La Stampa, 9 agosto 2021
Per Franco Cardini con il Green Pass arriva il totalitarismo
A proposito di Green Pass e dintorni, le riserve e la preoccupazioni espresse da Giorgio Agamben e da Massimo Cacciari il 26 luglio scorso, chiarite e corroborate dal bell’articolo dello stesso Cacciari su La Stampa del 2 agosto scorso, sono senza dubbio condivisibili e non possono essere sottovalutate. Anche perché esse toccano – al di là della «contingenza» e dell’«emergenza» rappresentate dal Covid – un problema centrale della vita e della società civile in tutto l’Occidente, e nel nostro Paese in particolare. Quello della preparazione, della credibilità e dell’adeguatezza dei nostri ceti dirigenti e al tempo stesso dell’incertezza e del disorientamento delle nostre società civili.
In linea di principio, ogni cittadino dovrebbe poter scegliere tra il pieno godimento della libertà individuale nei limiti stabiliti dalle istituzioni e la rinunzia sia pur temporanea ed eccezionale ad alcune di esse, in vista di un «pubblico bene», avvertito come superiore: ad esempio la sicurezza. Il punto è che il problema che ci sta dinanzi non si pone affatto in tali termini: dal momento che da una parte il vaccino è ben lungi – allo stato attuale delle cose – dal costituire una difesa assolutamente sicura contro il contagio (che sarebbe unica condizione per legittimamente prescriverne l’obbligatorietà), mentre dall’altra è evidente che una discriminazione ufficiale tra detentori e non detentori del Green Pass, con relativa limitazione delle libertà dei secondi, è costituzionalmente parlando improponibile. Non si può, in particolare, tollerare che nel nome di una discriminazione de facto, della quale il governo non si assuma responsabilità, siano sospesi ai non titolari di Green Pass il godimento di pubblici servizi e l’esercizio sia pur temporaneo della propria professione.
Così stando le cose, credo si debba comunque insistere sulla probabile utilità del vaccino (al quale personalmente mi sono sottoposto) ed allargare la quantità numerica dei vaccinati, ma al tempo stesso accettare il rischio perdurante di contagio, continuando ad assumere tutte quelle misure (dalla mascherina al tampone) in grado di consentire il controllo e il contenimento di esso. Ma in questo caso è necessario adottare immediate e rigorose misure atte a render possibile il «testare» e il «tracciare» in tempi rapidi aree ed ambienti sempre più ampi: accrescere il numero e la frequenza dei trasporti pubblici a partire da quelli destinati al servizio scolastico, intensificare i mezzi e le disponibilità di cura dei servizi ospedalieri, ridurre drasticamente ogni forma di assembramento.
Il punto è che per ritenere che sia possibile il conseguire risultati ottimali da misure di questo tipo, in attesa che la scienza ci provveda di risposte sicure, sarebbe necessaria una maggior fiducia nelle istituzioni, nelle qualità etiche e culturali dei ceti dirigenti e nell’attendibilità dei media: che è appunto quanto ci manca e quanto non sarà disponibile senza un’adeguata riforma sia della prassi elettorale sia della pubblica amministrazione. Le prove al riguardo fornite, ohimè, da troppo tempo, sia da parte del Parlamento sia da parte del personale degli enti pubblici, rendono improponibile l’ipotesi del superamento di future situazioni critiche nelle attuali condizioni. Dal momento che, dice bene Cacciari, «già viviamo all’interno di questa deriva: dal terrorismo alla immigrazione, oggi la pandemia, domani probabilmente sarà la difesa dell’ambiente. Tutte emergenze realissime, nulla di inventato. Il problema è come le si affronta, occasionalmente, senza memoria storica, incapaci di dar forma di legge agli interventi magari necessari, privi di qualsiasi strategia di riforma del sistema democratico».
E’ pertanto evidente il pericolo denunziato in forma interrogativa appunto da Cacciari in chiusura del suo articolo: «Stiamo preparandoci a un regime, a una "intesa mondiale per la sicurezza" (diceva un grande filosofo, Deleuze, anni fa), per la gestione di una "pace" fondata sulle paure, le angosce, le frustrazioni di tutti noi, individui ansiosi di soffocare ogni dubbio, ogni interrogazione, ogni pensiero critico?».
Temevamo da tempo il profilarsi effettivo di un «panorama orwelliano» di questo genere, per quanto troppi di noi se lo figurassero secondo schemi desueti, da «totalitarismo classico»: ebbene, ci siamo. Solo che ci siamo arrivati sulle ali di un «totalitarismo» di tipo nuovo, consumistico e liberal-liberista. E
a colpi di «politically correct».