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 2021  agosto 08 Domenica calendario

Luca Serianni contro lo schwa e gli asterischi

E se spostassimo la discussione?Non più la diatriba tra bianchi e neri, tra i paladini dell’asterisco transgendere i cultoridella grammatica tradizionale, tra chi rivendica il politicamente corretto anche nelledesinenze e chi gli oppone unafiera allergia.Anche perché quellodello schwa, il simbolo inclusivo della "e" rovesciata per rendere neutro il genere, è un partito largamente trasversale, avversato da unoschieramentoche daMaurizio Maggiania Paolo Flores d’Arcais annoverafior di progressisti. Proviamo aprenderla da un altro punto di vista: se passasse la proposta grafica degli asterischi e delloschwa, saremmo davanti a un’innovazione alfabetica, e quindia una rivoluzione culturale. Ma comecambia l’alfabeto d’una lingua?
Chilo decide? Isegnisenza suono possonoavere un senso?E cosadice di noi, delle abitudini quotidiane, della nostra geografia mentale,un nuovo codice arricchito di grafemi estranei al nostroalfabeto comeun asterisco e una"e" a testa ingiù?Da circa mezzo secoloLuca Serianni studia i mutamenti dell’italiano. Storico della lingua, grammatico e lessicografo – è sua la curatela del dizionario Devoto Oli– i cambiamentinon s’è limitatoad analizzarli,ma qualche volta ha contribuito a determinarli: chi si vede costretto a scrivere "sé stesso" con l’accentoacuto sulla "e", dopo una vita vissuta astenendosi dall’accento, sappia che la responsabilità è proprio diSerianni. «Ma in questo caso si trattava di regolarizzare un’oscillazione, non di fare una rivoluzione alfabetica», dice la studioso che hadedicato la suavita intellettuale a Il sentimento della lingua, dal titolo del recente libro-intervista del Mulino a cura di Giuseppe Antonelli.
Oggi siamo davanti a un vero sovvertimento alfabetico. Finora le proposte per una scrittura inclusiva, non più caratterizzata da un predominio maschile, si fermavano alle declinazioni, alle concordanze e ai neologismi. Il ricorso all’asterisco e allo schwa - per rendere neutro il genere - comporterebbe una modifica dell’alfabeto.
«Sì, ma nella storia della lingua italiana nonè laprima volta cheviene proposta una riforma grafica dell’alfabeto. È già accadutonelCinquecento, quandoun letterato vicentino, Gian Giorgio Trissino,propose di aggiungere dei segni particolari per distinguere la "e" aperta da quella chiusa, e la "o" aperta dalla"o" chiusa. Ma questa riforma grafica non ebbe alcunsuccesso. Le proposte fatte dall’alto, da singoli gruppi, hanno scarsa possibilità di affermarsi».
Allora non c’era la rete digitale, che ha avuto un ruolo importante nella diffusione dello schwa. Il simbolo è stato già adottato da una casa editrice, la effequ. E dal comune Castelfranco Emiliano, nel Modenese.
«Non sopravvaluterei la forza della rete, dalla quale continua aessere esclusauna parte della popolazione. I cambiamenti linguistici sono determinatidall’uso comune della lingua.Non bastano l’iniziativa di una sigla editoriale e di un’amministrazionecomunaleper modificare abitudini radicate».
Perché è così scettico?
«La propostaè destinata a non avere futuro anche per un’altra ragione: i segni graficidi cuiparliamo non hanno un corrispettivo nel parlato. E qualunquelingua èinprimoluogo una linguaparlata. Lo schwa cheresapuò avere?Nessuna. Indicauna caratteristica vocale indistinta propria dei dialetti meridionali, quindi estranea alla maggior parte degli italiani. E l’asterisco indica un’amputazione:impronunciabile».
Soltanto ciò che ha un suono, che è pronunciabile, ha un senso?
«Diciamo che ciò che non esistenella lingua parlata ha cittadinanzasolo nella lingua scritta. Resta circoscritta: da qui la scarsa possibilità di successo».
La lingua è lo specchio d’una società, del suo stile di vita e di pensiero. Cosa raccontano di noi questi nuovi segni grafici?
«Raccontano ilgrande potere dello scritto sul parlato. L’asterisco nasce agli inizi della storia della tipografia italiana:serve a indicare una lacuna neltesto. Noi siamo una società largamente alfabetizzata, abituata a leggere le parole, a vederle, prima ancorachea pronunciarle.Ci sono delle espressioni dell’usocomune, non recenti, che indicano questa nostra familiarità con il codice scritto: metterei puntini sullei, non valere un’acca.La convinzioneche solo lo scritto possa rappresentare la lingua nellasuainterezza ècomunea una gran parte delle civiltà non solo occidentali».
Ma questa prevalenza della scrittura sul parlato non è singolare in un mondo sempre più orientato verso l’oralità?
«Iodireichesiamosemprepiù immersinella scrittura, proprio grazie alla rete. Oggi anche i telefonini ci consentonoil lusso di un’interpunzione più sofisticata: pensi che arrivo ascrivere gli sms con il punto e virgola».
Scriviamo tanto, sì. Ma la nostra lingua s’impoverisce. Voi linguisti ci ricordate che anche i giornali, tradizionali fucine d’invenzione linguistica, non producono più neologismi. Non le pare un paradosso l’aggiunta di nuove lettere dell’alfabeto in un momento di appiattimento linguistico?
«Sì, saremmo davanti a un paradosso.
Ma l’aggiunta di nuovi simboli all’alfabeto sarebbe una cosa talmente eversiva che mi sembra difficile che possa passare».
Chi lo decide? Il Gran Consiglio della Crusca, ammesso che esista un organo così pomposo?
«Icambiamentiavvengonosempre attraverso lunghi processi. La legittimazione della lettera "acca" risale alla terza edizione del vocabolario della Crusca (1691), che all’epocaaveva una capacità di modellizzazionemolto forte. Tra i suoi sostenitori era stato in precedenza ancheLudovico Ariosto, secondo il quale "chileva la H all’huomonon si conoscehuomo, e chi la leva all’honore nonè degnodihonore"».
Quindi un tempo incidevano le grandi opere e i grandi intellettuali. E oggi?
«Oggi intervengono tutte le fonti dell’italiano scritto, ossa i testi giuridici e amministrativi, gli usi delle case editrici, gli articoli di giornale. Se lo schwa fosse usato nei testi legislativi, sarebbe accolto nell’alfabeto. Ma la ritengo un’ipotesi inverosimile».
Resta il fatto che parliamo una lingua al maschile. E ancora non è stata trovata una soluzione.
«L’evoluzioned’unalingua è molto più lenta dell’evoluzione della società. Le donne sonoentratein magistratura nel1963, oggi rappresentano circa la metàdella professione, ma è raro sentire laparola "magistrata". Come è difficile sentire "avvocata". Qualche passo avanti è stato fatto con "ministra" e "sindaca": trent’anni fa sarebbe stato impensabile».
L’italiano è una lingua più conservativa di altre?
«No, non direi. Sarebbe sbagliato sottovalutare le grandi trasformazioni dal secondodopoguerrain poi, studiatesoprattutto da Tullio De Mauro.La linguaparlata daun adolescente dioggi è molto diversa dall’italiano di mezzo secolo fa: i Promessi Sposi sono diventati una lettura difficile, non lo erano per un quindicenne della mia generazione».
Le ideologie possono cambiare una lingua?
«Possono riuscirci nei regimi dittatoriali. Il fascismo ci ha provato: forse sarebbe riuscito a eliminare il "lei"se non fossecaduto pochi anni dopo il divieto. I cambiamenti imposti dall’alto sono più difficili in un assetto democraticoe policentrico come il nostro.Anche perquesta ragionela possibilità di intervenire in modo coattivo sul nostroalfabeto mi sembra destinata al fallimento».