La Stampa, 8 agosto 2021
La rivolta dei minatori cileni di rame
A 3.000 metri sul livello del mare, esposti al sole intenso di giorno e al vento gelido di notte della Cordigliera delle Ande si è consumata una scena degna delle «vene aperte dell’America Latina» del grande scrittore uruguaiano Eduardo Galeano; i dirigenti sindacali della miniera di rame più grande del mondo hanno avvisato i lavoratori di prepararsi per quello che potrà essere lo sciopero più lungo e costoso della storia. Subito dopo, a migliaia di chilometri di distanza, le piazze finanziarie di tutto il mondo hanno tremato, con i trader che hanno fatto di tutto per bloccare la caduta del prezzo del «metallo rosso», che in cinque giorni ha perso il 2,2%, facendo intravedere gigantesche perdite per la più grande multinazionale del settore, l’anglo australiana Bhp Billiton. Gli occhi del mondo sono ora puntati su La Escondida, la miniera più importante del Cile, capace di fornire il 7% della produzione mondiale di un metallo sempre più necessario, tanto che il suo prezzo viene studiato come termometro della salute dell’economia globale. Lassù ben 2.164 minatori hanno aderito allo sciopero, solo 11 i contrari. Dopo cinque giorni di conciliazione obbligatoria i progressi sono stati pochissimi, la vertenza non sembra affatto facile da risolvere. I minatori, ci ha spiegato l’addetta stampa del sindacato Antonieta Contreras Romero, non parlano direttamente con i giornalisti, ma la loro posizione è spiegata chiaramente nei loro comunicati, oggi letti anche dagli operatori di Wall Street o della City di Londra. «Durante la pandemia non ci siamo tirati indietro, la produzione è aumentata. Dobbiamo ridiscutere le condizioni permanenti di lavoro tenendo conto che siamo di fronte alla più grande impresa mineraria al mondo, che quest’anno otterrà profitti superiori a dieci miliardi di dollari a livello globale». I numeri danno loro ragione. Nel 2020 la Escondida ha fatto registrare un aumento del 115% dei guadagni netti, circa 2,1 miliardi di euro. La Bhp ha offerto un bonus unico di 19.000 euro per il 2021, ma loro chiedono qualcosa di più e di diverso; ottenere l’equivalente dell’1% degli utili della società. Un concetto, al di là dei numeri, rivoluzionario; riconoscere ai lavoratori una fetta della torta, non le briciole.
Ad Antofagasta tutti si ricordano l’ultimo grande sciopero del 2017 che durò 44 giorni causando una perdita di 700 milioni di dollari e una flessione complessiva del 1.3% dell’intero Pil del Cile. Il Cile, infatti, è di gran lunga il primo produttore mondiale di rame, che rappresenta la metà delle esportazioni e vale il 10% delle entrate fiscali per lo Stato. Croce e delizia, da più di mezzo secolo. Nel 1970 il socialista Salvador Allende lo nazionalizzò, ma poi venne Pinochet, che aprì ai privati attirando in Cile tutte le multinazionali. Per molto tempo i militari cileni si sono fatti ricchi grazie ad un’aliquota fissa sull’export decisa dal dittatore. I governi di destra o di centrosinistra post dittatura hanno sostanzialmente mantenuto lo status quo ed oggi risulta estremamente complicato calcolare quante tasse vengono pagate dalle ditte straniere, già che riescono ad ottenere importanti esenzioni grazie a donazioni o lavori di viabilità spesso discutibili: se costruiscono una strada di accesso ad una miniera in mezzo al deserto, ad esempio, possono scontare quello che hanno speso come «contributo alla comunità».
Adesso, però, i tempi sembrano essere cambiati. La questione di un nuovo royalty sul rame verrà infatti trattata durante i lavori dell’Assemblea che deve scrivere la nuova Costituzione cilena; molti delegati di sinistra ed estrema sinistra, che sono la maggioranza, hanno già fatto capire che lo Stato deve guadagnare di più. C’è chi fa l’esempio della Norvegia col petrolio, chi azzarda una soglia del 70% totale di imposte su quanto si estrae. Colossi come Bhp Billiton, Rio Tinto, Barrick Gold, Anglo American o Glencore avvertono che se le condizioni non saranno più vantaggiose loro sono pronti a diversificare altrove, ma a Santiago sanno che solo un folle lascerebbe una miniera attiva solo perché deve pagare più tasse. Lo sciopero attuale diventa così un importantissimo banco di prova. Il presidente di «Bhp Mineral Americas», Ragnar Udd, ha recentemente pronosticato un nuovo ciclo dorato del rame, grazie all’aumento della domanda cinese e del settore delle auto elettriche. «Dobbiamo abituarci ad una crescita sostenuta dei prezzi da qui fino al 2050». I minatori de La Escondida sanno che il rame potrà essere l’oro del futuro e sono pronti a dare battaglia.