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 2021  agosto 08 Domenica calendario

Neanche Churchill riesce a vincere la guerra delle statue

La comunità di Denbigh, nel Galles, dovrà decidere con un referendum se abbattere la statua del suo cittadino più celebre, Henry Morton Stanley, il giornalista-esploratore che, quando finalmente trovò in Africa l’uomo che cercava, pronunciò una delle frasi più famose dell’epopea inglese: «Doctor Livingstone, I presume». Ma Stanley è colpevole di essersi avvalso, come tutti facevano all’epoca, di migliaia di portatori neri, e di non averli trattati benissimo.
La furia iconoclasta che percorre la Gran Bretagna è di tale portata da non risparmiare nessuno: ci si domanda chi sarà il prossimo a pagare per il suo passato colonialista, e il primo nome che viene in mente è quello di Winston Churchill, l’uomo che ha salvato l’Europa dal nazismo, una cosuccia che oggi sembra non contare più nulla.
Utilizzando le stesse motivazioni con le quali si chiede di abbattere le statue di Stanley e di Churchill, bisognerebbe togliere dai piedistalli anche quelle di molti personaggi storici che sono additati ad esempio di rettitudine. L’apostolo della non violenza, il Mahatma Gandhi, considerava i neri inferiori agli indiani e nel suo ufficio postale in Sud Africa aveva fatto aprire due porte: una per i bianchi e l’altra per i nativi. Bisognerà abbattere le sue statue? Abramo Lincoln, celebrato nei libri di storia e nei film come il presidente che abolì la schiavitù, nel 1858 diceva a Ottawa: «Fra la razza bianca e la razza nera vi è a mio giudizio una differenza fisica che impedirà per sempre che esse vivano insieme in condizioni di uguaglianza perfetta: sono favorevole al ruolo di superiorità che deve avere la razza a cui appartengo». Giù anche i suoi monumenti.
Nel pieno delle manifestazioni del Black Lives Matter, seguite all’omicidio di George Floyd a Minneapolis, il sociologo dell’università di Manchester Gary Young ha scritto un interessante articolo sul “Guardian” per sostenere la tesi che tutte le statue che raffigurano personaggi storici dovrebbero essere abbattute. Cristoforo Colombo era imperialista e razzista, un crudele massacratore di indigeni del Nuovo Mondo. Edward Colston era un commerciante di schiavi di Bristol. Ma Mandela? E Martin Luther King? E Lady Diana? Anche loro, come ogni essere umano, avevano qualità e lati oscuri: ogni personalità è piena di sfaccettature che si esaltano in un’epoca e si condannano in un’altra. San Carlo Borromeo, raffigurato ad Arona nei 35 metri della più grande statua italiana, ordinò di mandare al rogo 11 donne e assistette alla loro agonia. Abbattiamo anche lui?
Fissare nella pietra o nel bronzo la memoria di ciò che è accaduto è inutile, scrive Young, perché la storia non è scolpita nella pietra. «È una disciplina viva, soggetta a scavo, evoluzione e maturazione. La nostra comprensione del passato cambia in continuazione, le opinioni sulla sessualità, sulla medicina, sull’istruzione, sull’educazione dei figli, sulla diversità di genere e di razza sono diverse da quelle di mezzo secolo fa, e cambieranno ancora nei prossimi decenni».
Alcuni esponenti dei movimenti revisionisti oggi più in voga hanno avanzato la richiesta di compensare il gran numero di statue dedicate a persone sbagliate con più statue di neri e di donne. Ma non abbiamo bisogno di altre statue, dovremmo anzi farci coraggio, e abbatterle tutte.
In Trafalgar Square, a Londra, quattro plinti circondano l’alta colonna dedicata all’ammiraglio Horatio Nelson, l’eroe di Trafalgar. Tre reggono una statua, ma il quarto è ancora vuoto. Si discute da decenni su cosa farne, e ogni proposta di erigervi un’altra statua è fallita.
Si era pensato alla Regina Madre Elizabeth, poi ai calciatori David Beckham e Paul Gascoigne, e persino all’attore Benny Hill. Ma il plinto è vuoto, lo si usa per mostre e esibizioni. Durante le discussioni dell’immancabile, apposita commissione, si è scoperto che moltissime persone a Londra ignorano chi siano i personaggi raffigurati sopra agli altri tre plinti.
Per loro fortuna, se no sarebbero già ridotti in briciole. Si tratta di Sir Henry Havelock, il generale che represse con un massacro la ribellione indiana del 1857; di Sir Charles Napier, quello che pensava che il modo migliore per pacificare un paese fosse «una buona bastonata»; di re Giorgio IV, alcolizzato, pieno di debiti e più donnaiolo di Harvey Weinstein. Chi si può affiancare a questi tre gentlemen? Forse è meglio che sul piedistallo non ci salga nessuno.
Le statue, molto spesso, non sono state erette per celebrare una persona, ma il periodo storico che quella persona rappresentava. La statua di Edward Colston, gettata nel porto di Bristol l’anno scorso, era stata commissionata più di 150 anni dopo la sua morte. Voleva celebrare non gli undici anni in cui aveva commerciato schiavi, ma i cinquanta in cui era stato un grande benefattore della città. Anche la statua di Cecil Rhodes a Oxford voleva ricordarlo per le generose donazioni e per le borse di studio che hanno permesso a tanti giovani privi di risorse di accedere alla prestigiosa università, ma il suo passato razzista ha prevalso.
Non bisognerebbe mai giudicare le persone di un’altra epoca in base agli standard odierni, e abbattere le statue non serve a cancellare la storia. I monumenti sono ogni volta decisi dalle istituzioni dominanti, spesso per distorcere la comprensione di fatti complessi celebrando un singolo individuo.
Nel Campidoglio di Washington c’è un monumento a Rosa Parks, la donna che nel 1955 rifiutò di cedere il suo posto a un uomo bianco su un autobus a Montgomery, in Alabama, dando inizio al movimento per i diritti civili. Ma prima di lei una ragazza quindicenne, Claudette Colvin, aveva fatto esattamente lo stesso. Era tutto pronto perché fosse Claudette a diventare l’icona della lotta contro la segregazione, quando lei rimase incinta pur non essendo sposata. La chiesa locale e i leader del movimento la abbandonarono, e oggi nessuno la ricorda, e non ci sono monumenti con il suo nome sotto.
Abbattiamo dunque anche le statue dell’usurpatrice Rosa Parks, ed erigiamone una per Claudette Colvin. Oppure abbattiamole tutte, o lasciamole tutte dove sono, che è forse la soluzione migliore.