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 2021  agosto 08 Domenica calendario

Pippo Baudo torna in Rai. Intervista

Voce brillante, qualche tuffo in piscina, Pippo Baudo si gode l’estate in attesa dei nuovi impegni autunnali. A 85 anni fa progetti e ha ritrovato l’entusiasmo. «A Rai 3», racconta, «mi sono trovato benissimo, con il direttore Franco Di Mare e la sua vice Rosanna Pastore parliamo la stessa lingua, amano la televisione. Questo nuovo progetto — in vista del festival di Sanremo — di spiegare l’Italia attraverso i festival mi sembra bellissimo: racconterò la storia del costume. Cambiano le canzoni mentre cambiava il Paese». Intanto, sempre su Rai 3, con Antonio Di Bella, ha introdotto le grandi opere dall’Arena di Verona — un successo — martedì 10 agosto ci sarà l’ultimo appuntamento con Aida .
Baudo, si aspettava tanto interesse da parte del pubblico?
«Devo essere sincero: sì. La gente si sta abituando a prodotti diversi, più raffinati, non è vero che il pubblico è scadente o vuole prodotti facili. Quando il prodotto è di classe, ti segue».
Cosa fa la differenza?
«Parlando di lirica bisogna trovare un linguaggio moderno, non aulico, ma scorrevole, perché la gente si appassioni. L’opera è nata come un genere popolare ed è tornata a esserlo. Il pubblico curioso c’è, bisogna solo stanarlo».
Opera preferita tra le tre che avete presentato?
« Cavalleria rusticana , per motivi personali e locali: racconta sentimenti della mia Sicilia. Ma Aida di Verdi è un capolavoro assoluto».
Con Di Bella siete complici: com’è andata?
«Tra noi c’è un rapporto di amicizia e di simpatia, ci capiamo benissimo. Spero di rifare insieme un programma come questo dedicato alla lirica».
Aveva voglia di tornare in tv?
«Ho sempre voglia di tornare in televisione, quando passa la voglia sei finito: non hai più candore, hai perso la curiosità. Oggi sono entusiasta, certo valuto con grande attenzione le proposte che mi fanno. Ma stare nel circo mi piace».
Si sono insediati i nuovi vertici Rai. È ottimista sul futuro?
«Sì perché c’è gente di mestiere, l’amministratore delegato Carlo Fuortes, poi, è un economista e anche un musicista, ha curato le sorti dei teatri. È una persona colta, sono molto fiducioso. Spero di incontrarlo».
Cosa si augura per la Rai?
«Che si esalti il concetto di servizio pubblico: significa che dalla prima immagine, senza guardare il canale, devi dire: "È un programma Rai". Sono legato alla Rai, ci ho passato la vita. Per me servizio pubblico deve voler dire qualità, solo così si può vincere.
Deve mantenere lo stile».
Di cosa si è rammaricato in questi anni?
«Che per un bel po’ hanno fatto prodotti di natura commerciale, come se fosse la tv delle televendite. Non bisogna dimenticarsi che ai tempi di Giovanni Salvi e di Biagio Agnes, i programmi avevano sempre una loro cifra. Mi dirà: parliamo di tanti anni fa».
Le cose sono cominciate a cambiare quando la concorrenza è diventata aggressiva, la rincorsa degli ascolti ha cambiato le cose. Poi però è diventata un alibi.
«Questo è vero, all’inizio si è corsi ai ripari rincorrendo quel modello. Ma poi bisognava recuperare l’orgoglio del servizio pubblico, mantenere intatta quella dimensione. Ci vuole equilibrio».
Il genere più difficile da innovare?
«Sempre il varietà. Sono bolle di sapone, non ha la consistenza della prosa o della fiction. Dare consistenza alle bolle è una sfida. La leggerezza intelligente è un’arte, devi cambiare senza tradire il pubblico».
Pensa di esserci riuscito sempre?
«Quasi sempre, non voglio essere immodesto. Cambiavo: Tutti a casa, Partita doppia, il castello, Luna Park, Serata d’onore , un palmares ricco, magari imperfetto. Mi stufavo di rifare lo stesso programma, ero il primo ad annoiarmi».
Il festival di Sanremo è un altro banco di prova.
«Ho sempre cambiato anche il festival: stile, facce, il modo di confezionare il prodotto… Una bella soddisfazione».
Che pensa della riconferma di Amadeus?
«Tutto il meglio, se lo merita.
Voglio bene a Amadeus. Quando lo hanno chiamato la prima volta è venuto a chiedere consigli.
Gliel’ho detto subito: "Fallo assolutamente". Ha fatto due bei festival, ora è a quota tre, chissà se arriverà al tredicesimo, come il sottoscritto. Il primo nel 1968, l’ultimo nel 2008».
Una vita all’Ariston.
«Per questo Di Mare ha avuto una bella idea, ripercorrere l’Italia di quegli anni».
Amadeus ha il merito di aver innovato dal punto vista musicale: che pensa della sua piccola rivoluzione?
«Ha fatto un cambiamento profondo, è arrivato ai giovani. I vincitori di quest’anno, i Måneskin, con Zitti e buoni , sono riusciti ad aggiudicarsi Sanremo e anche l’Eurofestival, una grande cosa. Non capitava da secoli».
Le piacciono i Måneskin?
«Sono divertenti, scatenati, bravi.
Molto diversi dal genere di musica che ascolto io, però interessanti».
Ha sofferto il lockdown e anche durante l’inverno è stata dura, oggi — con tutte le cautele — per lei è l’estate della ripartenza?
«Questa estate mi sento cittadino italiano. Protetto e libero, perché ho fatto tutto quello che mi è stato proposto. Milioni di italiani hanno fatto il proprio dovere e rispettano le regole anti-Covid. Per questo dobbiamo ringraziare tre grandi personaggi: il presidente Mattarella, il premier Draghi e il generale Figliuolo che è un grande personaggio. Mi diverte con tutte quelle mostrine, ma è una furia».
Che pensa dei no vax?
«Che con tutto quello che abbiamo vissuto, danno prova di stupidità. Si sentono diversi ma sono ignoranti. Non è la paura a spingerli, è la presunzione.
Pensano: "Gli altri si fanno i vaccini? E noi no, siamo libero".
Ma liberi di che… è un pensiero sciocco.
Al primo posto c’è una cosa sola, la salute: la propria e quella degli altri».