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 2021  luglio 23 Venerdì calendario

Biografia di José Altafini

José Altafini, nato a Piracicaba (Brasile) il 24 luglio 1938 (83 anni). Ex calciatore. Con la Nazionale brasiliana vinse i Mondiali del 1958. Col Milan vinse due scudetti (1959, 1962) e una Coppa dei Campioni (1963, la prima vinta da una squadra italiana, fu capocannoniere del torneo e segnò una doppietta pure in finale, 2-1 a Wembley contro il Benfica), con la Juventus due scudetti (1973, 1975), giocò anche nel Napoli. Sei presenze e cinque gol con la Nazionale italiana (Mondiali del 1962 compresi). Fu 11° nella classifica del Pallone d’Oro 1963 (16° nel 1964, 15° nel 1974). Fino al record di Francesco Totti, era il calciatore vivente ad aver segnato più gol in serie A (216). «La partita senza un gol è come l’amore senza un bacio».
Vita «È cresciuto nelle strade sterrate di Piracicaba, figlio di immigrati veneti, ha girato a piedi nudi fino a 14 anni, ha lavorato come garzone per un barbiere, per un macellaio, in una fabbrica di mobili e in una di bibite, in una lavanderia e in un’officina come aiuto meccanico mentre sognava di fare il calciatore. “Mio padre non voleva che giocassi, ma un giorno un proprietario di corriere che mi aveva visto nel Piracicaba venne a casa mia con un biglietto dell’autobus per San Paolo e mi portò a fare un provino al Palmeiras. Non fu semplice, c’era molto nonnismo, ma alla fine mi giocai la chance e coi primi soldi comprai una casa ai miei genitori. Mio padre cambiò idea”» (a Gabriella Mancini) • «“Bambino vivace che odia la scuola e ama il calcio, gioco a piedi nudi per strada con la pallina da tennis. Le prime scarpe le recupero in una pattumiera”. Quando una squadra vera? “C’è un provino al Palmeiras, mi sveglio alle 4 e ci vado in pullman. Mi prendono e ho il primo contratto”. Il 29 gennaio del 1965 esordisce tra i grandi. Segna, diventa per tutti “Mazola” per la somiglianza con Valentino Mazzola ed è il più giovane marcatore della storia del club. “Non è l’unico record. Col Noroeste segno 5 reti e poi una doppietta contro il Santos di Pelé; perdevamo 5-1, abbiamo rimontato fino al 6-5 ed è finita 7-6. Due tifosi sono morti d’infarto”. Pelé: parliamone. “Prima ti devo dire una cosa, Alessandro. È uscito da poco il film della sua vita e ci sono io. Mi interpretano come arrogante e classista, dicono che la mamma di Pelè faceva la cameriera a casa mia. Tutte balle”. Scendiamo in campo. “Partita contro l’Argentina, il nostro attacco è tutto paulista. Zero a Zero, cross da sinistra, stoppo. Carico il tiro e la palla finisce in rete. Poi capisco: era arrivato Pelé da dietro e mi aveva preceduto. Velocissimo”. Che tipo era? “Simpatico. Più giovane di età, ma più vecchio di testa”. Restiamo in nazionale. Mondiali del 1958. “Ventisette ore di viaggio con un aereo a quattro motori sgangherato e mille scali. Posti stretti, scarpe in mano e gambe gonfie”. I Mondiali però li vincete: lei segna una doppietta all’esordio e Pelé si fa conoscere nel mondo. “Soprattutto per l’età. Il vero fenomeno che ci fa trionfare è Garrincha, è lui che apre le difese con le finte”. E con una gamba più corta. “Non è vero. Aveva le gambe uguali ma storte nello stesso lato, come due parentesi chiuse: colpa della madre che da bambino l’aveva tenuto troppo in braccio”. Premio per il titolo mondiale? Diventate ricchi? “Un televisore a colori: nel senso che esternamente era colorato”. Buona questa. E basta? “Una bici, un orologio e un terreno nel Pantanal sul quale era impossibile edificare perché pieno di coccodrilli. Dopo un po’ leggo che ci spetta anche un frigo, allora mando mio zio a ritirarlo. Era una borsa frigo...”. Nel ’58 viene ceduto al Milan. “Ma prima viene a vedermi la Roma. L’osservatore è in tribuna, segno due volte e dopo ogni gol, per esultare, mi butto a terra. Quando lo chiamano dalla Capitale per chiedere come ho giocato, quel tizio risponde: ‘È bravo, ma epilettico’”. Incredibile. E la scartano? “No, mi comprano lo stesso per 130 milioni. Appena la notizia viene data al tg, però, il Milan si fa avanti e ne offre 135. E divento rossonero”. Esordisce a 20 anni e fa in tempo a giocare con Liedholm. “Lui ha 36 anni, l’avevo incontrato ai Mondiali. Bravissimo. Mi insegna a tirare di sinistro”. Nel derby segna 4 gol: altro re
cord che resiste. Nella stagione 61-62 diventa capocannoniere con 22 reti. Allenatore Nereo Rocco. “Amichevole a Lione, vinciamo 4-0 e a pochi minuti dalla fine lui urla: “Indrìo, indrìo”. Un po’ difensivista...”. […] Con il Milan, in sette stagioni, vince due scudetti e la Coppa Campioni del 1962-63 segnando una doppietta in finale a Wembley contro il Benfica. Perché quel sorriso? “Alessandro, ti devo spiegare una cosa. Sai perché amavo il contropiede? Perché mi ricordava quando, da ragazzo, andavo a rubare le arance: scappavo correndo il più veloce possibile per non farmi raggiungere dal proprietario. Come a Wembley”. Nel 1965 lascia il Milan e va a Napoli, dove rimane 7 anni formando una coppia formidabile con Sivori. “Facciamo un patto: Omar, tu sei il re della città e io sono contento, basta che mi fai fare due gol a partita”. Funziona. “Lui fa la differenza e tutti lo amano, anche se è altezzoso e non ha voglia di allenarsi. Ma sente le gare e prima di ogni partita vomita per la tensione. Come faceva Maldini al Milan”. L’allenatore è Pesaola. “Un giorno annuncia: ‘Oggi serata libera: chi rientra prima delle 3 di notte sarà multato’. Molto libertino...”. Lei segna 71 gol in 180 gare. Poi saluta e, nel 1972, va alla Juve. “Devo sostituire Bettega e per eccesso di zelo mi metto a dieta perdendo 8 kg: non ho più tono muscolare e non sto in piedi. Così finisco tra le riserve”» (ad Alessandro Dell’Orto) • A fine carriera spesso decisivo partendo dalla panchina. «Quando Carlo Parola allenava la Juve non poteva permettersi di sbagliare. Aveva a disposizione un solo cambio (oltre al portiere). E tre giocatori in panchina (come da regolamento). Una delle scelte più frequenti era José Altafini, arrivato alla Juve nel 1972, a 34 anni che all’epoca, nel calcio almeno, erano buoni per la pensione. Ma l’attaccante brasiliano (e oriundo) lo ripagava con gol spesso decisivi nel finale, compreso quello che all’88’ di Juve-Napoli, appena subentrato, indirizzò lo scudetto verso Torino, così guadagnandosi il titolo di “core ’ngrato” dai suoi ex tifosi. L’espressione “alla Altafini” entrò comunque nel gergo del calcio italiano per indicare un’entrata decisiva nel finale» (Fabio Licari) • Dopo il ritiro, per anni ha fatto il commentatore in tv (Telemontecarlo, Telepiù e poi Sky). «Sono arrivati in Sky dei personaggi che mi facevano la guerra per prendere il mio posto e io ho detto tanti saluti, amici. In Italia a volte viene premiata la raccomandazione e non la competenza. Mettono i giovani che urlano senza fantasia. Quando li sento abbasso il volume. Io ho inventato il manuale del calcio, il golasso...» (nel 2018) • Da ultimo testimonial di Italgreen, un’azienda che produce campi in erba sintetica • Vive ad Alessandria.
Soldi «“Io non ho la pensione da calciatore, non sono riuscito a farla. Ho versato solo tre anni di contributi. Quando ero andato a chiedere il riscatto mi avevano chiesto 70 milioni di lire di arretrati e ho detto ciao amici”. E quindi niente pensione? “Ho quella sociale: 700 euro al mese. Diciamo che sono tornato un po’ alle origini. Ma le scarpe ce le ho ancora, eh”. Uno pensa che il campione del mondo Altafini, dopo aver giocato con Milan, Napoli e Juve, e dopo i successi televisivi, non debba fare i conti con la fine del mese... “Quando un uomo vive senza mai pensare ai soldi, i soldi non li fa. E io ho vissuto così. Non ho mai cercato il denaro. Volevo solo divertirmi, in campo e fuori, senza tanti calcoli. Ho molti difetti ma non sono tirchio e nemmeno invidioso dei miliardari. Tra l’altro, non riesco a chiederli i soldi, non l’ho mai fatto. Anche adesso, faccio fatica a dire quanto voglio di cachet per partecipare a un evento. E così ho un cachet bassissimo”. Com’era lo stipendio da calciatore? “Quello più alto lo prendevo alla Juve. L’ultimo anno 67 milioni di lire lorde, 42% di tasse, una casa ne costava 100. In Brasile al Palmeiras erano 400 cruzeiros al mese, circa 100 euro”» (ad Andrea Pasqualetto).
Soprannomi Mazola, per la somiglianza con Valentino Mazzola (1919-1949). «Il Grande Torino venne a giocare in Brasile, nello spogliatoio del Palmeiras c’era il poster e io somigliavo a Valentino. Mento quadrato, attaccatura dei capelli rossicci, lo sguardo… quando Sandro mi vide per la prima volta mi confidò che gli batteva forte il cuore!» (a Gabriella Mancini) • «Ma era meglio Zezo, come mi chiamava mia mamma, così evitavo confusioni con Mazzola».
Religione «Sono cattolico ma credo anche nello spiritismo. In Brasile c’è questo sincretismo. Credo nello spirito guida e nei medium» • È convinto d’avere un santo protettore, con cui parla tutti i giorni e che spesso l’aiuta: «Un’immobiliare mi voleva come testimonial e poche ore prima di firmare il contratto il mio santo mi avverte a modo suo, mi fa cadere l’occhio su un articolo che gettava ombre su quell’immobiliare. Non ho firmato, ho rinunciato a molti soldi, una pazzia. Pochi giorni e quell’immobiliare è finita nei guai giudiziari, altro che pazzia. Un’altra volta eccomi su un aereo, va in picchiata per 1.700 metri, terrore, poi l’aereo riprende quota. Chi mi ha salvato? Lui, il mio spirito guida» (a Daniela Gabrielli).
Amori Grande scandalo negli anni Sessanta, quando si innamorò, e poi sposò nel maggio 1973, Annamaria Galli, moglie del calciatore e compagno di squadra Paolo Barison, con cui aveva tre figli. «Questa storia di Barison la devo raccontare bene una volta per tutte. Eravamo compagni di squadra e amici al Milan e poi al Napoli. Quando è scoccata la scintilla, i nostri matrimoni, che già traballavano all’epoca del Milan, erano praticamente finiti. Con Anna comunque siamo ancora insieme. Voglio dire, è stata una cosa seria, non un tradimento» (a Pasqualetto) • Ha due figlie avute da un primo matrimonio in Brasile e sei nipoti.
Vizi «Non fumo, non bevo, non ho brutti vizi. Prendo ogni tanto un Gratta e vinci, faccio una puntatina a Dieci e lotto».