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 2021  luglio 21 Mercoledì calendario

Biografia di Valerio Morucci

Valerio Morucci, nato a Roma il 22 luglio 1949 (72 anni). Ex terrorista. Ex esponente di Potere Operaio. Ex esponente delle Brigate Rosse. Nome di battaglia: Matteo. Detto anche Pecos Bill, per la sua abilità con le armi da fuoco e il suo atteggiamento da cowboy • Il 16 marzo 1978 fece parte del commando responsabile della strage di via Fani • «Durante i cinquantacinque giorni del sequestro di Aldo Moro, Valerio Morucci e la sua compagna Adriana Faranda sono stati i telefonisti delle Br e i postini delle tante lettere scritte dal presidente Dc. Sono stati anche gli unici che hanno tentato sino alla fine di far rinviare l’uccisione dello statista loro prigioniero» (Mario Scialoja, L’Espresso, 7/5/1998) • «Lo scontro ideologico, il capello tagliato in quattro, la ricetta per cambiare il mondo in tasca, il viso nascosto da un passamontagna e le armi in pugno. Morucci ne era fanatico. Era suo il mitra Skorpion usato per l’esecuzione della sentenza di morte pronunciata dalla “giustizia proletaria” nei confronti di Aldo Moro» (Giovanni Maria Bellu, la Repubblica, 5/9/2003) • Arrestato il 29 maggio 1979. Condannato all’ergastolo in primo grado, e a 30 anni di carcere in appello. Per effetto della legge sulla dissociazione, pensata per i collaboratori di giustizia, beneficiò di ulteriori sconti di pena, ottenendo il regime di semilibertà e la libertà condizionale. È completamente libero dal 1994.
Titoli di testa «Tu hai ucciso delle persone. “Sì”.
Spesso si dice: “Curcio non ha ammazzato nessuno”. “L’aver fatto parte di una organizzazione che ha ucciso è una responsabilità collettiva e, nonostante la gravità, paradossalmente ci si potrebbe giustificare. Vabbé, noi abbiamo ucciso ma hanno ucciso anche loro. Prima che noi sparassimo un solo colpo di pistola, c’erano stati 200 comunisti uccisi dalla polizia nelle manifestazioni dal ’45 in poi”.
 Aver sparato personalmente a una persona è diverso. “È diverso. Sei da solo di fronte a un fatto concreto, enorme, drammatico. Ma il turbamento e il tributo che devo pagare per questo non deve interessare i lettori di un giornale. Nella manifestazione pubblica del cordoglio io ci vedo sempre ipocrisia e falsità. Se ci fosse da riempire il discorso sui rimorsi, io potrei farlo. Ma non prima che quelli che hanno mandato i nostri caccia a uccidere la gente di Belgrado abbiano fatto la stessa cosa”» (Claudio Sabelli Fioretti, Sette, 22/11/2001).
Vita «Tu hai origini proletarie? “Mio nonno aveva uno stabilimento di falegnameria in via Galvani al Testaccio, con tanti operai. Dal suo stabilimento sono usciti i portoni laterali dell’Altare della patria. Quando si rifiutò di iscriversi al partito fascista, lo stabilimento fallì. Mio padre andò all’Agfa. Ma fu licenziato perché non faceva il saluto romano. Nel ’49 fu assunto alle Poste. L’anno in cui nacqui io”. Tutti antifascisti? “Mio nonno era anarchico. Andava con un gatto a nove code alle manifestazioni in piazza prima del ’22. Con lo stesso gatto ci picchiava i figli. Tutti comunisti, i figli. Sono nato e cresciuto comunista”. Scuole? “Non mi andava di studiare. Facevo sempre sega”.
Che cosa volevi? “Volevo vivere. Studiare mi annoiava. Stare chiuso mi deprimeva”» (Sabelli Fioretti) • Suo padre lo iscrive alla scuola alberghiera. D’estate lavora come cameriere. «Alla fine mi assunsero al Cocktail Lounge di Fiumicino. Brigitte Bardot, Liz Taylor, l’avvocato Agnelli: facevo il cameriere dei supervip». Ha 18 anni. Tra stipendio e mance guadagna 200 mila lire al mese. «Ma era una vita infame: mi alzavo alle 5, lavoravo 11 ore al giorno. Mi licenziai. Cominciai a girare per Roma con una 850 Abarth e a frequentare i vecchi amici del liceo Mameli. Grandi discussioni, politica, sesso, psicoanalisi, linguistica».
I suoi miti sono Steinbeck, Dos Passos, Hemingway, Garcia Lorca, Prévert, Dylan, Lucio Dalla. «Ricordo come fosse oggi, Il cielo». Poi arrivano il 68, il movimento studentesco e la contestazione, lui ci si butta dentro. Valerio, che non ha fatto nemmeno il liceo, di colpo decide che vuole andare all’università. «Valle Giulia? “C’ero naturalmente. Ma rimasi sotto shock per un’oretta buona. E scappai. Ci rifugiammo dentro a un garage. Poi uscii e tirai il mio primo sasso”.
Perché la contestazione ha perso subito la sua spinta creativa e spontanea? “Perché il vecchio soffocò il nuovo. I leader non erano espressione di quel movimento. Russo, Piperno, Sergio Petruccioli, erano tutti ex dirigenti della gioventù comunista. Così il vecchio, gli irrisolti rimpianti comunisti, mise il cappello su quella che era una esplosione sociale”. Tu entrasti in Potere operaio. “Mi diedero la responsabilità degli studenti medi. Mi diplomai alle magistrali e mi iscrissi a sociologia”» (Sabelli Fioretti) • I giornali parlano per la prima volta di lui nel marzo 1970. Al liceo scientifico di Primavalle è in corso il Consiglio dei professori, e alcuni studenti chiedono di poter assistere. «Tra essi vi era anche il Morucci, che è risultato non appartenere all’istituto. Quando il preside lo ha invitato ad allontanarsi il giovane ha protestato vivacemente. Il direttore dell’istituto ha chiamato la polizia, ma il Morucci ha resistito agli agenti ed ha infranto una vetrata. A questo punto, è stato arrestato e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli. È accusato di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento» (Corriere della Sera, 14/3/1970) • Quelli di Potere Operaio gli danno il compito di coordinare il servizio d’ordine. Arrivano le prime molotov. «Compito del servizio d’ordine era organizzarsi militarmente. “Organizzare gruppi per andare a colpire degli obiettivi, compagnie aeree, uffici, ambasciate”. Non era uno strumento di difesa come si diceva. “All’inizio. Se la polizia attaccava gli tiravamo le molotov. Però, dato che ne avevamo prese troppe, cominciammo a tirarle prima . Poi cominciarono le rapine. Poi, dopo le bombe sul treno degli operai di Reggio Calabria creammo una struttura di ‘lavoro illegale’. Me ne occupai io. Cercavo armi, esplosivo, appartamenti clandestini, documenti falsi”» (Sabelli Fioretti). Valerio ha 24 anni quando il treno su cui viaggia viene fermato dalla polizia svizzera al confine di Chiasso. Lui e un suo compagno, Libero Maesano, di un anno più giovane, hanno nascosto nella toilette un mitragliatore di fabbricazione elvetica smontato, quattro caricatori completi e numerose munizioni per pistole e fucili di vario calibro. Vengono arrestati.
«La tua prima pistola? “Una Mauser 6,35, vecchia come il cucco. Poi una Bernardelli 22, a tamburo, cromata col calcio bianco. Roba da checche di New Orleans”.
Come “lavoro illegale” che cosa avete fatto? “La prima gambizzazione d’Italia. Quando ancora le Br usavano la pece, noi sparammo alle gambe di un caporeparto fascista della Fatme di Roma. Fu Germano Maccari”.
Come sei arrivato alla lotta armata? “Passo, passo. Facemmo dei gruppi armati per intervenire nel sociale. Come quando, per sostenere il non pagamento delle bollette, mettemmo una bomba alla Sip”.
Entraste vestiti da poliziotti. “Un po’ di shampoo secco sui capelli, un cappotto blu, il borsalino, gli occhiali. Ero un po’ giovane come commissario ma i metronotte ci sono cascati”» (Sabelli Fioretti) • Alle Br ci arriva perché in Potere Operaio si litiga continuamente. Volano le sedie. Una scissione dietro l’altra. Così, dopo l’ennesima spaccatura, Morucci si dice: «Con le Br non sono d’accordo, ma la lotta armata noi non riusciamo a farla. E allora tanto vale farla con loro, per lo meno si fa qualche cosa invece di litigare dalla mattina alla sera». Ora Morucci ha dei nuovi compagni: Alberto Franceschini, Mario Moretti, Prospero Gallinari, Germano Maccari, Bruno Seghetti, Franco Bonisoli. Si mette assieme a Adriana Faranda, anche se lei è sposata un dirigente di Potere Operaio, Luigi Rosati, da cui ha avuto una figlia, Alexandra, chiamata così in onore della rivoluzionaria russa Aleksandra Michajlovna Kollontaj. Proprio per non turbare questa bambina, quando dormono assieme, Adriana obbliga Valerio a uscire la mattina presto di casa. «“E io suonavo il campanello come fossi arrivato in quel momento”. Più borghesi non si può. “Che c’entra? È un problema di salvaguardia della serenità dei bambini. Una cosa che hanno fatto migliaia di persone”» (Sabelli Fioretti) • In effetti, in Diario di un terrorista da giovane, Morucci descrive se stesso come un rivoluzionario continuamente tentato dai piaceri della vita borghese. Ma non importa: ora, con le Br, si comincia a fare sul serio. È Valerio, in via Fani, il combattente che apre il fuoco con la sua mitraglietta Skorpion da sinistra sulla Fiat 130 Berlina su cui viaggia l’onorevole Moro • «Il 29 marzo, durante uno dei periodici appuntamenti per le strade di Roma, fissati ogni due o tre giorni, Moretti ci consegnò la prima lettera per Nicola Rana, che ne conteneva anche una per Eleonora Moro. Da quel momento Adriana Faranda e io diventammo postini quasi a tempo pieno. Bisognava nascondere la busta in un luogo vicino all’abitazione o allo studio dell’intermediario che la doveva prelevare. Poi bisognava telefonargli, dare l’indicazione esatta. Con la certezza che il telefono era sotto controllo. Le comunicazioni dovevano essere brevi. Al massimo due o tre minuti» (a Scialoja) • «La comunicazione: “L’esecutivo ha deciso, bisogna ucciderlo’, mi venne fatta da Moretti il 4 maggio, durante uno dei nostri abituali incontri per la strada». Morucci e la Faranda reagiscono duramente: non sono d’accordo. «Moretti ci convocò nell’appartamento di via Chiabrera, nel quartiere San Paolo, dove fino a qualche settimana prima avevo abitato con Adriana. Guardandoci uno per uno ci disse: “Bisogna chiudere la storia, bisogna ucciderlo’. Faranda ed io insistemmo ancora, almeno per ottenere un rinvio: facendo notare, appunto, che l’indomani ci sarebbe stata la riunione a Piazza del Gesù. Chiedemmo di aspettare ancora un giorno o due. Moretti fu contrario e con lui gli altri. Poi Moretti pose il problema di chi avrebbe sparato: “Chi lo fa?’. Rimanemmo tutti zitti, gli occhi bassi sul tavolo. Un silenzio abissale per quasi un minuto. Poi, con la sua solita espressione, alzando le sopracciglia e abbassando le palpebre, Moretti disse piano: “Va bene, lo faccio io”» (a Scialoja) • Morucci ha il compito di chiamare il professor Francesco Tritto, assistente e amico dello statista, per avvisarli della decisione. La telefonata avviene da una cabina telefonica della stazione Termini. «Deve comunicare alla famiglia che troveranno il corpo dell’on. Aldo Moro in via Caetani…» (ascolta qui l’audio completo della conversazione). «Si mise a piangere. Fu un tormento. Riuscii a controllarmi a stento» • «Con Moro scattò una specie di sindrome di Stoccolma al contrario. Ci sconcertò: Moretti pensava di processarlo, di sottoporlo a stringenti interrogatori, ma si trovò davanti a un uomo che dava risposte complesse, articolate. I nostri schemi non erano adeguati a capire lo Stato borghese che lui ci descriveva. Continuava ad agire in modo politico, ed era l’unico a farlo fino in fondo. I suoi amici negavano autenticità alle sue lettere mentre alcuni di noi, nel leggerle, ci trovavamo ad associarle a quelle dei condannati a morte della Resistenza. Fu una cosa sconvolgente. Sentii che ero finito senza accorgermene dall’altra parte. Dalla parte degli aguzzini. Il simbolo era diventato un uomo. Non puoi uccidere il nemico quando lo vedi in faccia. Per questo, prima, ho abbassato lo sguardo» (a Bellu).
Addii «La tua uscita dalle Br, con armi e soldi, ti aveva procurato difficoltà? “Mi volevano morto. In carcere ce l’aveva con me soprattutto Franceschini. Voleva portare la mia testa su un piatto d’argento alle Br per convincerli a fare di più per loro. Ma Moretti disse di no”» (Sabelli Fioretti).
Arresto Dopo l’uccisione del presidente della Dc Faranda e Morucci uscirono dalla colonna romana delle Br e fondarono il Movimento proletario di resistenza offensiva (Mpro), di brevissima vita. Il 29 maggio 1979 la polizia bussò alla porta un appartamento di viale Giulio Cesare, di proprietà di un’ex militante di Potere operaio, Giuliana Conforto. «Ha aperto una donna giovane e non ha avuto il tempo di aprire bocca. Pochi passi nel corridoio della casa, pochi secondi e quattro uomini coperti da giubbotti e caschi antiproiettile sono arrivati nella stanza. Adriana Faranda e Valerio Morucci erano a letto, sotto le coperte. Non hanno detto nulla, nemmeno un gesto di sorpresa. Alle 23.30, i due terroristi sono entrati in Questura, ammanettati e sotto scorta. Dietro di loro, cinque scatole di cartone e sette valigie piene di armi e documenti» (Antonio Masia e Andrea Purgatori, Corriere della Sera, 31/5/1979) • «Hai mai capito come è avvenuto il tuo arresto? “Una spiata. Mi servivano dei documenti falsi e mi rivolsi alla mala. Ma evidentemente qualcuno aveva rapporti con la polizia”» (Sabelli Fioretti).
Pentimento Morucci, assieme a altri 170 brigatisti, firmò un documento in cui annunciava l’intenzione di abbandonare la lotta armata il 19 gennaio 1985, nell’aula bunker del Foro Italico, durante il processo d’appello per il sequestro-omicidio Moro. «I pentiti, si dice, sono i voltagabbana della lotta armata. “Appiccicare categorie alla gente è pericoloso. Spesso i pentiti sono arrivati alla collaborazione dopo la tortura. Nelle bande armate vere, quelle sudamericane, non quelle alle vongole, all’italiana, l’unica cosa che si chiedeva a chi veniva preso era di resistere per 24 ore. Poi può parlare. Parlare sotto tortura non è tradire”.
Stai parlando di torture. “Ci sono stati dei processi. Ovviamente, essendo italiani, le torture non sono mai arrivate al livello sudamericano. Ma anche la tortura è relativa. In un Paese civilizzato in cui la violenza è contenuta possono bastare due schiaffi. È già tortura. Comunque anche qui si è arrivati alle sigarette spente sulla carne e a cose fatte sui genitali. In generale, dire che i pentiti sono dei voltagabbana è un’idiozia”» (Sabelli Fioretti).
Nuova vita Dopo la fine della pena, nel 1994, Morucci vive a Roma. Si è sposato e ha avuto un figlio. Fa il consulente informatico e lo scrittore. Tra i suoi ultimi libri: una spy-story, Klagenfurt 3021 (Fahrenheit 451, 2005), il giallo Il caso e l’inganno. Le indagini del commissario Amidi (Bevivino 2006), A guerra finita? (Bevivino, 2008), Patrie galere. Cronache dall’oltrelegge (Ponte alle Grazie, 2009).
Spia? Adriana Faranda, saputolo, rimase stupita: «Valerio collaborava con il Sisde? È una cosa che detta così mi lascia sgomenta. Forse gli avranno chiesto una consulenza». «Di più, da quel solo documento non è possibile ricavare: non possiamo ancora sapere se è stato un contributo unico o se faceva parte di una collaborazione continuata e organica. Nel caso si trattasse di collaborazione organica, non sappiamo quando la collaborazione potrebbe essere iniziata (nel 1990 o prima?), fino a quando è durata, su quali contenuti si è sviluppata e con quali forme di compenso (in denaro o in trattamento carcerario?)» (Gianni Barbacetto, Il Fatto, 23/9/2017).
Curiosità Ha collaborato con Theorema, rivista di sicurezza, geopolitica e intelligence • A un certo punto si disse che era stato lui a sparare al commissario Calabresi. «Leggende metropolitane. D’altra parte ce ne sono tante. Tra un po’ diranno che anche al Papa ho sparato io» • Gli è piaciuto Buongiorno, notte, il film di Bellocchio sul caso Moro, ma quando i protagonisti dicono: «E’ fatta. Se anche gli impiegati si ribellano è fatta» ha scosso la testa: «No, questo non mi sembra credibile: le Br non si occupavano dei contadini e quasi consideravano controrivoluzionari gli operai disoccupati. Figuriamoci se ce ne fregava qualcosa degli impiegati» • «Non posso rivendicare le conseguenze, perché sono state aberranti. L’intento con cui eravamo partiti era difendere la vita, non ammazzare la gente. Ma rivendico la spinta che ci ha portato a fare quello che abbiamo fatto» • Oggi si definisce un «democratico partecipativo fautore di un’autogestione locale». Dice di non provare né rimpianti né rimorsi.
Titoli di coda «Se Moretti avesse chiesto a te di uccidere Moro che cosa avresti fatto? “Non me lo avrebbe mai chiesto. Sapeva che ero contrario”.
Ma se lo avesse fatto?
 “Avrei detto no. La fedeltà al partito non poteva arrivare fino a quel punto”» (Sabelli Fioretti).