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 2021  giugno 07 Lunedì calendario

Biografia di Stefano Patuanelli

Stefano Patuanelli, nato a Trieste l’8 giugno 1974 (47 anni). Ingegnere edile. Politico (Movimento 5 stelle). Ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali (dal 13 febbraio 2021). Già ministro dello Sviluppo economico (2019-2021). Senatore (dal 23 marzo 2018). Già capogruppo del Movimento 5 stelle in Senato (2018-2019). Già consigliere del Comune di Trieste (2011-2016). «Non condivido il continuo mettersi dalla parte della ragione senza considerare la ragione altrui» (a Luca Telese) • «“Sono nato e cresciuto a Trieste. Mia madre era casalinga. Mio padre era commercialista: è morto a 49 anni, quando io ne avevo 23. […] Il lutto ha cambiato la nostra vita. Avevamo una delle ville più belle della città, il benessere, quattro macchine in quattro, e in pochi giorni siamo passati alla sopravvivenza, appesi alla pensione minima di mia madre: 750.000 lire. […] Ricordo di aver venduto la mia macchina precipitosamente per pagare la liquidazione delle dipendenti. E poi abbiamo dovuto chiudere lo studio di papà. Non avevamo liquidità per far fronte a tutto”. E quando ne siete usciti? “Quando abbiamo venduto anche la casa. Dieci anni fa [cioè intorno al 2009 – ndr] ne ho ricomprata una, a otto metri di distanza da quella dove oggi vive mia madre. Tutto si è ricomposto, solo con il tempo”. Che bilancio fa di questo terremoto? “Ho capito, nell’unico modo in cui è possibile – cioè vivendolo sulla mia pelle –, che i soldi non servono davvero a niente nella vita. Del periodo in cui era vivo mio padre non mi mancano i suoi soldi. Mi manca mio padre”. Eravate molto diversi dal punto di vista politico. “Lui era di destra, votava Msi: prima vicino alla destra sociale, poi simpatizzante di Fini. Non ha visto come è andata a finire”. E lei? “Io da giovane, se non altro per contrapposizione familiare, sono diventato di sinistra. Il primo voto a Rifondazione”» (Telese). Al liceo scientifico Guglielmo Oberdan di Trieste «ero in ultima fila, e non ero proprio uno tranquillo, però studiavo tanto»: conseguito il diploma (con il voto di 54/60), s’iscrisse all’università. «Laurea in Ingegneria. “Ci sono arrivato tardi, per via di tutto. Ma ho finito con la media del 29,7, una delle più alte della storia universitaria triestina”. E poi? “Ho iniziato con un’opera pubblica e poi ho lavorato quasi esclusivamente in quel campo, per via di questo paradosso: solo se fai opere pubbliche hai il curriculum per poter concorrere nelle opere pubbliche”. […] Esperienza utile, oggi? “Preziosa: l’Italia si deve riattivare lì”» (Telese). «Sono iscritto all’Ordine degli ingegneri dal 2004, e da allora esercito la libera professione. […] La mia attività professionale è quella tipica dell’ingegneria edile, incentrata quindi sulla progettazione e la gestione dei processi edilizi, con particolare riferimento alle opere pubbliche. Mi sono occupato, sin dal 2004, di sicurezza nei cantieri temporanei e mobili, potendo verificare direttamente le enormi problematiche che ancora sussistono in questo ambito lavorativo. Le esperienze professionali maturate hanno contribuito a rafforzare in me la convinzione che sia necessaria una pianificazione che da un lato preveda la messa in sicurezza di ampie parti del territorio e dall’altra non ne consenta un ulteriore consumo. […] Sono stato consigliere e tesoriere dell’Ordine degli ingegneri della provincia di Trieste dal 2009 al 2011, quando, eletto come portavoce del M5s a Trieste, ho ritenuto corretto dimettermi, pur senza formale incompatibilità delle cariche». «Quando si avvicina al M5s? “Nel gennaio del 2005. Ancora non esistevano il blog di Beppe Grillo e i meet up”. E cosa accade? “Beppe fa a Trieste il suo spettacolo. Era quello con la parodia sul latte all’Omega 3: ‘Alla Parmalat ci mettono un pesce dentro’. Ah ah ah”. Lo spettacolo cosa fa scattare? “Mi ritrovo molto nel suo modo di fare politica facendoti pensare. Poi, tornando a casa…”. Cosa? “Rifletto sull’incredibile quantità di notizie che avevo appreso. E mi si accende la lampadina: c’erano cose che si potevano scoprire solo andando allo spettacolo di un comico. Lì mi scatta la molla”. Il meet up? “Sì, io apro il meet up a Trieste a metà 2005”. Il primo salto di qualità? “Ci vediamo a settembre in un bar in centro. Eravamo 150 iscritti al meet up: ci ritroviamo solo in sei”. Un fallimento. “Non era così. La considerazione che ho fatto quel giorno è che quello strumento ci dava la possibilità di partecipare anche se non potevamo impegnare la nostra fisicità”. E quando capisce che non è una cosa virtuale? “Il grande salto avviene fra il 2009 e il 2010. Organizziamo le liste, ci presentiamo. Alla riunione finale siamo arrivati tutti e 150!”. E i voti? “Prendemmo il 9%, per il nostro candidato sindaco. E il nostro obiettivo era il 3%!”. Lei diventa consigliere. “Insieme a Paolo Menis, che è ancora in Comune. Siamo diventati come due fratelli. Seguivamo tutti i consigli comunali. Li registravamo. Eravamo molto preparati. Delibere, pareri tecnici: abbiamo imparato così. Vigilando”. E Gianroberto Casaleggio? “Lo conosco nel 2012. L’avevo visto in alcune riunioni, ma il legame nasce quando mi chiede: ‘Mi dai una mano per presentare delle liste?’”» (Telese). «Momento storico? “Il Napolitano bis. L’incarico a Enrico Letta, la gente in piazza a Roma, clima da sommossa popolare”. E lei dov’era? “Sul camper di Beppe, dove raccoglievamo le firme. Da Udine puntiamo precipitosamente su Roma. C’è rabbia, clima febbricitante”. Ma Grillo non arriverà mai. “Oggi posso confermare quello che è stato scritto in alcuni retroscena. Lo chiama la Digos e gli dice: ‘C’è il rischio disordini’”. E lui? “Si consulta con Casaleggio e rinuncia. Non andare ad aizzare una folla, con il senno di poi, è stata la scelta giusta”. Aizzare? “Beh, conoscendo Beppe non avrebbe fatto un discorsino tenero. Sono diventato forza di governo anche con quella rinuncia”. Rivede Casaleggio. “Nel 2014 ci chiama tutti a Milano. Nei primi mesi sono rapporti politici. Poi nasce un sentimento di amicizia”» (Telese). «L’esperienza in Consiglio comunale, […] come la considera? “Formativa. E, per certi aspetti, frustrante. Mi sono accorto che basta – basterebbe – poco per attuare provvedimenti che vanno nell’interesse dei cittadini. Spesso invece polemiche di bassa levatura bloccano iniziative che andrebbero portate avanti nell’esclusivo interesse di tutti”» (Roberto Srelz). «Il cerchio magico pentastellato gli ha sconsigliato di tentare il bis in Comune nel 2016 per riservarsi la possibilità di usare il secondo mandato a Roma» (Diego D’Amelio). «Il suo debutto in Parlamento avviene nel marzo 2018, come senatore eletto nella circoscrizione Friuli-Venezia Giulia, e a giugno viene nominato capogruppo. La gestione del gruppo grillino a Palazzo Madama gli vale l’apprezzamento di compagni di partito e avversari, e lo scoppio della crisi del primo governo Conte lo proietta in un ruolo di protagonista delle trattative tra M5s e Pd» (Mauro Bazzucchi). «Quando Matteo Salvini fa cadere il governo con un mojito in mano, lui si spende da subito per trovare una sponda con il centrosinistra. In quella fase di passaggio emerge anche perché ci crede sin dall’inizio, quando ancora non era quella la strada considerata futuribile per il Movimento» (Matteo Pucciarelli). «Nelle ore in cui Salvini congedava Conte e cominciava a capire di avere perso tutto, Patuanelli, che era ancora per ricucire, zittiva il vicepremier, che “non fa altro che insultarci parlando di fantomatici accordi con il Pd”, ma in segreto coltivava la speranza di riprovarci, perché “la politica è dialettica”» (Carmelo Caruso). «Nei giorni della trattativa con il Pd Patuanelli si è ritagliato un ruolo di primo piano come mediatore. Proprio lui che era considerato il più filo-governativo ai tempi del sodalizio con la Lega. Lo stesso che, di fronte all’ipotesi del soccorso di Fratelli d’Italia per approvare il decreto sicurezza, rispose con un pragmatico: “Non ci vedrei nulla di strano”. […] Di solito sorridente e rassicurante anche nei giorni di tensione della trattativa, Patuanelli rappresenta l’area moderata dei 5 stelle. Cambiò registro solo nei giorni della rottura di Matteo Salvini, quando disse: “Siamo incazzati con chi ha tradito il Paese”. Nel dibattito al Senato sul calendario che doveva portare alla sfiducia al primo governo Conte, fu abile nel ribattere alla mossa a sorpresa del leader della Lega, che proponeva di votare il taglio dei parlamentari per poi andare subito al voto. “La proposta di Salvini – replicò Patuanelli in Aula – è possibile solo se non viene votata la sfiducia al governo. Quindi mi aspetto che ora venga ritirata la proposta leghista per la sfiducia”. Da quel pomeriggio le sue quotazioni hanno preso a salire. Fino alla nomina […] a ministro. […] Poteva diventare ministro già nel governo giallo-verde, ma la promozione è arrivata in quello giallo-rosso. Stefano Patuanelli, quando si parlava di rimpasto per il primo esecutivo di Giuseppe Conte dopo il voto delle Europee, doveva sostituire Danilo Toninelli alla guida del ministero delle Infrastrutture. Si sarebbe così replicata la staffetta dell’anno precedente, quando Patuanelli venne scelto come capogruppo al Senato per il Movimento 5 stelle proprio al posto del collega diventato ministro. La crisi d’agosto ha fatto saltare tutto, ma Patuanelli è riuscito comunque a fare il salto, approdando però al ministero dello Sviluppo economico. Tendendo così in casa M5s il dicastero lasciato da Luigi Di Maio (l’altro, il Lavoro, è andato alla pentastellata Nunzia Catalfo)» (Riccardo Ferrazza). «Stefano Patuanelli è il nuovo ministro dello Sviluppo economico del governo giallorosso, pur essendo stato accreditato alle Infrastrutture fino alla notte dell’ultima trattativa, quando il quadro si è composto portando ai Trasporti la dem Paola De Micheli, per la probabile volontà del Pd di non avere un grillino chiamato a dirimere i differenti punti di vista su Tav, autostrade e grandi opere» (D’Amelio). «Il primo atto da ministro è stato quello di far approvare un decreto che affida alle autorità statali il golden power nelle operazioni concernenti i rami strategici del settore tecnologico, ma è quello di sbrogliare le numerosissime crisi aziendali giacenti sui tavoli del ministero il compito più gravoso: al momento del suo insediamento erano circa 160» (Bazzucchi). «La sua posizione è quella di un rinnovato protagonismo del pubblico in economia, ma sempre mediando con le parti sociali e imprenditoriali. Il suo fare rassicurante fa sì che si pensi a lui come futuro possibile capo del Movimento, ma alla fine restano voci e suggestioni» (Pucciarelli). In particolare, nelle vesti di ministro dello Sviluppo economico, accennò più volte alla possibilità di costituire una «Iri 4.0». «Non è che siete passati dallo Stato imprenditore allo Stato rigattiere, che interviene solo per provare a salvare imprese già fatiscenti? “Assolutamente no. Ma oggi siamo nel mezzo di una rivoluzione digitale non meno di quella che fu l’industrializzazione dell’Italia negli anni Cinquanta. Per questo […] dovremo lanciare un grande piano industriale che abbia al centro l’innovazione tecnologica e l’intelligenza artificiale. Questo processo di transizione deve essere accompagnato dallo Stato anche attraverso una compartecipazione nelle aziende impegnate in questi settori. Se ad esempio entriamo in Ilva, come Stato, non è solo per evitare esuberi, ma è per sostenere un nuovo modo di produrre acciaio, compatibile con le attuali esigenze ecologiche, in uno degli stabilimenti più grandi d’Europa”» (Valerio Valentini). «Ha ipotizzato un ritorno dell’Iri: non sarebbe un’operazione di retroguardia? “Viviamo in un momento nel quale il sistema industriale italiano è stretto tra la voglia di conservazione e il desiderio del cambiamento: fare politiche di innovazione in un mondo conservativo è complicato, lo è al contempo conservare il know-how in un mondo in costante evoluzione. Per questo occorre trovare un equilibrio attraverso un soggetto pubblico, chiamiamola nuova Iri o come volete voi, capace di evitare choc al sistema produttivo e choc occupazionali”. Come? “Occorre una protezione del tessuto industriale del Paese, della filiera e dell’indotto di determinati settori. Non perché ci sia bisogno di nazionalizzare, ma perché le sfide che ci si pongono davanti, anche in termini ambientali, necessitano di un accompagnamento. Per le piccole e medie occorre mettere in campo una banca pubblica degli investimenti che garantisca un’erogazione del credito più efficace”» (Emanuele Buzzi). «Cassa depositi e prestiti è la nuova Iri? “Non guardiamo al futuro con gli strumenti del passato. L’Iri era una cosa, Cassa un’altra. Lo Stato non deve fare l’imprenditore, ma in alcuni casi – penso alle reti - non possiamo limitarci a essere arbitro, ma guida degli investimenti privati”» (Alessandro Barbera). «È il membro dell’esecutivo Conte due meno inviso a Forza Italia, soprattutto perché ha condotto l’operazione “salva Mediaset”, tutelando l’azienda di Berlusconi dalle mire espansionistiche della francese Vivendi» (Felice Florio). «Ministro Stefano Patuanelli, perché avete deciso di aiutare Mediaset nello scontro con Vivendi con una norma ad hoc? “Non siamo andati incontro a Mediaset. Quella norma è giusta e serve per colmare il vuoto normativo seguìto alla sentenza della Corte di giustizia Ue che ha stabilito che i limiti all’incrocio tra media e Tlc per un operatore non devono essere fissati rigidamente. È una normativa momentanea che dà all’Agcom, un’autorità indipendente, il potere di decidere sull’incrocio e sul pluralismo dell’informazione”. La prima beneficiaria è però Mediaset, che potrà trattare una pace con Vivendi da una posizione di forza. “È un effetto indiretto, ma non la ratio della norma. La norma è generale: in futuro potrà riguardare aziende diverse. Io contesto da sempre quando la politica fa norme ad aziendam, ma non è neanche corretto farle contra aziendam. Ad ogni modo, l’Agcom potrebbe dire che non ci sono problemi per Vivendi”. Si rincorrono voci di un negoziato con emissari del mondo berlusconiano, come Gianni Letta o Fedele Confalonieri. “Ho incontrato Confalonieri una sola volta per 20 minuti, Letta due volte in occasioni istituzionali, e non abbiamo discusso di questi temi. Non ho mai contrattato con Fininvest questa norma, né lo ha fatto la sottosegretaria Mirella Liuzzi, che ha la delega in materia”. […] L’abnorme concentrazione televisiva e pubblicitaria in mano a un imprenditore-politico ha creato non pochi problemi al pluralismo. Interverrete? “È prematuro dirlo, ma esiste un problema di concentrazione che va affrontato, non solo degli operatori tradizionali. Oggi i sistemi sono integrati, produzione di contenuti e rete su cui viaggiano sono spesso in mano agli stessi gruppi. Penso agli ‘over the top’: va regolato il modo in cui impatta sul mercato la forte concentrazione in mano a colossi come Amazon, Facebook o Google, che hanno il 75% del mercato pubblicitario. È un problema di pluralismo, anche dell’informazione”. […] Vivendi ha scritto una lettera di fuoco al governo, minacciando ricorsi. “Proteggere un’azienda italiana è giusto. Per me è un valore: lo vediamo quando in Francia ci vanno le aziende italiane. Vorrei vedere cosa succederebbe se un’azienda italiana si permettesse di scrivere al governo francese ciò che Vivendì ha scritto al governo italiano”» (Carlo Di Foggia). «Tanto Confindustria quanto le parti sociali hanno apprezzato il suo lavoro al Mise. […] Patuanelli e il suo staff hanno contribuito al testo del Recovery Plan e, prima che si aprisse la crisi di governo, era stato lo stesso Conte a fare il suo nome per coordinare la cabina di regia del Recovery. Inoltre, il dicastero di Patuanelli, in quest’anno di pandemia, è stato centrale nell’elaborazione delle misure atte ad affrontare l’emergenza economica: i decreti Cura Italia, Rilancio, Semplificazioni e Ristori uno, due, tre e quattro sono passati anche da via Veneto» (Florio). «Quando poi cade il governo di Giuseppe Conte e il Ter tramonta, all’inizio è contrario all’appoggio a Mario Draghi. L’incertezza però dura l’arco di un giorno. Alla fine vince la famosa responsabilità» (Pucciarelli). Il 13 febbraio 2021 Patuanelli ha giurato in qualità di ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali del governo Draghi. «Nelle vesti di ministro dello Sviluppo economico ha gestito dossier molto importanti, come quello di Alitalia, dell’ex Ilva e di Whirlpool, ma non si è mai occupato a questo livello di agricoltura. […] Al ministero dovrà affrontare diverse questioni rimaste aperte. Dagli interventi previsti dalla legge di bilancio per l’agroalimentare, che necessitano di decreti attuativi da parte del Mipaaf per un totale di circa 300 milioni di euro sullo stanziamento totale di oltre un miliardo, alla “rivoluzione verde” del Pnrr. […] Patuanelli si dovrà occupare anche del settore vitivinicolo con il protocollo unico nazionale di sostenibilità, e, in Parlamento, della legge sul biologico. Difficili saranno anche alcune partite europee, prima fra tutte il negoziato sulla nuova Pac 2023-2029 (la politica agroalimentare dell’Unione), alle battute finali e decisive con il Trilogo (Parlamento, Consiglio e Commissione)» (Sonia Ricci) • Sposato, tre figli. «Patuanelli si è trasferito a Roma […] dopo l’elezione a senatore. Ha condiviso un appartamento con un “un pezzo da novanta del Movimento – come racconta lui stesso –, Massimo Bugani”. Quando può, nel fine settimana, il ministro torna a Trieste dalla moglie e dai suoi tre figli. “Tra me e mia moglie c’è un tacito accordo, in base al quale nei weekend sceglie tutto lei, visto che io passo il resto della settimana a prendere decisioni”» (Florio) • Rapporto di grande amicizia con Luigi Di Maio. «“Siamo il gruppo dirigente che ha fatto questa traversata insieme, dal nulla al governo. Sono cose che ti cementano”. Un momento che rimpiange? “Nel 2017, era appena diventato capo politico, viene a Trieste. All’aeroporto mi fa: ‘Voglio vedere un amico: ce ne andiamo al bar?’”. E cosa c’è di particolare? “È stata l’ultima volta in cui abbiamo potuto permettercelo, un momento così, spensierato”» (Telese). Ciononostante, ha dichiarato: «Io, sul balcone di Palazzo Chigi, non ci sono salito e non ci salirei mai. Quello fu un errore, anche a livello comunicativo» • «Che cosa ama di più di Trieste? “Faccio un parallelo con quello che è il mio campo professionale: Trieste non ha nessun edificio che sia, in sé, straordinario o di pregio incommensurabile. Quello che rende Trieste unica è il suo tessuto, non i singoli elementi: le vie del centro, Miramare, la piazza, il mare, la sua luce, la sua posizione, le montagne e il Carso a ridosso – che crea un insieme urbanistico unico. Bello. E così è tutto il resto. Non riesco a individuare un elemento specifico per amare Trieste: è il tutto. È una città unica”» (Srelz) • «La sua passione più grande? “Sono una persona curiosa. Ho più passioni. Lo sport, la musica, amo fare il papà”» (Srelz) • «Amo lo sport in generale, e in particolare la pallacanestro e l’atletica. Ho giocato a basket fino a diciassette anni e poi ho iniziato ad allenare, dalle categorie giovanili fino alla Serie C maschile. A trent’anni ho iniziato a correre, partecipando a diverse competizioni di mezzofondo. Purtroppo gli impegni professionali e familiari e l’attivismo politico mi hanno costretto a tralasciare l’attività sportiva». «Del basket ha conosciuto le molteplici sfaccettature e i diversi aspetti, giocando in tutte le categorie giovanili nell’Inter 1904 prima di diventare giovane allenatore nelle minors regionali» (Lorenzo Gatto) • «Mi piace la musica e suono da autodidatta il pianoforte. Amo l’arte, prediligendo la pittura e, ovviamente, l’architettura». «Che musica preferisce? “Prevalentemente italiana, e un po’ di tutto: da J-Ax a Caparezza a Guccini, che è il mio preferito, passando per i Modà o Pupo. Tutto. Suono il pianoforte e la chitarra. Mi piace cantare”» (Srelz) • Grande tifoso della Pallacanestro Trieste. «Sono abbonato […] in primo anello. […] Vengo quando posso, vivo la partita in maniera sanguigna, devo sentirmi libero di esultare o arrabbiarmi a seconda delle situazioni. Il parterre non fa per me» • «È il più governativo dei Cinque stelle. Media, sopisce, ascolta» (Barbera). «Giuliano, faccia da bravo ragazzo, occhiali tondi di acciaio e barbetta. Il più pacato dei pentastellati in tv» (Telese). «Sconta un carisma mediatico al limite della anemia emotiva» (Ilario Lombardo) • «Patuanelli è una figura stimata anche all’interno del Pd, specialmente nell’area renziana» (Lorenzo Salvia). «Il Partito democratico ha stima di lui per il suo orientamento progressista e per la leale collaborazione stretta con i ministri Enzo Amendola e Roberto Gualtieri, triangolo di lavoro sul Recovery Plan. Inoltre, Patuanelli si è espresso a favore di un’alleanza strutturale tra M5s, Pd e Leu alle prossime elezioni, certificando le sue simpatie verso il centrosinistra. […] Al lavoro, come nella vita privata, Patuanelli è uno che corre dietro a tutto. Dicono che non si lasci sfuggire nessuna questione che attraversa le stanze del suo dicastero. […] Nel suo daffare al governo, più di altri ministri ha intessuto una rete di relazioni che lo accreditano agli occhi dei partner europei» (Florio). «Nei corridoi della politica spesso Stefano Patuanelli viene descritto così: “È un 5 stelle ma potrebbe pure essere del Pd”. Un complimento o meno, dipende dai punti di vista, ma le sue caratteristiche parlano per lui: mai torni urlati, sempre misurato, istituzionale nei modi, pronto ad ascoltare e a raggiungere un compromesso. […] Nel M5s, proprio in virtù del suo carattere, è ben considerato un po’ da tutte le componenti» (Pucciarelli) • «Sarà per via della geografia, dello spaesamento che sempre si prova alla frontiera, ma, se c’è una qualità che finora gli ha permesso di ricoprire prima la carica di capogruppo al Senato e poi quella di negoziatore, è proprio la sua doppia identità, quella che lo ha fatto essere il senatore “ma-ma” e l’attivista “o-o”. Quando infuriava la polemica sulla Tav, da uomo esperto in scienze delle costruzioni, Patuanelli si è costruito un ponte di doppiezza ed è rimasto in equilibrio nonostante il vuoto di indirizzo. Un po’ grillino, ma a volte anche un po’ leghista; un po’ No Tav e un po’ Sì Tav; un po’ al Senato, ma un po’ alla Camera, dove in realtà non ha un ruolo, ma dove tuttavia si muove da capogruppo supplente. Come l’acrobata che cammina sul filo, Patuanelli è in passato andato a Otto e mezzo per ripetere che “la Tav è un’opera inutile”, ma sul blog del M5s ha registrato un video per spiegare che “ha ragione Edoardo Rixi quando dice che la valutazione che va fatta è di natura politica”. Allora, la Tav va fatta? “Bisogna decidere se fare un treno merci figlio di analisi superate o più treni pendolari”. Quindi è contro la Tav? “Io spero che prevalga il buonsenso”. […] La verità è che la forza di Patuanelli, e la ragione della sua nuova egemonia, si riduce all’antico adagio “non dire nulla, ma dirlo superbamente”, che nel M5s è la vera e sola novità. Per questa sua competenza ha iniziato […] a imperversare sullo schermo e poi sui giornali, sempre offerto ai conduttori televisivi e ai giornalisti con la rassicurazione: “Vedrai che dirà cose di buon senso, anche se incomprensibili”. Tra i più fedeli uomini di Di Maio, […] Patuanelli è un uomo di ordine. […] Prima veniva spacciato come saggio, anche quando i suoi pensieri somigliavano a quelli del filosofo Catalano (“È meglio lavorare poco che lavorare molto”), mentre oggi saggio lo è diventato davvero» (Caruso) • «Il M5s è stato spesso etichettato come forza populista, e con accezione negativa: io nel populismo vedo invece qualcosa di buono se per “populismo” si intenda una politica che ascolta il popolo e attraverso di essa può prendere decisioni utili per la qualità della vita del popolo». «“Noi non abbiamo mai messo in discussione il nostro europeismo”. Proponevate il referendum per uscire dall’euro. “Un conto è la moneta unica, altra l’Unione europea. La cessione di sovranità monetaria doveva essere un primo passo verso una maggiore integrazione a livello di politica estera, fiscale e di gestione dei flussi migratori. E invece ci si è fermati all’euro. Le nostre critiche a certe politiche di Bruxelles dovranno essere più costruttive, d’accordo, ma non si può pretendere che il M5s si adegui a un europeismo di comodo, che non fa affatto bene agli interessi del Paese”» (Valentini) • «Ministro Patuanelli, Giuseppe Conte ha detto “chiamateci di sinistra o di destra. Siamo per l’inclusione, la giustizia sociale, ma guarderemo alle esigenze dell’elettorato moderato”. Si torna al Movimento delle origini: può allearsi con chiunque, sia a destra che a sinistra. Lei è d’accordo? “Nelle parole di Conte ho visto altro: un principio che non abbiamo mai abbandonato, la necessità di parlare dei temi, delle risposte che servono ai cittadini. Ma ha fatto bene a fare dei distinguo e a precisare che alcuni tipi di propaganda politica propri di questa destra sono incompatibili col Movimento”. Lei ha parlato più volte della necessità di stare nel centrosinistra. “Il Movimento ha avuto un’esperienza di governo molto importante e molto complessa, per la gestione della pandemia, e si è dimostrato una forza politica affidabile, pronta a sfidare la destra. L’importante è avere un progetto chiaro che definisca la nostra proposta politica. Oggi parlare delle pmi, delle difficoltà dei lavoratori autonomi è essenziale. Come continuare a parlare di transizione ecologica, diritti sociali, difesa dei più deboli. Proprio e anche al mondo delle imprese abbiamo dimostrato di essere affidabili, varando provvedimenti che ci chiedono oggi di confermare o potenziare”. […] Il fallimento delle intese nelle città al voto è la fine dell’alleanza giallorossa? “Non è la fine del rapporto con Pd e Leu, che però va declinato sui territori. Serve il giusto tempo di maturazione per limitare le differenze ed esaltare le cose che ci accomunano”. […] Sta accadendo il contrario. […] Meglio tornare al proporzionale e lasciar perdere l’intesa strategica? “Gestire la legge elettorale a partire dalle convenienze è sempre sbagliato. Noi abbiamo sempre parlato del proporzionale con le preferenze, e continuo a pensare sia il modello giusto”» (Annalisa Cuzzocrea). «Tenterete l’ingresso nel gruppo dei socialdemocratici in Europa? “Da troppo tempo non abbiamo una casa europea. Se guardo ai temi, credo consentano un avvicinamento a S&d”» (Cuzzocrea) • «Perché non volete pagare il debito con Rousseau? “Perché non esiste alcun debito, e mi secca anche un po’ pensare che io – dopo aver pagato ogni singolo euro – debba essere accusato di dovere qualcosa. Nel nostro regolamento si parla della necessità di sostenere una piattaforma tecnologica, senza dire quale”. […] Perché si è arrivati a questo livello di scontro? “Per una questione meramente politica. Casaleggio non ha condiviso il percorso di governo che il Movimento ha fatto in questi anni e vorrebbe interromperlo”» (Cuzzocrea). «C’è la certezza che da parte di Rousseau si sta costruendo un percorso parallelo al nostro, ma, se la volontà di Davide è quella di fare politica, semplicemente, lo dica. In questo momento mi sembra evidente che le nostre prospettive non coincidono, ma non è una questione personale, e l’intenzione del Movimento resta quella di chiarire e regolare questo rapporto» (a Federico Capurso) • «“Giuseppe Conte è il leader naturale del Movimento”. Stefano Patuanelli lo dice senza tradire dubbi. […] Il ministro delle Politiche agricole traccia il percorso che – secondo lui – dovrebbero compiere i 5 stelle: una rifondazione guidata dall’ex premier, “l’unico in grado di unirci”. La leadership di Conte è ineluttabile? “Lo dico non solo per quello che ha fatto in questi tre anni da presidente del Consiglio, ma seguendo un ragionamento che mette al centro il percorso del Movimento in questa legislatura. I 5 stelle sono passati da forza di opposizione a forza centrale su cui costruire tre governi. Questo passaggio non ha un ritorno. Conte ha il profilo giusto per una rifondazione, non per una manutenzione straordinaria”. Cosa intende per rifondazione? “Il Movimento è nato ufficialmente nel 2009, ma in realtà il progetto dei 5 stelle esisteva – grazie ai meet up – dal 2005. Sono passati 15 anni e abbiamo sempre guardato al futuro. Quindi, quello che c’era va rinnovato. Serve una fase costituente”. Lo dite da un anno e mezzo, avete anche fatto gli Stati generali. “Un anno e mezzo di pandemia, che ha inciso sulla quotidianità di ciascuno di noi. Abbiamo dovuto pensare all’emergenza”. Serve un capo politico o resiste l’idea dell’organo collegiale? “Mi sembrano elementi di dettaglio ininfluenti. Quel che conta è che Giuseppe sia centrale”» (Cuzzocrea) • «Credo che il limite di due mandati sia un limite fisiologico che una persona impegnata in politica deve avere per non perdere il contatto con la realtà. Sono assolutamente convinto che questo limite vada mantenuto» (a Roberto Srelz, nel marzo 2018). «Il vincolo non è mai stato nello Statuto: si inseriva di volta in volta nei regolamenti per le candidature. […] Se è vero che gli iscritti sono centrali, solo loro potranno dire se il limite va mantenuto, cancellato o modificato» (ad Annalisa Cuzzocrea, nel maggio 2021) • «Il vostro sottosegretario alle Infrastrutture ha rilanciato il Ponte sullo Stretto. Conte e Di Maio non hanno chiuso. “Quell’opera non ha senso. Le infrastrutture urgenti che chiede quel territorio sono altre”. Ha ragione Di Battista, avete tradito tutte le battaglie? “Non abbiamo tradito nessuna battaglia. Alcune le abbiamo vinte, altre perse, tutte combattute”. Spera torni sui suoi passi? “No, spero che insieme a noi faccia dei passi avanti”. La preoccupa il ControMovimento dei fuoriusciti? “Non credo interessi agli italiani, e certamente non mi preoccupa”» (Cuzzocrea) • «Dai primi giorni con Beppe Grillo al M5s di oggi, attraverso la visione di Casaleggio. Quali sono gli elementi che ricorda di più? “Di Beppe Grillo, fin dal nostro primo incontro nel 2006, mi colpì la fiducia che ha nelle persone. Noi non ci conoscevamo, parlammo assieme di Trieste e delle idee che avevo, e poi lui sul palco parlò esattamente delle cose che avevo detto io: fu una grandissima manifestazione di fiducia. Tra di noi, in senso ampio, nel senso di società e di cultura italiana, la fiducia è qualcosa che spesso manca, e questo peggiora il nostro Paese: non ci fidiamo mai degli altri. Beppe Grillo mi ha insegnato ad avere fiducia. E questa fiducia era la base anche del dialogo con Gianroberto, con cui avevo un rapporto molto più consolidato: ci sentivamo spesso. La scomparsa prematura di Gianroberto ha sicuramente contribuito a un cambiamento nel Movimento. Faccio spesso il paragone con i figli: crescono e cambiano, e seguendo il loro cambiamento devi cambiare i vestiti che indossano. Così il M5s. E anche le regole che noi cerchiamo di darci si adattano come un vestito a un’entità. Di Casaleggio condivido la visione: condivido il pensiero di un destino di grandi trasformazioni, che coinvolgerà – coinvolge – la politica, il modo in cui governeremo il territorio, il rapporto fra cittadino e governante e le nostre vite stesse”» (Srelz).