viene messo subito sotto pressione: dato il lunghissimo buco lasciato a archeologia è urgentissimo che lasci Berlino e si presenti in Normale il 1° febbraio, un mese dopo. Giuliani risponde che, da rettore del prestigioso collegio tedesco, non può filarsela in quel modo, dalla sera alla mattina. Grazie, amen e pazienza. Più o meno negli stessi giorni (vai a capire chi prima chi dopo) la Scuola fa la stessa richiesta a Clemente Marconi. Che verrebbe volentieri in Italia (alla Normale, poi!) ma è appena diventato papà e il trasloco immediato sarebbe impossibile tanto più che deve fare lezioni a New York fino a maggio: strappare il contratto, in America, non solo non sta bene ma proprio non si fa.
Peccato, gli dicono alla Normale. Amen. Un paio di giorni ed ecco, sorpresa, una novità: se proprio non si trova un ordinario resterebbe l’ipotesi di promuovere «titolare» ad archeologia l’attuale «supplente» (i termini esatti non sono questi, il senso sì) Gianfranco Adornato, un giovane ricercatore legato al direttore Fabio Beltram. C’è un problema: non è ordinario. E per ora manco associato. La sua promozione sarebbe quindi, rispetto alle tradizioni della Normale, una forzatura. Attribuita dai corvi svolazzanti, non bastasse, proprio al rapporto col direttore.
Vero? Falso? Non ci vogliamo neanche entrare. Men che meno sulla statura professionale dei protagonisti. Il punto è un altro: gli altri docenti selezionati come candidati credibili per quel posto da coprire il più in fretta possibile dove sono? Puff! Evaporati. E il bando? Boh... Per intanto va avanti Adornato... Finché nel 2017 il nuovo direttore della Normale Vincenzo Barone (che si metterà di traverso anche a un concorso in cui un docente di Palazzo della Carovana giura di non aver conflitti d’interesse con mogli, fratelli o cugini alla Normale perché lui è parente solo di sé stesso!) s’impunta per fare un nuovo bando. Che vede i commissari proporre tra una dozzina di candidati (metà stranieri) due idonei: Marco Galli, associato alla Sapienza, e Maria Luisa Catoni, archeologa, normalista, già presidente di commissione (unica italiana) dell’European Research Council e ordinaria all’Imt di Lucca. La quale nell’ottobre 2018 raccoglie l’unanimità dei voti dei tre organi consiliari e viene poi invitata dalla Normale a prendere servizio il 7 gennaio successivo. Tormentone chiuso? Magari...
Ultimi arrivano i corvi. Che prendono a spedire in giro lettere anonime e avvelenate fino a bloccare, tre giorni prima (approfittando del caos per le attese dimissioni di Barone, reo di aver prospettato una Normale-bis a Napoli), l’insediamento della vincitrice. La quale, ovvio, ricorre al Tar e poi al Consiglio di Stato. Che dopo un’altra litania processuale, le dà infine pienamente ragione annullando «l’illegittimo» annullamento della nomina e ordinando alla Normale di restituire a Catoni quanto le spettava: la cattedra. È il 2 novembre 2020. Pochi giorni e l’attuale direttore Luigi Ambrosio, prende contatto con la docente: archeologia è sua. «Disponibilità a entrare in servizio?». «Quanto prima». Troppo presto. A fine gennaio la data è fissata al 1° settembre. A fine marzo, però, senza avvertire la docente in arrivo come non fossero affari suoi, la Normale mette a bando un nuovo posto per un professore di seconda fascia cucito apposta, filo su filo, per Gianfranco Adornato, il «supplente» da anni al lavoro.
Giusto? Sbagliato? Maria Luisa Catoni, fresca vincitrice del braccio di ferro con la Scuola in cui è cresciuta, resta di sale: ma come, mi avete appena affidato una cattedra vuota da undici anni e dopo tutto quel che è successo mi tenete all’oscuro di una scelta che riguarda il mio settore? Cos’è, l’ennesima ripicca? Pensa e ripensa, alla vigilia dell’agognata assunzione decide per il gran rifiuto. Questione di lealtà. E di mancanza di rispetto, dopo troppi «atti non degni dell’eccellenza professata dalla Scuola». Perciò «con grande dispiacere, soprattutto pensando alle allieve e agli allievi», scrive, si vede «costretta a rinunciare alla presa di servizio». Meglio restare all’Imt di Lucca. Una sberla in faccia, per un tempio come la Normale.
Luigi Ambrosio assicura di condividere il dispiacere: «Appena ricevuta la sentenza del Consiglio di Stato ho deciso di farla applicare. Per noi era tutto fatto. Del resto, scusi, vorrei non parlare». Dicono speri che l’archeologa torni sui suoi passi. Possibile? Mah... Certo è che, undici anni dopo, il tormentone continua. E per chi ha il mito della Normale è una ferita che butta sangue.