la Repubblica, 8 agosto 2021
Torna Maria Monti la voce che stregò Gaber
Chi pensa che a questo Sanremo sia andata in scena la trasgressione (i nomi, a piacere), sappia che al festival del 1961 (1961!) c’erano due che in Benzina e cerini cantavano: “Il suo destino è di morire bruciato/ Il mio ragazzo chi lo sa perché è preoccupato/ Ho inventato un nuovo gioco/ Lo cospargo di benzina e gli do fuoco/ e lui brucia, brucia d’amore”. Lui era Giorgio Gaber, lei la sua fidanzata vera, Maria Monti, la prima cantautrice italiana, che a 86 anni non pensa a ritirarsi, anzi ha inciso un nuovo disco, Sprazzi di pace.
L’occasione per ripercorrere una storia unica della musica italiana. «Però dimenticata, peccato. C’è chi pensa che io sia morta, o non ricorda tutto quel che ho fatto. La pace di cui parlo è anzitutto interiore. L’ho trovata in India conoscendo Sai Baba e Maharishi Mahesh Yogi: da allora pratico meditazione e sto benissimo pure fisicamente.
Da questa pace può nascere quella in terra. E poi penso ai giovani e alle loro battaglie per l’ambiente. Ho messo in musica il Cantico delle creature e l’inedito Sedie vuote », che sembra modellato su di lei: una lunga e gloriosa carriera ma senza occupare troppi spazi. «Sarà la mia timidezza congenita – sorride – al debutto, al club milanese Santa Tecla, cantavo i classici americani come Stormy weather stando dietro il sipario, per vergogna».
E timido era anche Gaber, con cui presto si fidanzò, e assieme nacque Non arrossire: «Testo mio, musica sua. Una canzone che parlava davvero del nostro amore. Anche Goganga era mia, ma mi dimenticai di andare a firmare in Siae. Assieme facevamo musica e cabaret, quasi una anticipazione del teatro canzone. Benzina e cerini fu ultima a Sanremo. Ma poi l’Espresso titolòPer noi gli ultimi sono i primi e Umberto Eco ci definì esponenti della nuova poesia milanese».
A questo idillio umano e artistico mancava solo un “sì”, «ma Giorgio non si decideva a sposarmi, forse non volle essere borghese, o non piacevo ai suoi, o che ne so. E allora lo lasciai, mettendomi col fotografo Mario Pondero. Tempo dopo lo rividi a una cena. Lui alzò il bicchiere verso me e disse: “Monti, ma perché ai tempi mi hai mollato?”. E io: “Perché ti amavo”, ed era pure vero. E con un po’ di immodestia, ma anche senza conferme, penso di essere io quella di cui parla in Chiedo scusa se parlo di Maria ».
Canzone che diceva “Maria la libertà, Maria la rivoluzione”. Perché un altro gran pezzo della carriera di Maria Monti sono state musiche di lotta politica, partigiane, di impegno, che le procureranno guai e forse una carriera meno fulgida del possibile. «Forse, ma non rinnego nulla. Penso alle Canzoni della Resistenza spagnola, che da tesserata Pci mi entusiasmarono. E ovviamente alle Canzoni del no, del 1964, con Stronzio 90, contro l’atomica, che le Feste de l’Unità amavano e La marcia della pace scritta da Franco Fortini e Fausto Amodei, con frasi come “se la Patria chiama, lasciatela chiamare/ Oltre le Alpi e il mare un’altra Patria c’è”. Disco sequestrato, processo e assoluzione».
Da lì tanto altro, dalle canzoni di Della Mea, Bertelli, Pietrangeli a una — La pecora che crede di essere un cavallo, sull’omologazione – di Aldo Braibanti, intellettuale condannato per plagio perché omosessuale. Canzoni magnifiche, ma destinate a circuiti ridotti: non c’era bisogno di censurarle, semplicemente i giornali non ne parlavano e tv e radio non le trasmettevano. Anche per questo Maria Monti ha alle spalle una lunga carriera a teatro (con Bramieri, Poli, Bene) e al cinema, con le perle di Giù la testa di Leone e Novecento di Bertolucci, dove è la madre di Depardieu- Olmo. Pian piano però la sua fama scende, «un po’ l’età, un po’ la mia esigenza di staccare, ogni tanto. Certo ora mi sento un po’ come quella della mia Zitella cha cha cha, "e pensare che un giorno ero bella, ma or son rimasta sola, se nasco un’altra volta non farò più così"».
Ma Maria Monti ha ancora due voglie: «Cantare ancora. E tornare a vivere da Roma a Milano, dove sono nata in via Solferino. Avevo un accordo con la Casa di riposo per musicisti Giuseppe Verdi, poi hanno fatto qualche pasticcio. Ma io non demordo: non l’ho mai fatto in vita mia».