Corriere della Sera, 8 agosto 2021
Arrestata Maria Licciardi, regina della Camorra
Aveva acquistato il biglietto di un volo low cost per Malaga, Maria Licciardi, uno dei capi più potenti della camorra, e non aveva fissato nessuna data per il ritorno. Ieri mattina era in attesa dell’imbarco all’aeroporto romano di Ciampino quando i carabinieri del Ros le si sono avvicinati e le hanno mostrato il provvedimento di fermo emesso dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli.
Lungo l’elenco di reati contestati a questa donna di settant’anni che dal 2009 è considerata il vertice assoluto del clan fondato da suo fratello Gennaro (morto in carcere nel 1994): l’Alleanza di Secondigliano. E se attese circa tredici anni per raccogliere l’eredità di famiglia fu soltanto perché la detenzione, alla quale anche lei era sottoposta, le impedì di imporsi in tempi più rapidi. Ma dal momento della scarcerazione a quello dell’assunzione del comando passò pochissimo. E a spianarle la strada non fu soltanto il suo cognome, che certo era fondamentale, ma soprattutto la capacità di governare i difficili equilibri di una realtà camorristica complessa come quella di Secondigliano e di tutta l’area, tra periferia e provincia, che circonda il quartiere.
E anche l’abilità nel resistere – e pure sfuggire – all’accerchiamento di magistratura e forze di polizia. Quando, nel giugno del 2019, ci fu una delle più imponenti operazioni anticamorra, con 126 arresti e sequestri per 130 milioni di euro, l’unico capo dell’Alleanza che riuscì a sparire dalla circolazione prima dell’arrivo dei carabinieri fu lei. «Da oggi Maria Licciardi è ufficialmente latitante», annunciò allora il procuratore Giovanni Melillo. Ma mentre lei era irreperibile, il suo avvocato ricorse al Tribunale del Riesame contro l’ordinanza che la indicava come un boss e in cui le si contestava quindi l’associazione mafiosa, e i giudici la accolsero, annullando il provvedimento e ritenendo addirittura che il carisma criminale della donna fosse ormai in discesa.
Maria Licciardi tornò quindi a essere una donna libera, e da donna libera aveva acquistato il biglietto per Malaga, dove vive sua figlia. Insomma, il suo sarebbe potuto apparire anche come il viaggio di una mamma e nonna che va a passare le vacanze estive dai familiari. Se non fosse, però, che sulle attività della donna la Procura e il Ros dei carabinieri hanno continuato a indagare, nonostante quel pronunciamento del Riesame. E in due anni hanno ricostruito una serie di episodi che secondo gli investigatori vanno in totale controtendenza rispetto alla teoria della leadership appannata.
Nell’udienza di convalida della prossima settimana, infatti, il gip non dovrà valutare soltanto il ruolo di Maria Licciardi al vertice dell’Alleanza di Secondigliano, che comporta l’accusa di associazione mafiosa, ma molto altro. Ora le si contesta anche di aver di fatto gestito la cassa comune del clan, prelevando puntualmente le somme da versare alle famiglie degli affiliati detenuti (che non è un atto di generosità ma un modo per evitare che qualcuno si trovi in difficoltà economiche e per uscirne scelga di collaborare con gli inquirenti). E poi ci sono le accuse per fatti specifici, come l’intervento per pilotare un’asta giudiziaria di immobili del suo quartiere e le minacce nei confronti di una donna collegata al clan per una questione di soldi spariti.
Tutti elementi che i carabinieri hanno raccolto non senza difficoltà, perché Licciardi si è mostrata molto attenta a difendersi dai sistemi di intercettazione, e che di fronte al viaggio di sola andata per la Spagna – dove la camorra di Secondigliano ha da sempre importanti basi operative per il traffico di droga – hanno indotto la Procura a disporre l’arresto. Al quale Maria, come sono abituati a fare i boss, non ha opposto resistenza.