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 2021  giugno 08 Martedì calendario

Biografia di Antonio Percassi

Antonio Percassi, nato a Clusone (Bergamo) il 9 giugno 1953 (68 anni). Imprenditore. La sua Odissea Holding spazia dall’immobiliare alla cosmetica, dall’alimentare all’abbigliamento. Presidente dell’Atalanta dal giugno (carica già ricoperta dal 1990 al 1994), squadra con cui giocò in serie A nel 1972/1973.
Vita «Non solo è bergamasco, quindi schivo e addirittura scontroso, ma si porta sulle forti spalle l’aggravante di essere nato a Clusone, in Valseriana, aspra come il carattere dei suoi abitanti che parlano un dialetto talmente incomprensibile ai forestieri da non sembrare di ceppo indoeuropeo. Figlio di un modesto costruttore di case, Antonio (Tone) mentre studia da geometra con profitto (si diploma in fretta) sfoga la sua passione per il calcio, giocando nei ragazzi dell’Atalanta, da cui una domenica fu prelevato e buttato in prima squadra. Aveva 18 anni. Il suo fu un esordio felice. La partita allo stadio Comunale, ora Azzurri d’Italia, contro il Bari terminò 0 a 0. L’avversario diretto del debuttante non toccò palla e il giovincello di Clusone si spalancò le porte al professionismo. Nell’ambiente, pur cambiando club, rimase per alcuni anni con alterne fortune. Parliamoci chiaro. Percassi col pallone tra i piedi non era un fenomeno. Se la cavava perché era intelligente e sapeva stare in campo con autorità. Non aveva una tecnica sopraffina, però la grinta e il senso della posizione non gli mancavano di certo. A un dato momento, nel fiore degli anni (26), si ruppe le scatole di sudare marcando attaccanti, si ritirò prematuramente dall’agonismo e si annidò nell’azienda paterna con l’intento di incrementarne gli affari. La iniziale esperienza dietro la scrivania non fu delle migliori. Ma dagli errori si impara a non commetterne. Egli non sbagliò più un colpo. L’attività di famiglia, grazie all’entusiasmo e alla sagacia di Antonio, crebbe a dismisura, diventando un colosso in ambito edile. A missione compiuta, l’ex difensore non si adagiò nella bambagia, bensì si lanciò in altre imprese che ingigantirono l’impero. I migliori marchi di abbigliamento entrarono nel suo recinto commerciale, idem quelli della cosmesi. La famosa Kiko, per citare un caso, si è sviluppata nelle mani di Antonio. Il quale, mai domo, realizzò il supermercato numero uno d’Europa, l’Orio Center. Sorvoliamo sulle restaurazioni di immobili, le più corrette e affascinanti di Bergamo e provincia: i palazzi e le ville da lui sistemati sono autentici gioielli e hanno suscitato ammirazione. Comunque il capolavoro è stato l’Atalanta, di cui si è preso cura alcuni anni orsono, dopo un esperimento precedente finito né bene né male. Da quando al timone della società c’è lui, i trionfi si succedono a ritmo incalzante» (Vittorio Feltri) • «Se il calcio e l’immobiliare sono l’alfa e l’omega nella vita del Percassi, in mezzo ha inanellato quasi tutte le altre lettere dell’alfabeto. A cominciare dalla “B” di Benetton. Lui racconta che un sabato mattina del ’76 se ne va a spasso a Verona, vede un negozio Benetton pieno di gente, decide di andare a Treviso a trovare Luciano. Sei mesi dopo apre il primo negozio in franchising: seguono altri, a catena» (Roberto Di Caro) • «La sua quota di fortuna a cosa è dovuta? “All’incontro con Luciano Benetton. Avevo 24 anni, facevo il calciatore. Finito l’allenamento non avevo altro da fare e diventavo matto. Al sabato quando eravamo in ritiro in trasferta, invece di andare al cinema con i compagni chiedevo il permesso di fare un giro in centro per vedere i negozi, capire quali andavano per la maggiore. Quelli Benetton erano sempre pieni. Così presi il coraggio e telefonai, mi rispose Luisa Leone, la segretaria. La feci ridere dicendo: sono un giocatore dell’Atalanta che vuole smettere, avrei bisogno di parlare anche solo cinque minuti col signor Luciano. Mi richiamò per fissare l’appuntamento, presi l’auto e corsi a Treviso. Smisi davvero col pallone, scelta che anche allora sembrò stravagante”. Suo padre non disse nulla? “Mio padre era già scomparso quando avevo 20 anni. Morì di venerdì, aveva fatto il minatore e si era preso la silicosi. Il sabato mi chiamò l’Atalanta per chiedermi se me la sentissi di giocare perché si era fatto male un difensore. Risposi di sì e spostammo il funerale. Era un derby col Brescia, perdemmo 1-0”» (a Gigi Riva) • «Guardando nelle pieghe degli investimenti di casa Percassi, negli ultimi anni sono stati lanciati i progetti Womo e Bullfrog per il pubblico maschile; è poi stata comprata, nel 1992, Madina (cosmetica) ed è stata rilevata la catena di negozi di calzature Vergelio Milano. Nel tempo è nata la Percassi Food&Beverage, che sta sviluppando progetti come 30Polenta, Casa Maioli (piadineria) e Caio (ristorazione). Tra i colpi che gli hanno dato maggiore visibilità c’è quello di Starbucks, sbarcato a Milano nel 2018 e sviluppato proprio da Percassi, che si è dedicato anche al business del mattone sviluppando su scala internazionale il marchio Benetton, facendo sbarcare in Italia il colosso spagnolo Zara e portando sul mercato marchi quali Gucci, Levi’s, Nike, Lego, Swatch, Victoria’s Secret. Il gruppo ha un totale di 1.102 negozi sparsi per il mondo con oltre 9.000 dipendenti (dati al 2017) e diversi outlet in portafoglio: l’Orio Center a Orio al Serio, il Sicily Village, il Torino Outlet, l’Antegnate Shopping Center (Bg), il Franciacorta Outlet Village di Rodengo Saiano (Bs), il Valdichiana Outlet Village di Foiano (Ar)» (Sofia Fraschini) • Nel 2013, in una spartizione coi fratelli, è uscito dalla F.lli Percassi (attiva nell’edilizia), e si è preso il 100% di Smalg, cui fanno capo le attività commerciali. Nell’immobiliare era «considerato un “fuoriclasse”. Ha continuato a realizzare e cedere, gestire o progettare un parco commerciale dopo l’altro, principalmente in Lombardia dove ha un buon rapporto con le istituzioni. Da Benetton a Bernardo Caprotti, la libica Lafico, Luca Cordero di Montezemolo e Flavio Briatore nella sua rete di contatti e conoscenze» (Roberta Scagliarini) • Attraverso Odissea srl era entrato in Alitalia con una partecipazione da 15 milioni nella ricapitalizzazione del 2013 • Vicino a Roberto Formigoni, «anche se non può essere definito tout court ciellino» (Cesare Zapperi) • Sei figli (Luca, Stefano, Matteo, Giuliana, Federica e Michael), i primi cinque avuti da un matrimonio ormai concluso, l’ultimo dall’attuale compagna, l’ex modella Sabrina Iencinella • Si prende cura di Maria Carla Morosini, sorella di Piermario e invalida.
Atalanta Dai 17 ai 22 anni fu terzino titolare dell’Atalanta. «Ricordo una partita del ‘72 (30 dicembre, ndr) a Torino. Altafini veniva da quattro partite di fila con gol e toccava a me marcarlo: con le buone e le cattive, con la grinta riuscii a non farlo segnare. Con Altafini non potevo sbagliare: ero povero ma con tanta fame...» (a Filippo Di Chiara) • «“Nel calcio puoi solo sperare di sbagliare il meno possibile. Dalla sera alla mattina vieni smentito. Una società di calcio non è mai solo tua. Di notte, prima di andare a dormire, mi capita di leggere i giornali dell’indomani: dell’Atalanta ne sanno più di me se quel giorno non ho avuto il tempo di sentire i miei collaboratori”. Se è così complicato, perché cimentarsi? “Perché è bello fare felice la gente. Se le cose vanno bene, come per noi nell’ultimo anno, gli appassionati ti sono riconoscenti. Ti fermano per strada per dirti ‘grazie’ con le lacrime agli occhi. E questo non ha prezzo”. A Bergamo si usa dire che è bene finire sui giornali due volte, quando si nasce e quando si muore. Lei è presente ogni giorno. “Non mi piace ma lo devo accettare, fa parte del gioco. I protagonisti sono quelli che vanno in campo. Tu devi solo sperare di soffrire il meno possibile per il risultato. Se vinciamo è una gioia immensa ma passa presto. Perché dal lunedì si comincia a pensare alla partita successiva. Se invece perdiamo, dolore fisico e notte insonne. In famiglia siamo tutti coinvolti nell’Atalanta, ci capiamo senza parlare, cerchiamo di evitare il tema”. Lei in tribuna è sempre solo. “Sì, non voglio nessuno a fianco. La poltrona vicina deve rimanere vuota. Perché fuori cerco di controllarmi, ma dentro sono un vulcano” (…) Lei ha ripreso l’Atalanta nel 2010. Ma era stato presidente già tra il 1990, a 37 anni, e il 1994. Non andò benissimo. Che differenze tra allora e oggi? “L’esperienza. Allora ero solo, non avevo con me la famiglia, i figli erano piccoli. Io faccio da supervisor, permettendo loro anche di sbagliare perché è importante per crescere. Se domattina dovessi scegliere di andare ai Caraibi mi sentirei tranquillo. Luca è l’amministratore delegato dell’Atalanta, ci ha giocato nelle giovanili poi ha passato tre anni al Chelsea. Conosce la materia. Un conto è dipendere dai collaboratori, un altro è avere la famiglia sul pezzo, ci diciamo le cose come stanno e si interviene in tempo reale se ci sono problemi”» (a Gigi Riva) • «Perché ha voluto prendere in mano l’Atalanta? “Una doppia follia...”. Come sarebbe a dire? Si vede che l’Atalanta la rende felice. “È vero, ma voglio spiegarmi: com’è noto, c’è stata una prima e una seconda volta. Ecco perché le chiamo le due mie follie. Ma nel 2010, ragionando con i miei figli, ci siamo detti che era giusto e bello ritornare alla guida dell’Atalanta: siamo animati da vera passione, mio figlio Luca, che gestisce la società, è ancor più appassionato di me. Tutti i miei figli sono impegnati con le rispettive responsabilità e competenze nelle varie imprese del mio gruppo”. Usa gli stessi metodi imprenditoriali per l’Atalanta e per le sue aziende? “Non c’è dubbio. La prima regola è antica ma eternamente valida, almeno per me: il rispetto della parola data. Qui non transigo. Poi c’è l’organizzazione. E i conti economici devono sempre tornare”. Quanto costa l’Atalanta? “Da un milione e mezzo a due al mese”» (a Daniele Dallera e Riccardo Nisoli) • «Con Gian Piero Gasperini allenatore, Percassi ha portato i nerazzurri ai vertici del calcio italiano, per poi affacciarsi in Europa e ora arrivare ad essere protagonisti della Champions League. Un’ impresa raggiunta nel 2019 con la prima storica qualificazione. Nel frattempo, il dirigente nerazzurro che sta rifacendo lo stadio di Bergamo ha portato a casa qualcosa come 180 milioni di euro in plusvalenze grazie alle cessioni dei vari Kessié (venduto a 30 milioni al Milan), Gagliardini (28 milioni all’ Inter), Cristante (25 milioni alla Roma), Conti (24 milioni al Milan), Mancini (15 milioni alla Roma), Caldara (20 milioni alla Juventus), Petagna (13 milioni alla Spal) e Bastoni (31 milioni all’ Inter). E poi il colpo che incorona Percassi quale vero re del calciomercato e della gestione di una società di Serie A: la cessione del gioiellino svedese Dejan Kulusevski, 19 anni, alla Juventus (attualmente è in prestito al Parma; oggi sosterrà le visite mediche a Torino) per 44 milioni, che significa la più grande plusvalenza della storia dei bergamaschi (l’hanno preso nel 2016 dagli svedesi del Brommapojkarna per 200mila euro)» (Alessandro Dell’Orto) • «L’Atalanta di Stromberg e Caniggia sorprese l’Europa, ma il sogno durò poco e si concluse – insieme alla prima presidenza Percassi – con una retrocessione. Questa volta no, questa volta l’Atalanta principesca non tornerà cenerentola a mezzanotte. Merito di Gasperini che ha costruito un gruppo capace di stupire l’Europa. Il resto lo ha fatto proprio Percassi che ha costruito una solida base da società di altissimo livello» (Francesco Perugini) • Da patron dell’Atalanta lanciò un’anagrafe dei tifosi nerazzurri e regalò magliette della squadra a tutti i nuovi nati in otto ospedali di Bergamo • Nel 2011 festeggiò il ritorno in serie A dell’Atalanta indossando una t-shirt con la frase che aveva pronunciato dopo aver acquistato il club appena retrocesso: “Dobbiamo andare in serie A, se no diente matt” (se no divento matto, in bergamasco) • «Lascia lavorare tranquilli, non è legato al risultato immediato ma al metodo. Osserva con equilibrio e parla poco, solo con il diretto interessato, ma ha una carica impressionante. L’ideale per un tecnico» (il giudizio su di lui dell’allenatore Stefano Colantuono).
Vizi «È vero, sono superstizioso, ma io sono innanzitutto molto religioso. Da calciatore all’epoca badavo ai calzettoni, a radere la barba o meno. Da presidente inevitabilmente l’animo del tifoso viene fuori anche nel quotidiano: pochi giorni fa ho comprato un abito nuovo e ho pensato: “Magari lo indosso alla prossima partita, chissà che...”».