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 2021  giugno 01 Martedì calendario

Biografia di Giovanni Angelo Becciu

Giovanni Angelo Becciu, nato a Pattada (Sassari) il 2 giugno 1948 (73 anni). Cardinale della Chiesa cattolica (creato il 28 giugno 2018 da papa Francesco); non elettore (dal 24 settembre 2020). Già prefetto della Congregazione delle cause dei santi (2018-2020), delegato speciale presso il Sovrano Militare Ordine di Malta (2017-2020), sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato della Santa Sede (2011-2018), arcivescovo titolare di Roselle (2001-2018). Già nunzio apostolico a Cuba (2009-2011), in Angola e a São Tomé e Príncipe (2001-2009). «Mio fratello? Io lo definisco scherzosamente un prete glocal: pensa internazionale, vive nel locale» (Mario Becciu). «Custos sanctitatis charitas» (“Custode della santità la carità”: il motto sul suo stemma cardinalizio) • «Maggiore di 5 figli, proviene da una famiglia di condizioni modeste, ma profondamente cristiana» (Miuccio Farina). «Antonio Maria Becciu ha combattuto la Seconda guerra mondiale e nel 1947 si è sposato con Antonina Curzu, con cui ha avuto cinque figli maschi. […] Ha sempre badato alla sua famiglia con non pochi sacrifici per far crescere i figli e provvedere alla loro sistemazione. Dapprima allevatore, nel 1962 è emigrato in Germania, dove è rimasto per venti lunghi anni a lavorare per la casa automobilistica Volkswagen. […] “Nostro padre ci ha insegnato a vivere nell’umiltà e nell’onestà e lontano dalla smania di ricchezza. Ha vissuto appieno la cristianità a iniziare dagli anni Ottanta, quando iniziò a frequentare i pellegrinaggi di Lourdes, e quelli qui in Sardegna, per la Madonna di Castro, che fino ai 94 anni ha affrontato a piedi”, ha detto l’arcivescovo» (Elena Corveddu). «Qual è il suo rapporto con la famiglia, in particolare con i suoi fratelli, ai quali sappiamo essere molto legato? “Si, è vero, siamo una famiglia unita. Ritengo che l’esperienza dell’emigrazione di nostro padre sin da quando eravamo piccoli, unitamente al valore dell’unità familiare trasmessoci dai nostri genitori, abbiano inciso sul legame tra noi cinque fratelli. Ritengo, inoltre, che il mio stare lontano a servire la Chiesa in varie parti del mondo abbia consolidato il legame unitario e il radicamento nelle origini familiari”. Cosa ricorda della sua infanzia nel piccolo paese del Logudoro? “Tanto. Dai colori delle campagne agli odori della natura, alle feste comunitarie attorno a semplici eventi di vita, alla vita dura dei pastori e degli agricoltori, ai cambiamenti del paese nel dopoguerra, al fenomeno dell’emigrazione che spopolava la nostra comunità, alla centralità della chiesa nella vita della comunità. All’educazione progressiva alla fede in casa e con bravi sacerdoti, al cammino di formazione a scuola con maestri e compagni di classe, ai giochi in strada, alla solidarietà tra le famiglie nei momenti di gioia e di dolore”» (Gianni Bazzoni). «Da bambino non ero un ingessato: ero un ragazzo normale, mi piaceva divertirmi, essere allegro, mi piaceva essere amico di tutti, non ero certamente portato a fare del male agli altri. Un difetto grosso, però, l’avevo: non mi piaceva studiare, mi piacevano solo il latino e la musica. Con il tempo imparai il gusto dell’apprendere» (a Patrizia Canu). «Ricordo che un giorno tornai a casa tutto trionfante con una penna. Mia madre mi riportò all’asilo tenendomi per un orecchio: “Dì a chi l’hai presa e rendigliela”» (a Stefano Lorenzetto). «Ci parli della vocazione: come è nata? “Sin da piccolo sentivo che il mio cammino di vita sarebbe stato quello sacerdotale. In ciò hanno influito senz’altro i sacerdoti della mia infanzia, zio Toeddu, uno zio materno riconosciuto come uomo di grande fede, e le diverse esperienze infantili e adolescenziali, che mi portarono progressivamente a vivere l’esperienza del seminario minore sin dagli 11 anni. L’incoraggiamento dei miei, seppur non sia stato facile per una famiglia povera dover sostenere gli studi di uno dei cinque figli lontano da casa, e la grazia di Dio hanno fatto il resto”» (Bazzoni). «Raccontano di una vocazione sentita molto precocemente. È vero che manifestava questo suo desiderio anche nei giochi da bambino? […] “Il ricordo della mia famiglia è bellissimo. Poveri ma felici, respiravamo tanto amore in casa! Non avevamo granché, ma ci sembrava di avere tutto. Vi era l’amore, vi era la fede, ci sentivamo uniti. In tale ambiente è nato il mio desiderio di diventare prete. È vero, mi esercitavo fin da bambino a farlo, talvolta preso in giro da qualche mio cugino più smaliziato!”. […] Giovanni Angelo Becciu giocava già alle elementari a fare il prete: metteva su un altarino, diceva Messa così per gioco. In tanti a quel tempo entravano in seminario, in tanti alla fine ne uscivano, dopo avere capito che non era quella la loro strada. Lui, no: lui aveva trovato solo conferme. […] A parlarci di lui è Tonino [uno dei suoi quattro fratelli – ndr], impegnato nella Caritas diocesana. Tonino Becciu ha pudore di sentimento. Parla di quel fratello tanto amato dalla madre: “Quando arrivava lui, preparava il pranzo della festa”, dice ridendo: “maccaroneddus, le origliette, le cellette col miele, sas seadas”. […] “Nostro padre sognava che suo figlio avesse una parrocchia, con una vigna accanto. Lo vedevamo una volta l’anno: per mantenere la famiglia era dovuto emigrare, vent’anni fuori, operaio della Volkswagen. È rientrato nell’82. È morto poco dopo aver compiuto 100 anni”» (Canu). Il 27 marzo 1972, nella chiesa parrocchiale di Santa Sabina a Pattada, l’ordinazione sacerdotale, da parte del vescovo di Ozieri Francesco Cogoni. «Dal ’72 all’80 è stato vicerettore del seminario di Ozieri, svolgendo anche le mansioni di direttore del centro vocazionale diocesano e di membro del consiglio presbiteriale» (M. Farina). «Conservo sempre nella memoria i primi anni di vita sacerdotale con tanta gratitudine, e anche con una certa nostalgia. Ho vissuto nella mia diocesi di Ozieri per sette anni come vicerettore del seminario minore, ma appena libero prendevo gusto ad andare nelle parrocchie a fare pastorale a stretto contatto con la gente». «“Quando sono stato ordinato sacerdote – ha detto – […] non pensavo minimamente a entrare nel servizio diplomatico della Santa Sede, che consideravo qualcosa di alieno e di remoto per noi sacerdoti diocesani della Sardegna. Un giorno il mio vescovo, monsignor Giovanni Pisanu, mi chiamò e mi disse che mi volevano a Roma nella Pontificia accademia ecclesiastica”. La segnalazione era partita dalla Pontificia facoltà teologica della Sardegna. “Non mi fu facile dire di sì: i miei familiari non erano affatto contenti che mi allontanassi da loro, e da buon sardo soffrivo ad abbandonare l’isola. Accettai fedele al proposito di spendere la mia vita laddove il Signore mi avesse voluto”» (Mario Girau). «Una volta […] sentii […] mia madre […] dire confidenzialmente a qualcuno che il suo più grande dolore è stato quello di vedermi partire lontano. La sua grande fede, però, l’ha sorretta sempre». «“Quando Angelino era stato chiamato, io studiavo a Roma”, ricorda un altro fratello, Mario, psicologo. “Ero andato a prenderlo per portarlo all’Accademia pontificia con una 127 rossa tutta sgangherata. Aveva iniziato a piovere, non si vedeva niente. Non funzionavano i tergicristalli, allora avevo legato due cordicelle: io tiravo da una parte, lui dall’altra. Siamo arrivati all’Accademia in quel modo. Ridiamo sempre, quando ricordiamo quel giorno. La gioia: questo è mio fratello. La gioia e la fede”» (Canu). Una volta conseguita la laurea in Diritto canonico presso la Pontificia accademia ecclesiastica di Roma, nel 1984 Becciu entrò a far parte del corpo diplomatico della Santa Sede. «Le nunziature apostoliche erano il suo mondo: prima la Repubblica Centrafricana (dove Jorge Mario Bergoglio andrà in un viaggio intenso e pericoloso a Banguì), la Nuova Zelanda, la Liberia, il Regno Unito, la Francia, gli Stati Uniti. Ma a segnarlo saranno soprattutto gli incarichi successivi, in Angola e poi a Cuba» (Marco Ansaldo). «Il suo alto profilo di uomo di Chiesa e diplomatico di valore, don Angelino lo dimostrò già negli anni trascorsi in Angola. Giunto nel gennaio 2002 in piena guerra civile, don Angelino si impegnò nell’organizzazione della visita del papa Benedetto XVI in Africa: nel marzo 2009 fu don Angelino a ricevere il pontefice a Luanda» (Barbara Mastino). «A luglio dello stesso anno il Papa lo invia, sempre come nunzio, a Cuba, dove si distingue per la sua capacità di mediazione. A lui viene attribuito gran parte del merito per la scarcerazione di diversi dissidenti da parte del regime. Con Raul Castro monsignor Becciu instaura un dialogo fatto di discrezione ma anche di fermezza, soprattutto per quanto riguarda la libertà religiosa o la possibilità per i missionari di entrare nel Paese» (Anthony Muroni). «Cuba attrae le genti perché trovi un grande calore umano nella gente, e poi per noi preti per l’esperienza di Chiesa che si vive. Un’esperienza di Chiesa che va all’essenziale dell’essere Chiesa. Quello che ho scoperto e quello che amavo ripetere ai vescovi era proprio questo: “Voi ci avete anticipato in quello che sarà la Chiesa in Europa”. La scristianizzazione a Cuba è iniziata da tempo, qui in Europa sta iniziando e progredendo. Qualcuno dice che addirittura non solo si vuole relegare la Chiesa nelle sacrestie, ma si vogliono eliminare i valori della Chiesa e i valori evangelici e giudicarli come non-cultura. Si vorrebbe tentare lo sradicamento totale di ciò che è il messaggio evangelico. Cuba forse ci ha preceduto in questo, ma l’essenza della Chiesa alla fine consiste nell’annuncio della Parola, vivere questa Parola ed essere segno della presenza di Dio tra gli uomini. Per cui ti lasciano senza chiese, scuole, istituzioni caritative. Ma i sacerdoti, i vescovi e i cristiani cubani non si sono scoraggiati, non si sono depressi e non sono rimasti passivi. Hanno riscoperto l’essenza del Vangelo, del vivere la parola di Dio in maniera più radicale, facendo della Chiesa una vera comunità tra credenti. È una cosa che ti tocca il cuore e ti converte» (a Cristiana Caricato). «Con i Paesi comunisti il diplomatico vaticano Becciu darò il meglio di sé, sfoderando un dialogo inatteso e sorprendente che porterà alle visite apostoliche di Benedetto XVI e di Francesco all’Avana, da Fidel Castro, con il quale ebbe ottimi rapporti. Il successo di quelle tappe papali, lo dimostrò nella preparazione, che il roccioso monsignore fece con enorme cura» (Ansaldo). «Alla nunziatura apostolica di Cuba […] rimane fino al 10 maggio 2011, quando il Santo Padre lo nomina sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato vaticana. Succede all’arcivescovo Fernando Filoni, nominato prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli» (Muroni). «Quella del sostituto è una nomina-chiave per ogni pontificato. Sul tavolo del “ministro degli Interni” passa infatti una mole enorme di documenti: si occupa della prima sezione della Segreteria di Stato, di ciò che riguarda il servizio al Papa, delle comunicazioni e delle relazioni tra i vari organismi vaticani. Sotto la sua competenza ricade la cura delle traduzioni ufficiali dei documenti pontifici e la corrispondenza; la cifratura dei dispacci da inviare ai nunzi, la cancelleria delle lettere papali, la risoluzione di problemi giuridici; la gestione del personale nella Curia e nelle nunziature (promozioni e avanzamenti), il protocollo e il cerimoniale per le visite dei capi di Stato; l’informazione e la gestione dei media vaticani, la gestione degli archivi, fino alla spedizione delle benedizioni del Pontefice. Tutto arriva sulla sua scrivania, dalla nomina di un nuovo usciere a quella di un nuovo nunzio apostolico. Il sostituto vede regolarmente il Papa, lo accompagna sempre nei viaggi in Italia e all’estero. Ne è, di fatto, il braccio operativo, e ne diventa spesso un consigliere ascoltato. Svolge il ruolo di cinghia di trasmissione della volontà papale, può velocizzare come rallentare qualsiasi pratica, assomma in sé i poteri che nel governo italiano sono del titolare del Viminale e del sottosegretario alla presidenza del Consiglio» (Andrea Tornielli). «Per otto anni il prelato sardo ha affiancato due papi, Benedetto e Francesco, divenendo testimone di momenti difficili come la rinuncia del Pontefice bavarese e […] i due Vatileaks. In particolare, il primo “era un mondo che crollava perché i rapporti personali e di lavoro che erano fondati sulla fiducia e sulla lealtà si erano improvvisamente sbriciolati, arrivando persino a sospettare gli uni degli altri. Furono giornate nere”, rammenta il cardinale. “Papa Francesco e papa Benedetto soffrirono assai di fronte a tale tradimento. Non vi erano e non vi sono motivazioni che possano giustificare un siffatto comportamento. Esso risponde solo a logiche di potere, è frutto di frustrazioni, di gelosie, di vendette, e per qualcuno anche di mire affaristiche”. “Purtroppo per alcuni che lavorano in Vaticano è venuto meno il senso di appartenenza, il senso della Chiesa, la capacità di saper soffrire nel silenzio (lo dico soprattutto ai preti!). Il giuramento ‘sub gravi’ ormai non vincola più, il segreto pontificio non dice ormai più niente. Pur di far valere il proprio punto di vista, pur di consumare la propria vendetta, si tradisce la propria coscienza”, sottolinea il porporato. […] Da sostituto della Segreteria di Stato […] aveva chiesto di studiare un modo perché tra le Sacre Mura venisse adottato un sistema di penalità pecuniaria in caso di violazioni del segreto d’ufficio. […] “Il timore, se scoperti, di pagare di tasca propria sarebbe un bel deterrente!”» (Salvatore Cernuzio). «Becciu […] era, soprattutto, l’uomo che conosceva i segreti di Vatileaks e dei “corvi”. Il Vaticano, all’inizio del caso della pubblicazione di carte segrete provenienti dall’ armadio di monsignor Georg Gänswein, il segretario personale di Joseph Ratzinger, trafugate dal maggiordomo, appariva disorientato. Non sapeva bene da che parte coprire la falla, visto che i documenti cominciavano a fuoriuscire da più fonti. Benedetto XVI e il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato braccio destro del Papa, misero così in campo Becciu. Con i suoi tentacoli sapienti, il piccolo monsignore sardo cominciò a individuare i punti di uscita, i responsabili della trama e i protagonisti coinvolti. Aveva una capacità ferina di andare sull’obiettivo. Ma, da grande maestro della diplomazia, sapeva come dire di essere arrivato a capire tutto, però senza ferire e urtare il suo interlocutore. Nelle e-mail che usava, ti rivelava di avere individuato i nomi dei corvi, i loro incarichi all’interno delle Mura Leonine, e persino il sesso. Sapeva perciò, e te lo scriveva chiaramente, se erano uomini oppure donne. Aveva capito ogni cosa, prima degli altri. E prima che il Tribunale vaticano avviasse i processi e le sentenze. Lo aveva aiutato, in questo, la sua lunga esperienza di diplomatico» (Ansaldo). «Papa Francesco […] gli affiderà nel 2017 anche l’incarico di delegato speciale presso il Sovrano Militare Ordine di Malta per risolvere la crisi dell’Ordine (segno evidente della fiducia nutrita verso di lui). Infine, nel maggio del 2018 arriva l’annuncio della porpora cardinalizia, la nomina a prefetto della Congregazione delle cause dei santi e dunque la cessazione da sostituto (rimarrà in carica fino al 29 giugno di quell’anno), iniziando il nuovo ministero il successivo 1° settembre» (Mimmo Muolo). «Si aspettava la nomina a cardinale? “Aspettarla, no. Non ero di certo in ansia. È vero, c’era qualche voce in giro su una possibile nomina, ma mi lasciava indifferente. Io pensavo a svolgere il mio servizio, come sempre. Quando il Papa me lo ha comunicato, ho avuto un momento di sorpresa e un sussulto. Ho accettato con serenità, ma anche con qualche tremore per questo ulteriore segno di benevolenza così importante”. […] Il Papa […] ne aveva parlato con lei? “A dire la verità, qualcosina me la aveva anticipata. Mi aveva detto: ‘Guarda che qualcosa succede domenica, ma lo devi tenere per te’. Non era stato molto esplicito. Io avevo intuito, ma la notizia mi è arrivata dalla finestra [cioè nel corso dell’Angelus domenicale – ndr]”. […] Qual è stato il suo primo pensiero dopo aver saputo che sarebbe diventato cardinale? “Ho pensato a una cosa che mi era successa tanto tempo fa. A una vecchietta che abitava accanto a casa, a Pattada. Quando da ragazzino partii per il seminario, mi fermò e mi disse: ‘Diventerai cardinale’. Non la presi sul serio: pensavo che al massimo avrei fatto il prete di parrocchia”» (Luca Rojch). «Quanto al ruolo di prefetto della Congregazione delle cause dei santi, […] l’alto prelato non nega che sia un dicastero “importante”, ma allo stesso tempo spiega che “finalmente” gli concederà anche “qualche week-end libero”, dopo una vita da sostituto al servizio della Santa Sede “quasi 24 ore su 24”. “Qualcuno – spiega – fa la battuta che si ha a che fare con i santi e non con i terrestri, quindi ci sarebbero meno problemi. Qualcuno, sempre come battuta, mi ha detto che il ruolo è il più importante della Chiesa. Nella battuta c’è un fondo di verità, perché alla fine ci chiediamo: ma la Chiesa per che cosa esiste? Non è tanto per creare un sistema di potere, per dominare: esiste per far fare l’esperienza dell’esistenza di Dio. È un campanello, molte volte silenzioso. È missione della Chiesa richiamare questa vocazione data a tutti gli uomini di diventare santi. Il mio compito sarà scoprire qua e là persone che hanno vissuto in maniera così coerente e coraggiosa il Vangelo”» (Paoletta Farina). A interrompere la brillante carriera ecclesiastica di Becciu, il 24 settembre 2020, «un autentico fulmine a ciel sereno. Fuori, ma anche dentro le mura vaticane. Quando nelle redazioni arriva il comunicato della Sala stampa della Santa Sede c’è chi non crede ai propri occhi. “Oggi, giovedì 24 settembre, il Santo Padre ha accettato la rinuncia dalla carica di prefetto della Congregazione delle cause dei santi e dai diritti connessi al cardinalato, presentata da sua eminenza il cardinale Giovanni Angelo Becciu”. Tre righe secche, che però equivalgono a un’autentica bomba. Anche per la mancanza di motivazioni. […] Il tutto è comunque maturato nel corso di quella che l’agenzia Ansa definisce una “udienza choc”» (Muolo). «“Ho detto al Papa: ma perché mi fai questo? Davanti a tutto il mondo, poi?”. […] Un evento inaudito […] sta terremotando, ancora una volta, le fondamenta del Vaticano. “Resto cardinale, ma se c’è il conclave forse non posso entrare [il suo nome effettivamente non figura più tra quelli dei cardinali elettori indicati dalla Sala stampa della Santa Sede – ndr]. Nel nostro incontro il Santo Padre mi ha spiegato che avrei favorito i miei fratelli e le loro aziende con i soldi della Segreteria di Stato, ma io posso spiegare. Reati, di certo, non ce ne sono”. L’ex numero due del segretario di Stato Pietro Parolin è stato travolto da un nuovo filone dell’inchiesta partita […] dalla compravendita di un palazzo a Londra, nella centralissima Sloane Avenue, di proprietà della Segreteria di Stato. Acquisizione voluta proprio da Becciu, al tempo sostituto a Palazzo Apostolico, e dai suoi uomini di fiducia: secondo i promotori di giustizia e gli investigatori, l’affare avrebbe non solo causato un enorme sperpero di denaro proveniente dai fondi dell’Obolo di San Pietro, cioè i soldi della beneficenza raccolti dai papi, ma anche l’arricchimento indebito di finanzieri come Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi, indagati per vari reati insieme a monsignor Mauro Carlino, per anni segretario personale di Becciu, l’altro fedelissimo del cardinale, monsignor Alberto Perlasca, e alcuni funzionari laici della Segreteria di Stato. […] Gli uomini della gendarmeria avrebbero puntato non solo sul giallo dell’immobile londinese e sulle società offshore in cui ha investito il Vaticano per lustri, ma su nuove piste investigative. In particolare su somme ingenti che sarebbero partite dalla Segreteria di Stato e finite in alcune società offshore in Centro America. E denari finiti a una srl specializzata in porte e infissi e una cooperativa in Sardegna. Riconducibili, entrambe, a due fratelli del cardinale nato a Pattada, nel sassarese» (Emiliano Fittipaldi). «La cooperativa Spes, il cui responsabile legale è Tonino Becciu, produce pane per gli indigenti, e da tempo è finanziata dalla Caritas di Ozieri, […] con i fondi della Conferenza episcopale italiana provenienti dall’8 per mille. Secondo l’Espresso, ben 600 mila euro tra il 2013 e il 2015. Soldi arrivati, Becciu non lo nega, grazie alle sue esplicite richieste. “Confermo, anche perché è tutto rendicontato. Che male c’è?”. Non solo: secondo gli investigatori, altri 100 mila euro sarebbero arrivati alla Spes di Tonino direttamente dai fondi della Segreteria di Stato. “Errato: io da sostituto non ho mai dato i denari alla cooperativa di mio fratello, ma alla Caritas di Ozieri. […] Il vescovo di Sassari […] tra l’altro mi ha detto che quei soldi sono ancora in cassa in diocesi”, dice Becciu. Leggendo le carte dell’accusa, la questione, anche se potrebbe non avere profili penali, sembra mostrare evidenti questioni di opportunità. “Come sostituto avevo a disposizione un fondo con cui, senza dover rendere conto a nessuno, potevo aiutare vari enti e associazioni caritatevoli. Perché non dovrei dare una mano anche alle Caritas sarde come quella di Ozieri?”. Di sicuro Becciu ha favorito pure gli affari di un altro suo fratello, Francesco: secondo le analisi bancarie degli investigatori, la srl specializzata in porte e finestre di Francesco Becciu avrebbe ottenuto commesse da centinaia di migliaia di euro. Grazie ai buoni uffici del parente. Soldi arrivati dalle casseforti delle nunziature, e dunque dalla Segreteria di Stato, che ne finanzia le spese. Becciu conferma: “Vero: il nunzio in Egitto conosceva mio fratello, e così lui ha fatto lavori per circa 140 mila euro per cambiare gli infissi della sede, ma anche qui francamente non vedo il reato”. Il conflitto d’interessi è però grande come una casa. Anche perché è lo stesso Becciu ad aver comprato gli infissi del fratello per ammodernare la nunziatura di Cuba, dove è stato di stanza dal 2009 al 2011: “Ma, scusi, non conoscevo nessun altro, era ovvio usassi la ditta di mio fratello. Poi i lavori non li ho nemmeno terminati io, ma il nunzio che mi è succeduto. Che è stato talmente contento del servizio che, quando è stato spedito nella nunziatura egiziana, lo ha richiamato”» (Fittipaldi). Inoltre «gli inquirenti contestano al cardinale un accordo per mettere lo stemma di Caritas Roma sopra le bottigliette di birra artigianale Pollicino prodotte dalla società Angel’s, di cui è amministratore il fratello Mario, in cambio di donazioni alla stessa Caritas del 5 per cento del fatturato, cosa che avrebbe consentito all’azienda notevoli benefici fiscali» (Ferruccio Pinotti). «Per il cardinale, a cui papa Francesco ha levato ogni diritto e la prefettura, lui non ha “rubato un euro. Non so se sono indagato, ma se mi mandano a processo mi difenderò”» (Fittipaldi). «“Sono fedele al Papa, non lo tradirò mai, anche se mi ha parlato di accuse di peculato dopo un’inchiesta della Guardia di finanza. Al momento non ho ricevuto alcuna comunicazione dal Tribunale vaticano, non temo di essere arrestato perché non ho fatto niente. […] Fino a qualche minuto prima – racconta il cardinale – pensavo che il Papa fosse mio amico, poi all’improvviso ha detto di non aver più fiducia in me e ne ho preso atto”. […] Dietro la decisione di papa Francesco di “licenziare” il porporato sardo ci sarebbero alcune rivelazioni del cardinale australiano George Pell, prefetto emerito della Segreteria per l’economia, che nel 2017 aveva dovuto lasciare l’incarico in Vaticano per difendersi in Australia dalle accuse di pedofilia. Pell, scagionato dall’Alta corte, da uomo libero ha riallacciato i contatti in Vaticano per dare informazioni utili sulle scoperte fatte quando era “ministro dell’Economia” della Santa Sede. Non è un caso che ieri mattina [all’indomani della deminutio di Becciu – ndr] il porporato abbia diffuso un comunicato in cui afferma: “Il Santo Padre venne eletto per pulire le finanze vaticane. Ha fatto un lungo lavoro e deve essere ringraziato per i recenti sviluppi”. Chiaro il riferimento del porporato al caso Becciu. Oltre al contributo del cardinale Pell, ci sarebbe stato anche un intervento di Libero Milone, l’ex revisore generale dei conti del Vaticano, anche lui allontanato nel 2017 dal suo incarico perché accusato di spiare la vita privata “dei superiori”, tra cui il cardinale Becciu» (Fabio Marchese Ragona). «Che qualcosa non andasse nella gestione Becciu, se n’era accorto tempo prima anche Francesco De Pasquale, ex direttore dell’Autorità d’informazione finanziaria con un lungo passato (32 anni) in Banca d’Italia. “Dei tre anni e quattro mesi all’Aif ricordo la fatica a interfacciarsi con la Segreteria di Stato. Avevo l’impressione che l’allora sostituto Angelo Becciu e anche il segretario per i rapporti con gli Stati Dominique Mamberti ostacolassero il nostro lavoro per la trasparenza. Quando capirono che la legge iniziale dava all’Aif ampi poteri di controllo anche su di loro, decisero di affidarla ad altre persone. Non eravamo affidabili per loro, nel senso che non eravamo disponibili a obbedire loro”, ha raccontato a Repubblica. De Pasquale ha significativamente aggiunto: “Mi domando come sia possibile che in Segreteria di Stato si siano affidati a faccendieri che fuori dal Vaticano non sarebbero mai stati presi in considerazione, per quale motivo non conoscessero la non buona reputazione di queste persone”. Ad aggravare la posizione di Becciu è intervenuta la vicenda della “super-consulente vaticana” Cecilia Marogna, 39 anni, alla quale Becciu ha fatto bonificare tramite monsignor Perlasca 500 mila euro per non meglio precisate “missioni diplomatiche” in Africa, al fine di evitare i rischi di attentati a nunziature e missioni. Soldi fluiti sui conti Unicredit di una società slovena la cui attività appare quanto meno opaca. Il Papa, stanco di queste situazioni, da tempo ha avviato una complessa riforma, già in corso, che le ultime vicende sembrano soltanto accelerare» (Pinotti). Ciononostante, il 1° aprile 2021, Giovedì Santo, «il Papa ha celebrato […] la Messa in Coena Domini nella cappella dell’appartamento privato del cardinale Angelo Becciu nel Palazzo del Sant’Uffizio. Ogni anno, il Giovedì Santo, il Papa è andato da Becciu a pranzo con dei sacerdoti romani. Quest’anno ha deciso in qualche modo di mantenere la tradizione celebrando Messa. Lo hanno riferito in via informale fonti vicine al cardinale. Francesco in questi mesi, dopo averne accolto le dimissioni, si è più volte sentito al telefono con Becciu. Già dai giorni infuocati delle dimissioni, da Santa Marta è trapelata la volontà di andare a fondo su alcune operazioni messe in campo dalla Segreteria di Stato quando Becciu era il numero due senza tuttavia rompere il rapporto con lui. La linea per il Papa rimane ancora oggi la medesima, anche perché sulle operazioni finanziare la magistratura vaticana deve lavorare e fare luce. Becciu sta conducendo una vita ritirata all’interno del suo appartamento. Incontra poche persone, preferisce non rilasciare dichiarazioni. La visita […] resta un attestato di amicizia importante da parte del Papa, e senz’altro un motivo di conforto per il porporato sardo» (Paolo Rodari). «Per monsignor Becciu inizia ora una seconda vita. […] L’abbraccio riconciliatore con papa Francesco, nella giornata dedicata dalla liturgia al sacerdozio e al servizio ministeriale, apre nuovi, forse inediti scenari. […] “La scelta di una giornata come il Giovedì Santo e del Triduo pasquale, culmine di tutto l’anno liturgico, non può essere casuale”, dichiara monsignor Corrado Melis, […] vescovo di Ozieri, […] “ma un segno che parla di un percorso meditato e poi fortemente voluto da papa Francesco”. Ulteriore conferma, se ce ne fosse bisogno, di quanto il Pontefice argentino sia legato da una profonda amicizia con il cardinale di Pattada e abbia fatto sempre il possibile per non chiudere il rapporto di reciproca stima» (Paolo Matta) • «Angelo Becciu ha fatto arrivare […] da parte dei suoi legali un atto di citazione nei confronti dell’Espresso, con la richiesta di risarcimento di dieci milioni di euro. […] I legali di Becciu affermano di voler procedere contro l’Espresso perché “una copia dell’Espresso era in mano al Santo Padre ed era la copia che costui aveva in mano al momento del ‘licenziamento’”. […] Se il cardinale possiede il curriculum così puntigliosamente riportato nel documento dei suoi legali e un’immagine specchiata, per quale motivo papa Francesco ha deciso di credere a un’inchiesta giornalistica e non a lui? Inoltre, era stato lo stesso cardinale Becciu a fornire una versione completamente diversa dei fatti. In pubblico, durante la conferenza stampa di venerdì 25 settembre, dopo il licenziamento. “Il Papa mi ha detto di aver avuto la segnalazione dei magistrati che avrei commesso peculato. Dalle carte, dalle indagini fatte dalla Guardia di finanza italiana emerge che io abbia commesso il reato di peculato”, disse in quell’occasione. […] C’è da aggiungere, in conclusione, che i legali del cardinale Becciu quantificano l’entità del risarcimento alludendo alla cosiddetta chance, la “effettiva occasione di conseguire un determinato bene”: ovvero “la circostanza che il cardinale, sulla base del proprio prestigioso curriculum e in virtù del citato percorso, ben avrebbe potuto risultare tra i Papabili”. Così il cardinale svela la sua ambizione. E l’Espresso viene accusato di condizionare non solo il Papa in carica, ma anche lo Spirito Santo, che avrebbe potuto scegliere Becciu come suo successore, se non fosse intervenuto un articolo a bloccarne l’ascesa. Il soglio di Pietro, per la prima volta, viene valutato: dieci milioni di euro» (Marco Damilano) • «Qual è il suo legame con la sua terra d’origine? Ogni quanto riesce a tornare in Sardegna?Sardu fio e sardu so. Nei miei trent’anni di peregrinare per il mondo non ho mai mancato di tenere attivi i ponti con la Chiesa diocesana, con la famiglia e con gli amici. Sono solito trascorrere le mie vacanze in Sardegna, ove sono sempre approdato, mi trovassi in Africa, nell’Oceania, negli Stati Uniti, in Europa o nel Caribe. Il richiamo della terra natia per noi isolani è insopprimibile e fa bene al cuore rituffarsi nell’humus sociale e cristiano delle nostre genti”» (Muroni). «La gente racconta della sua semplicità e disponibilità, di messe celebrate in spiaggia. […] “Che prete sarei se non mi mescolassi con la gente, se non condividessi le gioie e le loro sofferenze, se non mi sentissi uno di loro? Un sacerdote non è un burocrate: è il padre, l’amico di tutti. In questo mi sono stati maestri alcuni bravi sacerdoti che ho conosciuto nella mia fanciullezza e giovinezza”» (Canu). «Appena ha un momento libero […] si fionda in Sardegna. Ogni occasione è buona per tornare a Pattada, dove vivono i fratelli, per presiedere feste patronali e gioiose rimpatriate con i compagni di seminario. […] Oppure per dare praticamente il “nihil obstat” – in attesa del via libera ufficiale della Santa Sede e dei vescovi sardi – alla celebrazione della Messa in lingua sarda: il 28 aprile scorso [2018 – ndr] ha presieduto la liturgia in limba in occasione di “Sa die de sa Sardigna”» (Girau). «Un evento culturale carico di significati. Il primo è politico. La Chiesa sarda partecipa compatta alle celebrazioni di “Sa die de sa Sardigna”, vera e propria festa nazionale istituita […] dalla Regione a statuto speciale. Ricorda l’insurrezione del 28 aprile 1794 contro i piemontesi. […] C’è poi un interesse linguistico in questa storia. Lasciando da parte l’ignoranza di chi ha definito il sardo una forma vernacolare, stiamo parlando di una lingua vera e complessa, con storia, struttura, grammatica e vocabolari. […] È stato proprio papa Francesco, convinto che le lingue madri siano lo strumento più efficace per comunicare la fede subito dopo l’elezione, a incoraggiare i vescovi sardi sulla strada della Messa in sardo. […] C’è infine una nemesi storica. Per secoli i sardi, come tutti gli altri popoli, hanno borbottato in latino senza capire il senso di quei suoni e assimilandoli a parole note benché insensate. […] A queste antiche incomprensioni si era posto fine con la Messa in italiano. Ma a maggior ragione colpisce come un’organizzazione autoritaria come la Chiesa sia più svelta dello Stato a servirsi della lingua con cui i sardi riescono a pensare cose intraducibili in italiano. E a dare ai suoi clienti la libertà di scegliere se pregare “Dio padre onnipotente” o “Deus Babbu nostru totu poderosu”» (Giorgio Meletti) • «Da sempre gran comunicatore (ha pure un account Twitter)» (Cernuzio). «Toccò a lei smentire con un tweet la notizia che […] papa Francesco […] fosse affetto da un tumore al cervello: “Che è ’sta gazzarra sulla sua salute?”. Non le sembra un linguaggio poco consono a un sostituto? “A essere sincero, volevo usare un’espressione romanesca più colorita, ma poi ho preferito cambiarla”. Strano: lei trova il tempo di trastullarsi con Twitter, mentre io, che ho molte meno responsabilità, non lo frequento. “Amo i mezzi di comunicazione. Bazzicavo anche Facebook: mi ha consentito di confessare”. Confessa su Facebook? “Capiamoci: mi ha permesso d’intavolare dialoghi spirituali, che poi potevano portare alla confessione sacramentale data di persona. È accaduto”. Ho notato che su Twitter lei segue, con L’Osservatore Romano e Avvenire, anche Tuttosport e La Gazzetta dello Sport. “Mi parla di un altro tipo di fede”. Posso sapere per chi tifa? “Ahia! Si ricordi che provengo dal Regno sabaudo di Sardegna”. Quindi Cagliari e… “Juventus”» (Lorenzetto) • «Qual è stato e qual è il suo rapporto con la politica e i politici? “Di grande rispetto, di stima e di … debita distanza! Il ruolo pastorale e spirituale che ricopro mi guida a giudicare la vita politica come uno dei momenti più alti del servizio di carità alla gente. In questi anni ho incontrato e continuo a incontrare tanti politici con i quali cerco d’intervenire per incoraggiarli a servire sempre più le comunità, soprattutto i più bisognosi. Non nego di avere uno sguardo particolare per i politici della nostra terra affinché si uniscano nel risolvere i problemi endemici della regione, indipendentemente dal colore politico e dalle diverse visioni e appartenenze politiche”» (Bazzoni). «In un’èra che sembra sempre più post ideologica, qual è il ruolo dei cattolici in politica? “Non do giudizi sulla situazione politica. Non mi spetta, ma da cristiano devo riconoscere che i cattolici in politica sono un po’ scomparsi. E lo dico non in un modo nostalgico. Ci sono cattolici che a titolo personale portano avanti il messaggio cristiano e lo fanno con impegno. Ma resta una posizione individuale, manca un contributo organico dei cattolici alla politica. Non dico questo perché qualcuno possa andare alla ricerca di poltrone o potere personale, ma perché i valori del cattolicesimo costituiscono un contributo importante al progresso della società e al miglioramento dell’impegno in politica. Mi rifaccio al concetto che ispirava Paolo VI: ‘La politica è la più alta forma di carità’, perché è un servizio al Paese e ai cittadini. Si deve essere convinti che la cultura cattolica sia un capitale di ideali. E che la dottrina della Chiesa debba essere messa a disposizione di tutto il Paese. Il mio non è uno sguardo rivolto al passato, ma è la ricerca di un sentimento di solidarietà e di condivisione di un messaggio, che è quello cristiano. Un valore da trasmettere al Paese”. La spaventa il fatto che slogan come “prima gli italiani” o in generale una certa intolleranza nei confronti dei migranti e degli emarginati prenda sempre più piede? […] “I cristiani oggi devono sapere che vanno controcorrente, perché la mentalità che si diffonde nella maggioranza è di rinchiudersi nei propri confini. Ma noi dobbiamo costruire ponti e non muri, come dice bene il Papa. Bisogna tenere insieme il dovere dell’ospitalità e l’esigenza dell’integrazione. A chi viene soccorso deve essere garantita una accoglienza vera. Se c’è qualcuno che bussa alla tua porta, è impossibile non accoglierlo. Ciò non esime dall’attuare politiche per regolare i flussi e aiutare i Paesi da cui questi migranti arrivano. Noi, proprio in quanto cristiani, dobbiamo esprimere il nostro senso di accoglienza e di fraternità e garantire la dignità di ogni persona”» (Rojch). «Sovranismo e nazionalismo non sono parole che ci piacciono: ci ricordano un passato triste, ove le guerre venivano adottate come la soluzione più immediata ed efficace per risolvere le controversie tra Stati. […] Il diffuso malessere antieuropeo deve far riflettere i responsabili. In questo malessere possiamo inserirci anche noi cattolici, perché, dopo che sono state negate, facendo violenza alla storia, le radici giudaico-cristiane dell’Europa, vi sono persistenti tentativi a livello legislativo nelle istituzioni europee che intendono sradicare qualsiasi norma che faccia riferimento ai valori cristiani» • «Aspirante papa, già numero due alla Segreteria di Stato vaticana, diplomatico di fine intelligenza, è diventato il “cardinale italiano” per antonomasia negli ultimi anni, capace di suscitare sentimenti divisivi fuori e dentro le Mura Leonine. A gennaio 2019, per dire, in pieno scontro sui migranti delle navi Sea Watch e Sea Eye, dal cardinale Becciu andarono l’allora ministro dell’Interno Salvini con Giancarlo Giorgetti, che era sottosegretario a Palazzo Chigi» (Elena Davolio). «Il più fine, informato e attento diplomatico all’interno della Santa Sede. Un uomo piccolo di statura, ma di altissimo quoziente intellettuale, come del resto molti di quelli che lavorano in Vaticano. Menti finissime. Becciu, in più, sapeva vedere lontano, possedeva antenne speciali ed era dotato di agganci formidabili, a cui aggiungeva le notizie riservate che gli arrivavano copiose dalla Gendarmeria pontificia. Un uomo santo e sardo, dunque roccioso, però capace di ascoltare, di comprendere e di perdonare» (Ansaldo) • «Becciu rinuncia alle prerogative da cardinale, a ogni incarico nella curia romana, al diritto di entrare nel futuro conclave. Perché? La ferita più profonda in Bergoglio non dev’essere provocata dal presunto malaffare, l’ipotizzato accaparramento familistico attribuito al porporato, il saccheggio celato e maleodorante del quale lo si accusa. Nemmeno dalla delusione psicologica per un uomo forse più narrato che ritenuto vicino. […] L’onta devastante, che pregiudica il rapporto, è la menzogna, il nascondimento. Il fatto che un cardinale menta al Papa, persino nella teologia di un pontefice assai radicato nell’indulgenza, nella misericordia del perdono, è insuperabile. Quando un cardinale mutila la verità di aspetti sostanziali, ne leviga l’essenza per quella che Joseph Ratzinger indica come “l’ambizione umana al potere”, l’abbraccio fraterno diventa irricevibile. È quindi questa la chiave d’accesso più logica per interpretare quanto avvenuto, sino al clamoroso ridimensionamento di Becciu, esposto ora sì alla giustizia degli uomini, avendo privato il Papa della fiducia. La formazione del convincimento in Bergoglio è stata lenta, solitaria. Ma deve aver unito i punti. Ogni volta che sceglieva un uomo decisivo per portare avanti la riforma della curia, corridoio indispensabile per rilanciare la Chiesa nel mondo, ecco che questi veniva impallinato da scandali, accuse che poi puntualmente si rivelavano inconsistenti. Ed erano tutti nemici di Becciu. Così lo scontro con George Pell, il cardinale australiano che stava svuotando i cassetti dei segreti e maneggi finanziari, scelto all’esordio del pontificato e messo in mora da un’inchiesta per pedofilia che si è vaporizzata definitivamente a processo. Pell è innocente, furibondo, convinto che dietro le accuse si sia celata una manovra curiale per screditarlo e anestetizzare la riforma del Papa. E in effetti così è stato. Con l’addio al Vaticano di Pell, tornato in Australia a difendersi, la segreteria per l’Economia che presiedeva è rimasta un monolite incompiuto. Creata proprio per bilanciare quella di Stato dove Becciu era eminenza grigia, priva di Pell, è stata di fatto via via rallentata nella crescita e svuotata nelle responsabilità. Sulle accuse a Pell ora corrono addirittura voci di bonifici che dal Sud Italia sarebbero partiti alla volta del lontano continente: si vedrà se sono pettegolezzi, balle o verità. Di certo non è un caso isolato. Così lo scontro con Libero Milone, professionista serio, fondatore di Deloitte Italia dalla reputazione univoca. Era stato scelto da Francesco come primo revisore generale, super-controllore di appalti e transazioni. Bergoglio lo incontrò nella sala d’aspetto di Santa Marta: “Vada avanti, non tema nessuno, non si fermi mai”. Quando Milone ebbe l’ardire di scartabellare la contabilità dei forzieri, i conti dei porporati, a iniziare da quelli di Becciu, percepì che qualcuno lavorava per creare distanza tra lui e il Pontefice, che prima incontrava tutte le settimane. Il freddo divenne presto gelo. Fu messo alla porta con la perfida minaccia “o si dimette o l’arrestiamo”, facendo riferimento a una presunta indagine contro di lui. Peccato che di questa indagine non si sia mai saputo nulla. Nemmeno se sia esistita davvero. La clamorosa defenestrazione conclude una partita cruciale nella storia della Chiesa, avviata da Benedetto XVI […] quando percepì che la mondanità rapace era soverchiante, destabilizzante, capace di far brillare le colonne della Basilica. Quindi la meditazione, la rinuncia al pontificato, la messa in mora dell’italianità curiale, l’arrivo di Bergoglio, […] la battaglia a bassa intensità del gesuita argentino per il controllo della Curia, con la falcidia inesorabile, silente, di chi con le mani sul Vangelo godeva di fiducia mal riposta» (Gianluigi Nuzzi). «Improvvisamente, una mattina, quel pastore che per 36 anni ha servito tre papi diventa un reietto: Francesco lo invita a dimettersi. Che cosa è successo? Nel classico gioco di fumo e specchi degli intrighi vaticani, riemerge la gestione delle finanze della Santa Sede. […] Becciu non è indagato, e a usare la logica (materia rara) ci sono cose che consigliano prudenza nel trarre conclusioni e battere strade piene di buche. […] Sei cardinale, un uomo del conclave, sei una delle figure più influenti del Vaticano con relazioni internazionali di altissimo livello, sei l’uomo di fiducia del Papa (che non a caso chiamò Becciu a seguire i dossier più delicati, da Vatileaks alla crisi dell’Ordine di Malta), hai le carte in regola per aspirare un domani all’elezione al soglio pontificio e butti tutto per il mattone, quattro soldi e i nepotismi? La storia francamente non sta in piedi. Becciu ha reagito da sardo, non si è chiuso in un silenzio che sarebbe suonato come un’ammissione di colpevolezza, ma ha respinto ogni accusa e ribadito la sua fedeltà al Papa. Non poteva fare altro che questo, per il buon nome della sua famiglia e della sua terra. Significativa è la reazione dei vescovi sardi di “vicinanza” a Becciu e in “comunione” con il Papa. […] La reazione del Papa è comprensibile sul piano umano, Bergoglio è un uomo come tutti e più di tutti ha il peso della storia sulle sue spalle, porta la croce della Chiesa su un cammino impervio, in un momento di crisi e ricerca di un nuovo inizio. […] Quella di Francesco è una sfida immane. Becciu ne porta(va) il peso insieme a lui, lo aiuta(va) in questa prova titanica, traduceva in azione temporale ciò che è necessario per la missione spirituale. Per questo il Papa si è sentito tradito e ha agito con quella fretta che – anche per lui – è nemica della perfezione» (Mario Sechi). «Poiché fu Pier Paolo Pasolini a dire che “la Chiesa non può che essere reazionaria, non può che accettare le regole autoritarie e formali della convivenza”, non c’è timore d’essere equivocati quando si parla di Francesco, Pontefice regnante, come di un vero e perfetto Papa re. Non tanto nell’accezione del sovrano assoluto detentore del potere temporale prima su un terzo d’Italia e poi sul Lazio e infine su qualche ettaro di Roma, bensì nell’espressione di un potere totale, autocratico, che non necessita di spiegazioni o giustificazioni. Sviati da anni di melassa mediatica che ha costruito il santino di Francesco riducendolo a un sorta di peluche consolatorio per i momenti d’afflizione, non si è colto in tutta la sua importanza lo spirito militare del gesuita argentino. […] Anni di cuori commossi per i cordiali “buonasera” e i “buon pranzo” a chiosa degli Angelus e/o Regina Coeli domenicali hanno messo nell’ombra lo stile di governo di Jorge Mario Bergoglio, ottocentesco più che moderno o postmoderno come si suol dire oggi. […] Chiedere, per averne conferma, al cardinale Giovanni Angelo Becciu, fino al 24 settembre scorso potentissimo prefetto curiale, […] strettissimo collaboratore di Francesco al punto da poterlo ospitare ogni anno a pranzo nella propria dimora, e di colpo estromesso da tutto al termine di un’udienza burrascosa su cui tanto è stato detto e ricamato. Privato, addirittura, dei “diritti connessi al cardinalato”, qualunque cosa questo voglia dire. […] Perché Becciu è stato licenziato e privato dei diritti legati alla porpora che lo stesso Francesco gli aveva conferito? Quale gravissimo delitto ha commesso il cardinal prefetto per essere vittima di una tale furia da parte del vescovo di Roma, suo diretto e incontestabile superiore? Non si sa. Si fanno ipotesi. […] Nella sintesi mediatica, rapida per necessità, è già passato il messaggio che Becciu deve averla combinata grossa, visto che è stato condannato senza tener conto della presunzione d’innocenza che ogni sistema democratico garantisce all’imputato. Intanto è alla gogna, colpevole perché qualcosa deve aver pur fatto. Poi si vedrà, il tempo emetterà il suo verdetto e se necessario il consueto trafiletto a pagina tredici del giornale sarà doveroso e dunque garantito. Il problema è proprio questo, che la Chiesa cattolica non è una democrazia. Non lo è mai stata e non può esserlo per sua stessa natura. Qui c’è il grande paradosso dei tempi che viviamo, il grande equivoco che sta debilitando non solo il pontificato di Francesco e la spinta riformatrice che s’era dato e che era stata pretesa dai cardinali riuniti nelle congregazioni generali del pre-Conclave, ma anche la credibilità strutturale della Chiesa stessa. Si è voluto cioè farla sembrare una democrazia, un consesso di pari, tutti dotati di diritto di parola e – più o meno – di eguali poteri. Una specie di Onu, benché Francesco fin dall’inizio del suo ministero abbia detto, ridetto e ribadito che la Chiesa “non è una ong”. Ha assunto, nella percezione collettiva, la forma di un enorme parlamento mondiale dove ciascuno può mettere in dubbio l’autorità. […] Parlare chiaro e dire quel che si pensa è meglio di una coltellata sotto al tavolo, ha sempre detto Francesco. Che però, poi, i cardinali che gli avevano inviato i loro dubbi su certe decisioni sinodali, non li ha neanche mai voluti ricevere, quasi si trattasse di lesa maestà. Contraddizioni, potrebbe dire qualcuno. Più semplicemente, l’esercizio assoluto del potere monarchico proprio del Papa, mai come ora – per restare in tempi recenti – così palese. […] Dopotutto, perché la rivoluzione sia irreversibile e non si possa tornare indietro è necessario anche questo processo “depurativo”. Un Collegio cardinalizio sempre più fatto a immagine e somiglianza del Pontefice in carica per evitare tentazioni di ritorno all’ancien régime. […] In questo senso, è indubbio che il pontificato di Francesco, a prescindere dal successo delle riforme, dalla spinta alla nuova evangelizzazione e dalle possibili dolorose fratture con gli episcopati riottosi, segnerà un punto di svolta nella storia» (Matteo Matzuzzi) • «“La qualità di mio fratello? Vivere tutto in un’ottica di fede. È un prete che crede profondamente in Dio. Sembra scontato, ma non lo è”. Avrà anche un brutto carattere per qualcosa. “Altroché: si arrabbia da morire quando perde la Juventus”» (da un’intervista di Patrizia Canu a Mario Becciu) • «La vocazione dei cardinali è di essere fedeli totalmente al Papa ed essere disponibili a effondere il proprio sangue, ma proprio nella fedeltà, nell’amore alla Chiesa. E quindi dovremmo essere testimoni di comunione e di unità… e poi, direi, anche ricchi di fantasia nel sapere trovare le vie giuste per l’evangelizzazione. La scristianizzazione avanza soprattutto nel mondo occidentale: di qui il nostro umile contributo perché si trovino forme nuove e adeguate ai tempi per l’evangelizzazione. Sempre in comunione con il Santo Padre: con lui dobbiamo costruire le novità per la Chiesa».