27 luglio 2021
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Biografia di Riccardo Muti
Riccardo Muti, nato a Napoli il 28 luglio 1941 (80 anni). Direttore d’orchestra.
Titoli di testa «È una delle professioni più ambite. Uno fa così con la mano, gli altri suonano. Le stonazioni vengono demandate ad altri. Il pubblico non si rende conto se il direttore ha sbagliato. Il direttore non stona».
Vita «Ho avuto una madre straordinaria ma molto severa, un po’, come oggi si direbbe, all’antica. Noi siamo cinque fratelli maschi. Mia madre voleva assolutamente che venissimo su in maniera gagliarda, in maniera spartana, per cui il bacio della buona notte ce lo dava quando eravamo già a letto... dormienti! Trovava che il bacio, anche quando veniva dalla madre al figlio, fosse in un certo senso sminuente. Ci faceva dormire su materassi poggiati su tavole di legno» [Farina, CdS] • «Mi portarono all’età di due anni al teatro Petruzzelli di Bari e sembra che lì io abbia sentito per la prima volta La Traviata» • «Non sono stato né il bambino prodigio né colui che è nato con la bacchetta di direttore in mano. Lo so bene che adesso va di moda» • «Sono uno che all’età di sette anni, il giorno di San Nicola, al mattino ha trovato un astuccio di violino. E mi hanno dato un insegnante molto paziente che mi insegnava il violino e una bionda ragazza che mi insegnava il solfeggio. Sono i ricordi più incredibili della mia fanciullezza. Vedevo giù i miei compagni che giocavano a pallone, e io ero lì che facevo gemere questo orrendo strumento poooo... piiii... Questo in quanto a creazione del suono. In quanto a solfeggio non riuscivo a capire che il pentagramma è fatto di righi e di spazi e che le note sui righi sono mi, sol, si, re, fa e sugli spazi, fa, la, do, mi. Non riuscivo a capire questa cosa semplicissima, tant’è vero che ancora oggi io nutro dei sospetti sul mio livello d’intelligenza: è possibile che una cosa così semplice fosse a me così ostica? Non avevo capito l’ingranaggio, e quando veniva questa ragazza a farmi lezione, io buttavo a indovinare. Diceva: che nota è questa? E io: sol. No, diceva, è la. È re? No, è mi. E siamo andati avanti per 6 o 7 mesi. Mio padre, che era di cuore più dolce di mia madre, le disse un giorno “Basta!”. L’ho sentito, non ero presente ma l’ho sentito, ero nell’altra stanza. Ha aggiunto una frase in dialetto molfettese: “A vedere quel ragazzo che stava così mi veniva una cosa allo stomaco”. I miei occhi già sfavillavano di contentezza, quando mia madre rispose: “Proviamo ancora un mese”. Questa frase ha determinato tutta la mia vita. E dire che secondo mio padre avrei dovuto fare l’avvocato. Ogni tanto penso a che cosa sarebbe stata la mia vita, oggi... Avvocato, questo era scritto nella testa di mio padre. Invece, di colpo, e non voglio andare nel paranormale e nel trascendentale, però improvvisamente, ecco, et fiat lux. Una mattina mi sono svegliato e ho individuato che: il fa sta lì, e poi la do mi, mi sol si re. Con stupore, ho capito. L’ottavo mese ho capito e da lì ho fatto dei salti da gigante. A 8 anni ho tenuto il primo concerto come violinista nel seminario Pontificio di Molfetta di fronte a 300 seminaristi: ho suonato il concerto di Vivaldi col maestro che mi accompagnava al pianoforte» • Studi al Conservatorio San Pietro a Majella a Napoli e al Conservatorio di Milano • «Il primo grande maestro? Rota! Questo straordinario personaggio che tutti conoscete perché non solamente ha scritto tra le più straordinarie musiche da film per Fellini, Visconti, Coppola e altri grandi registi, ma ha una enorme produzione operistica, di musica da camera, di musica religiosa, di musica sinfonica. Sono andato a Bari in un giorno di luglio, gli esami sono cominciati la mattina e io ero rimasto fino alle due meno un quarto con altri due ragazzi. Si è aperta la porta ed è entrato questo omino. Ha detto: “Quanti sono rimasti?”. E pensare che Rota non era sempre presente agli esami, perché era spessissimo a Roma. Però quel giorno il destino ha voluto che fosse lì. Mi ha portato in una stanza. Avevo preparato la Polacca in sol diesis minore di Chopin. Rota mi ascoltò per dieci minuti. Si alzò, davanti a tutta la commissione, e mi disse: “Ti diamo 10 con lode. Non per come hai suonato oggi, ma per come potrai suonare domani”. Poi mi iscrissi al conservatorio, lui volle che mi iscrivessi al conservatorio di Bari. Dopo un anno a far la spola tra Molfetta e Bari l’anno successivo mio padre si trasferì a Napoli. Crescendo tutti noi, mia madre disse che era tempo di andare in una città più importante, cioè la sua città. Mia madre era napoletanissima. Sposando mio padre che era medico dovette trasferirsi a Molfetta. Passare da Napoli a Molfetta... insomma... Perché Napoli era ed è ancora una capitale, e Molfetta per quanto abbia dato i natali a Gaetano Salvemini...» • «A Napoli ho studiato pianoforte, ho finito il liceo in uno dei licei più severi di Napoli. È successo questo fatto molto strano: un giorno il direttore del conservatorio di Napoli mi ha chiamato nella direzione, io credevo di essere stato convocato perché, facendo il terzo liceo, quell’anno non frequentavo molto il conservatorio quindi ero già preparato a una lavata di testa. Invece a bruciapelo mi disse: “Hai mai pensato di dirigere?”. Veramente io non avevo mai pensato di dirigere. Lui mi dice: “Dal modo in cui tu suoni io credo che tu hai un concetto del pianoforte più sinfonico che prettamente pianistico. Prova”. E poi aggiunse: “Guarda: se non dovesse funzionare, non ti preoccupare. Perché per esempio Massenet, che era un grande musicista, aveva il terrore di stare di fronte all’orchestra”. Così mi insegnarono che – uno, due, tre, quattro – in quattro si batte così, in tre si batte così, in due così. Mi misero davanti all’orchestra. Dopo pochi secondi capii che quella era la mia strada» • Al Verdi di Milano a insegnarli l’arte della direzione è Antonino Votto: «Il punto da cui partire è la funzionalità del gesto, che dev’essere sempre un mezzo, e non un fine, come invece, purtroppo, oggi accade spesso. All’orchestra va trasmesso un messaggio che nella plasticità e nell’espressività gestuale comunichi l’idea interpretativa, di suono, fraseggio e timbro già spiegata e pretesa dal direttore durante le prove. Le braccia fungono da estensione della mente: così mi ha insegnato il mio maestro Antonino Votto, che aveva lavorato a lungo a fianco di Toscanini» (a Leonetta Bentivoglio) • Una volta «durante le prove Votto mi sorprese a dirigere con la mano destra mentre tenevo il braccio sinistro appoggiato alla balaustra della buca. Nel buio e nel silenzio si avvicinò, mi colpì con violenza il braccio e mi disse brusco, ma con sottile e implacabile ironia: “Cosa fai, il gagà?!”. Non l’ho mai più dimenticato» [Picciano, Foglio] • Iniziò la carriera nel 1968 al Maggio Musicale Fiorentino. Debutto come direttore ospite alla Scala nel 1970, a Salisburgo nel 1971: «Era il 1971 quando ricevetti l’invito di Karajan. Salisburgo era un traguardo ambito e impensabile per un giovane, anche se ero direttore al Maggio. Avevo timore reverenziale, l’orchestra era severa, tutti in giacca scura anche in prova, gli anziani erano stati diretti da Bruno Walter e Furtwängler. Vienna era una città molto diversa da oggi, si respirava un’aria post bellica, la gente vestiva dimessa come nell’Europa dell’Est, c’era la cortina di ferro. Fu un grande successo. Mi chiesero di incidere le Sinfonie di Schubert» [a Cappelli, CdS] • «Sono stati anni febbrili quelli del mio debutto sul podio. Erano gli anni della giovinezza. Dovevo pensare alla carriera, parola terribile. Carriera uguale vita, traguardi, stabilità economica, successo. Ho lavorato molto, ma sono stato anche aiutato dalla sorte, dal destino» [a Guido Vergani] • Dal 1979 al 1982 direttore musicale della London Philharmonic, poi a Philadelphia, dall’86 al 2005 al Teatro alla Scala, successore di Claudio Abbado • «Tra noi c’è stata sempre ammirazione reciproca. Hanno voluto montare una rivalità tipo Callas-Tebaldi o Coppi-Bartali: tutto falso. Quando sono andato al conservatorio di Milano, Abbado era già in carriera: abbiamo avuto rare occasioni di incontrarci, ma sempre cordiali» [a Cazzullo, CdS] • Fu costretto a dimettersi da una presa di posizione pressoché unanime dei maestri d’orchestra, stanchi della sua resistenza a ospitare altri grandi direttori e indignati per la pretesa che il sovrintendente Carlo Fontana fosse allontanato («o io o lui») • Nel 2010 ha pubblicato un’autobiografia, Prima la musica, poi le parole (Rizzoli). Così racconta la prima volta al teatro Petruzzelli di Bari: «Avevo tre anni, stavo in braccio al cocchiere e ascoltai l’Aida – mi dissero – senza piangere e senza dar fastidio». Nel 2012 il saggio Verdi, l’italiano. Ovvero, in musica, le nostre radici, a cura di Armando Torno (Rizzoli) • Il 3 febbraio 2011 ha un malore durante le prove di un concerto con la Chicago Simphony Orchestra, di cui è direttore musicale dal 2010. Spiega d’aver avuto un problema al cuore: «Invece d’essere un Allegro Maestoso diventa un Allegro Capriccioso. È soggetto a brachicardie: a causare lo svenimento è stato un improvviso ritmo troppo basso, e ora il pace-maker ha risolto il problema». Il successivo 7 aprile torna a dirigere sullo stesso podio l’Otello di Verdi in forma di concerto • Direttore onorario dell’Opera di Roma dal dicembre 2010. Nel marzo 2011, al momento del bis di Va’ pensiero dal Nabucco di Giuseppe Verdi, il pubblico si alza in piedi e tutta la sala si unisce nel canto ai coristi e all’orchestra: «È stata un’emozione mai provata in vita mia» • Sempre all’Opera ha diretto il Macbeth di Verdi, con la regia di Peter Stein. Nel novembre 2012 ha inaugurato il cartellone con il Simon Boccanegra di Verdi, in occasione del bicentenario della nascita del sommo compositore. Nell’agosto 2013 ha diretto l’orchestra dell’Opera nel Nabucco, al Festival di Salisburgo: «questa esecuzione è stata il culmine dell’anno verdiano sul piano internazionale» [Paolo Isotta] • A dicembre 2013, dirige l’Ernani tra le minacce di sciopero dei dipendenti del teatro dell’opera romano, contro l’ipotesi di tagli agli stipendi e al personale • «Nel 2014 dirige Manon Lescaut con Anna Jur’evna Netrebko a Roma, il Requiem di Verdi con Francesco Meli al Teatro Real e con Daniela Barcellona e Riccardo Zanellato al Ravenna Festival e al Festival Ljubljana e Simon Boccanegra e Nabucco con Sonia Ganassi al Tokyo Bunka Kaikan nella trasferta del Teatro dell’Opera. Il 10 dicembre dello stesso anno apre la stagione teatrale del Teatro Giordano di Foggia chiuso da 10 anni per restauri. Nel settembre 2014, a causa di divergenze con il Teatro, cancella tutti gli impegni già presi per la stagione successiva con l’Opera di Roma (avrebbe dovuto dirigere Aida per la prima della stagione 2014/2015 e poi Le Nozze di Figaro). Si interrompe così la collaborazione iniziata cinque anni prima, nell’agosto 2009, anche se Muti mantiene la sua carica di Direttore onorario a vita» [Wikipedia] • «È nel continuo rapporto con una bellezza inesauribile che sorge il desiderio di comunicarla ad altri, così che – racconta Muti – “ritenni quasi indispensabile (…) comunicare agli altri, in particolare ai ragazzi che uscivano dai conservatori, (…) la mia esperienza”. Nascono così l’Orchestra Cherubini [fondata nel 2004, ndc], che accoglie giovani strumentisti accompagnandoli nei primi passi della loro carriera, e l’Accademia dell’opera italiana [del 2015, ndc], dedicata a giovani direttori d’orchestra, maestri collaboratori e cantanti» [Picciano, Foglio] • «Ho proibito ai ragazzi della Cherubini di alzarsi quando entro. Ha un sapore militare ed io non sono un generale» • Nel 2018 inaugura la stagione operistica del Teatro San Carlo di Napoli con Così Fan Tutte. Alla regia c’è sua figlia, Chiara Muti. Nell’agosto dello stesso anno dirige il concerto Muti per l’Umbria 2016-2018 registrato in Piazza a San Benedetto a Norcia. L’evento è stato trasmesso da Raiuno il 24 agosto 2018, secondo anniversario del terremoto che colpì Amatrice, Norcia e Arquata del Tronto • Nel 2021 dirige nuovamente il concerto di Capodanno di Vienna, edizione svoltasi a porte chiuse in assenza di pubblico a causa dell’emergenza dovuta alla pandemia da Covid-19 • Ha passato il lockdown «a studiare. La Missa Solemnis di Beethoven. La mia prima partitura è del 1970. Ci lavoro da più di mezzo secolo, ma non ho mai osato dirigerla. Lo farò ad agosto a Salisburgo. È la Cappella Sistina della musica: la sola idea di accostarla mi ha sempre dato grande timore. Ci sono dettagli di importanza enorme. Al Miserere nobis Beethoven premette un “O”, che presuppone un interlocutore. Beethoven ha sentito che l’invocazione era rivolta a Qualcuno. Pare un dettaglio, ma apre un mondo. Significa che un Essere superiore esiste» [Cazzullo, CdS] • «L’11 maggio del 1946 ormai viene insegnato ai bambini delle primarie: Arturo Toscanini diresse il concerto di riapertura della Scala dopo la ricostruzione post-bellica. A settantacinque anni esatti di distanza, Riccardo Muti è salito sul podio, rivolto tanto all’orchestra dispiegata sulla pedana che ormai da un anno copre la platea quanto al pubblico che dai palchi si è goduto gesti e sguardi e ciuffo leggerissimamente incanutito, e ha eseguito un programma di rasserenante potenza: Meeresstille und glückliche Fahrt di Mendelssohn, e sembrava davvero di veleggiare in acque calme, la Sinfonia n. 4 di Schumann e la Sinfonia n. 2 di Brahms. Poche ore prima gli spettatori di Rai Cultura avevano assistito al concerto del giorno precedente, diretto da Riccardo Chailly, direttore musicale, e interpretato dall’Orchestra della Scala, che nei giorni precedenti alla riapertura si era parecchio, e diremmo giustamente, impuntata: questo è il nostro teatro, chiuso da mesi; lo riapriamo noi e non i Wiener. Dunque sì, c’era stata maretta nelle ore precedenti ai concerti, e siamo certi che non sia ancora finita. A dirla tutta, avremmo volentieri fatto a meno di assistere a qualcuno di quei momenti – fra quelli che sono andati in scena e quelli dietro le quinte nel fatidico 11 maggio – prima e soprattutto dopo lo strepitoso concerto di quella orchestra dal suono così limpido e arioso. Quando insomma Muti è rientrato nell’anticamera al termine del bis e ha trovato Chailly che lo aspettava per abbracciarlo e fargli complimenti evidentemente non graditi (“e prima e dopo?”, l’ha apostrofato irritatissimo, “sei sempre qui?”). Che bellezza, vedere signori così âgée e ancora così tonici, così perfettamente divi alla vecchia maniera. E anche capire perché Chailly, con il suo fare morbido, atto a smussare le fratture con i sindacati che si erano annunciate una settimana fa – “La musica è una missione, e il fatto di esibirsi proprio in questa data è una co-in-ci-den-za”, ha scandito Muti prima del bis con Strauss rivolgendosi non tanto al pubblico quanto agli orchestrali della Scala che da qualche parte dovevano pur essere e certamente stavano ascoltando – sia stato riconfermato alla guida della Scala fino al 2025» [Giacomotti, Foglio].
Tifo «Avevo un grande rispetto per Coppi, ma amavo molto il carattere e la cordialità di Bartali e mi piaceva anche il suo continuo polemizzare. Sono legato al ricordo di quel ciclismo epico, con le biciclette pesanti, i corridori che portavano a tracolla le gomme e che quando foravano dovevano arrangiarsi da soli a cambiare... La fatica, naturalmente, c’è anche nel ciclismo di oggi. Ma allora era qualcosa che si vedeva» • «Nella mia famiglia sono tutti juventini, compresa la filippina che lavora da noi da trent’anni. Io resto legato al Napoli».
Religione «Ho avuto una formazione cattolica. Ho ammirato molto papa Ratzinger, anche come magnifico musicista. Non credo nei santini di Gesù biondo. Dentro di noi c’è un’energia cosmica che ci sopravvive, perché è divina. Ricordo la morte di mia madre Gilda: ebbi netta la sensazione che il suo corpo diventasse pesante come marmo, mentre si liberava un flusso, l’energia vitale. Sento che l’universo è attraversato da raggi sonori che arrivano fino a noi; ed è la ragione per cui abbiamo la musica. I raggi sonori che hanno attraversato Mozart sono infiniti».
Amori Sposato con Cristina Mazzavillani, ha tre figli: Chiara, Francesco, Domenico. «Lo stipendio fisso del Maggio mi permise di sposarmi (...) L’abbiamo così amata questa città, che con mia moglie abbiamo deciso di far nascere lì tutti e tre i nostri figli. Li volevamo fiorentini» [a Giuseppina Manin, CdS] • «Il cane Cooper, un maltese. In campagna abbiamo colombe, conigli, galline, galli, e due asini sardi, Gaetano e Lampo: intelligentissimi. Si affezionano, ti guardano interrogativi con i loro occhi rosa... E noi diamo del cane e dell’asino come se fossero insulti» [a Cazzullo].
Titoli di coda: «Mi sono stancato della vita. Perché è un mondo in cui non mi riconosco più. E siccome non posso pretendere che il mondo si adatti a me, preferisco togliermi di mezzo. Come nel Falstaff: “Tutto declina”» [a Cazzullo, CdS].