Specchio, 8 agosto 2021
Il calciomercato raccontato da Claudio Pasqualin
Una volta c’era il calciomercato estivo. Con una breve appendice autunnale, detta di riparazione, un mesetto in totale o poco più. A differenza del calciomercato di oggi che è tracimato per ogni dove, per ogni data e per ogni stagione. Un reality in servizio permanente effettivo, con i suoi esperti e le sue macchiette in un palinsesto che si rispetti, con i quotidiani più o meno specializzati sempre all’inseguimento. E già questa è una nemesi, perché un tempo erano i giornali sportivi a tirare il gruppo e le televisioni, anzi la televisione visto che c’era solo la Rai ad andare a rimorchio. Un paio di estati a battere i marciapiedi antistanti il Gallia, e poi l’Hilton, sempre in zona stazione Centrale, le ho passate anch’io perché lì si faceva il mercato e lì c’era la sola possibilità di intercettare i direttori sportivi e i loro, pochi, collaboratori. Ricordo vagamente la sera in cui ci parve di scorgere, si lavorava a gruppetti, un movimento furtivo verso un’auto targata Firenze che si infilava in garage. Uno corre di qua, l’altro aggira di là, azzardammo un due più due che faceva Merlo, mezzala destra metà anni ’70, dalla Fiorentina all’Inter proprio allo scadere del mercato. Per chi a quei tempi era precettato ad occuparsene, i veri ferri del mestiere erano anzitutto le suole delle scarpe. Oggi, e da un bel po’, sono le batterie degli smartphone. Degli uni e degli altri. Di chi il mercato lo descrive così come di chi lo fa. Perché, se vogliamo raccontarcela giusta, allora erano i giornalisti a cercare gli addetti ai lavori. Oggi sono innanzitutto i procuratori, a vario titolo, a cercare i giornalisti viste le casse di risonanza che rappresentano: e se lo fanno, direbbero a Genova, c’avranno la sua conveniensa.
Si sta parlando di mezzo secolo fa. Quando già i tempi davvero eroici del calciomercato erano trascorsi. Nei primi ’50, per dire la più celebre che si tramanda, Lanza di Trabia, presidente del Palermo, trattava giocatori non solo dalla suite più prestigiosa del Gallia, ma direttamente dalla sua vasca da bagno. Di persona, non al telefono bianco. Immagino che questa la sapesse, avvocato Pasqualin.
«Questa è storia, e io l’ho pure studiata perché di Lanza di Trabia non si poteva non subire il fascino. Poi ne ho messo a fuoco i limiti anche sul piano etico, ma è vero che sino a lì non si faceva male a nessuno».
Difatti passarono un sacco di anni prima che qualcosa cominciasse a cambiare per davvero. Lei era da tempo il segretario dell’Associazione Calciatori. E un giorno convinse il suo presidente, l’avvocato Campana, a presentare un esposto alla magistratura contro il vincolo che legava i calciatori alle società. Una robetta da poco, che culminò nell’irruzione dei carabinieri al Leonardo da Vinci di Bruzzano, erede del Gallia e dell’Hilton.
«Diciamo che don Chisciotte e Sancho Panza, come ci chiamavamo Campana ed io, armammo senza volerlo, perlomeno non fino in fondo, la mano di un pretore d’assalto che si chiamava Costagliola. L’irruzione dei carabinieri, 70 avvisi di garanzia, fummo noi due i primi a spaventarci delle conseguenze di un’iniziativa che pure era sacrosanta. Non le dico il giorno che il pretore ci convocò a palazzo di Giustizia e vedemmo in quella stanzetta di sottoscala una pila di fascicoli in ordine alfabetico che cominciava con Atalanta. Oddìo Sergio, cossa gavemo combinà. Ma quello duro, imperterrito, ricordo che ci ringraziò e ci disse, d’altra parte se un operaio della Fiat va all’Alfa Romeo non è che Agnelli ne ricava dei soldi. Vuole il seguito?"
Par servirla, come dite voi del Nordest.
«Rientriamo a Vicenza. Dal centralino mi dicono che è in linea il sottosegretario alla Presidenza, Franco Evangelisti. Non dico A fra’, che tte serve? perché non la sapevo ancora, ma apprendo con discreto sbalordimento che il governo Andreotti aveva già presentato un decreto legge in base al quale le norme sul collocamento dei lavoratori NON si applicavano al trasferimento dei calciatori professionisti. Il decreto entrò in vigore 23 giorni dopo. E nel giro di poco più di due anni divenne la famosa legge ’91».
E lì uno normale, tra l’altro con diversi hobby tipo il collezionismo calcistico, la bicicletta, la buona cucina e i grandi vini, appende la laurea in diritto sportivo al chiodo. Invece lei se ne inventa un’altra che finisce per oscurare le precedenti.
«A inventarsela fu Eligio Nicolini e tra poco ricorderò chi è. Ma visto che siamo partiti dal calcio mercato per arrivare al romanzo di un giovane eclettico, raccontiamo almeno come andò. Il ruolo nell’Aic, la legge 91, l’attività di avvocato di diritto sportivo non erano passate inosservate. Il presidente della Roma Viola mi affidò una causa di lavoro contro Falcao, patrocinai le famiglie che chiedevano i risarcimenti per la strage dell’Heysel, e nel frattempo mi era stato proposto il ruolo di amministratore delegato prima del Milan, e poi della Roma. Non andò a buon fine, né di qua né di là, ma non c’è dubbio che sullo sfondo quella nuova figura di procuratore sportivo mi attirasse. Difatti ne parlai a Campana».
Non mi dica che fu lui a incoraggiarla.
«Questo no. Ma nemmeno a dissuadermi. E proprio in quei giorni Nicolini, chissà perché, per quale congiunzione astrale, bussò allo studio e mi chiese di rappresentarlo a trattare il suo contratto col Vicenza. Lui era un bel giocatore, che stimavo, l’occasione era inedita e hai visto mai, andai e conclusi con piena soddisfazione di giocatore e società. Era la prima volta. Quando tornò per la parcella, ero così imbarazzato che mi ricordo di avergli detto ‘fai tu’. Lui fece, con onestà e disinvoltura. Quando uscì buttai giù due righe di conti e conclusi che quello sì, era un mestiere. Altri 300 circa ne sono seguiti, e i nomi credo li sappia anche lei».
Del Piero, Vialli, Gattuso, Dino Baggio, Bierhoff, Toldo, Tassotti. Eccetera. Ma sbaglio, o fu lei, anche lei, a fondare l’Associazione Procuratori? Per senso di appartenenza, o per cominciare a creare un steccato – me lo faccia dire con eleganza – tra cani e porci?
«C’era un’interferenza, l’ultima frase l’ho persa. Comunque sì, accadde nel ’90 perché già allora e pensi al tempo che è passato si avvertiva l’esigenza di una scrematura. Tutto nacque da una riunione con Beppe Bonetto, una grande figura, il mio maestro, e poi Branchini, Roggi, Canovi. Trovando dall’altra parte, in rappresentanza della Federazione, un gran signore che si chiamava Mario Valitutti».
E continuo a sbagliare se, alla voce compensi, fu stabilito che al procuratore sarebbe spettata una cifra compresa tra lo 0,5 e il 5 per cento del contratto?
«Non sbaglia. Con obbligo di fattura al calciatore, senza colludere con la società».
Più o meno come oggi.
«Sono molti i casi, anzi davvero troppi in cui oltre a percentuali da brividi sono costretto a chiedermi di chi si facciano gli interessi. Perché nella quasi totalità dei casi il rilascio del mandato comprende 3 soggetti diversi: calciatore, procuratore, società. E uno è davvero di troppo».
Quante volte le è venuto il sospetto di aver contribuito a creare una mostruosità giuridica?
«Non poche. Io con la mia agenzia continuo a praticare la correttezza, e il rispetto delle regole che noi stessi ci siamo date. Ma non faccio fatica a constatare che la situazione è degenerata. Di sicuro le istituzioni calcistiche di prima erano più severe. Oggi sono più disponibili, più elastiche, un altro aggettivo se vuole lo aggiunga lei».
Non le domando che cosa pensa del parametro zero perché sarebbe come rubare in chiesa. A me sembra gemellato con la tolleranza zero, perché sia l’uno che l’altra da zero passano a uno, a tre, a dodici senza sforzo apparente.
«È elegante, ma io vado giù più piatto. E le garantisco che il parametro zero non esiste, mentre sull’altro versante la tolleranza mi ricorda direttamente le case di».
Rischio di sbagliare ancora dicendo che il vostro primo regolamento non contemplava i procuratori per gli allenatori?
«Magari sbagliasse. Allora era così, oggi anche questo tabù è caduto. E sempre più spesso ci costringe a pensar male».
Il miglior affare della sua carriera?
«Del Piero, quando la Juve lo lasciò arrivare a scadenza. Avevo grandi offerte da Real, United e soprattutto Barcellona. Quando la Juve se ne rese conto arrivammo a un grande contratto».
La ricetta per risanare il calcio italiano, con i guai pregressi e dopo un anno e mezzo di covid ammesso che basti?
«Senza nuovi stadi non si va da nessuna parte. Dobbiamo prenderci in tempi brevi un Europeo o meglio ancora un Mondiale».
Finite le parti in commedia, a cominciare dal lei, e finita la pandemia quando davvero finirà, secondo te tocca a un venerabile confratello del Bacalà alla vicentina far visita ad un cavaliere del tartufo di Alba, o viceversa?
«Io sarei per il sorteggio. Ma come avrebbe detto l’immortale Paròn, se xe un autunno giusto de tartufi, me sacrifico».