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 2021  giugno 09 Mercoledì calendario

Biografia di Carlo Ancelotti

Carlo Ancelotti, nato a Reggiolo (Reggio Emilia) il 10 giugno 1959 (62 anni). Ex calciatore, di ruolo centrocampista. Allenatore. Da calciatore vinse tre scudetti (Roma 1983, Milan 1988, 1992), due coppe dei Campioni (Milan 1989, 1990), due coppe Intercontinentali (Milan 1989, 1990). Con la Nazionale (26 presenze, 1 gol), terzo ai Mondiali del 1990 e agli Europei del 1988. Allenatore del Milan dal novembre 2001 al maggio 2009, ha vinto uno scudetto (2004), due Champions League (2003, 2007), il Mondiale per club (2007). Poi al Chelsea (2009-2011) con cui ha conquistato una Premier League, una Fa Cup e una Community Shield; al Paris Saint-Germain (2011-2013) una Ligue 1; al Real Madrid (2013-2015) una Champions League, un Coppa del mondo per club e una Supercoppa europea; al Bayern Monaco (2016-settembre 2017) una Bundesliga; al Napoli (2018-dicembre 2019) e all’Everton (dicembre 2019-2021). Il 1° giugno 2021 è stato annunciato il suo ritorno alla guida del Real Madrid (contratto triennale). «L’allenatore di calcio è il più bel mestiere del mondo. Peccato che ci siano le partite».
Vita Figlio di Cecilia e Giuseppe, mezzadro: «Ha lavorato una vita, si è spaccato la schiena in campagna. Io ero piccolissimo, ma ricordo quando veniva il padrone a dividere il raccolto. “Questo è mio, questo è tuo”. E divideva come piaceva a lui. Anche con le galline: entrava nel pollaio e si prendeva le più belle, le più grasse. “Voglio questa, quella e quella”. Papà non mi ha mai sgridato e non mi ha mai picchiato. È la verità, nemmeno una volta. E io ero vivace... Non sapeva dove picchiarmi, per lui ero tutto buono. Ero un balocco di carne. Delegava mia madre e diceva: “Picchialo tu, dove prendi prendi”» • Lanciato dal Parma: «È un Parma di serie C, ma con forti ambizioni di crescita. Dopo l’esordio nella stagione 1976-77, e le ventuno presenze (con otto reti) dell’anno successivo, nel 1978-79, Ancelotti è diventato un tassello fondamentale della squadra che cerca un posto ai piani superiori del calcio. In panchina è arrivato Cesare Maldini, che ha intuito le doti di centrocampista di Carletto ma anche il suo fiuto per il gol, e lo schiera come attaccante arretrato alle spalle delle punte di ruolo. Il secondo posto conquistato nel girone A della C1 porta il Parma allo spareggio. A Vicenza, contro la Triestina, il diciannovenne Ancelotti è l’eroe della promozione: sull’1-1 segna la doppietta che regala la Serie B al Parma. Quel giorno, in tribuna al Menti, c’è lo stato maggiore della Roma al completo: il presidente Dino Viola, il tecnico Liedholm, il ds Luciano Moggi. Liedholm vuole a tutti i costi il gioiellino del Parma, ma non è il solo. Le mani avanti le ha messe anche l’Inter, che addirittura lo ha vestito di nerazzurro in un’amichevole contro l’Hertha Berlino. Sembra fatta, ma a Milano temporeggiano e la Roma va avanti. Trattativa estenuante, il presidente del Parma vorrebbe portarsi il campioncino tra i cadetti, ma Viola dà carta bianca a Moggi che spara alto: valutazione un miliardo e mezzo, per l’appena ventenne Ancelotti. Nelle casse del Parma finiscono 750 milioni per la metà del cartellino. Sembra una follia, sarà un colpo vincente» (Marco Tarozzi) • Esordio in Serie A contro il Milan: «Me la facevo sotto. Il Milan era campione d’Italia, io un ragazzo. A un certo punto Bruno Conti fa un cross perfetto, Enrico Albertosi esce e tocca e mette il pallone proprio davanti ai miei piedi. In quel momento ho pensato tutto. Al gol, al giro sotto la curva, ai miei amici al paese. Chiudo gli occhi e tiro la bomba: il pallone sbatte contro la faccia di Albertosi. Finisce zero a zero» • A Roma, oltre a vincere lo scudetto, subì gravi infortuni: il 25 ottobre 1981 un contrasto con Francesco Casagrande, mediano della Fiorentina, gli provocò una distorsione al ginocchio destro con interessamento dei legamenti; avviata la fase di recupero, nel gennaio dell’82 si ruppe nuovamente i crociati, nuova operazione e niente Mondiali (quelli vinti dagli azzurri). Altro infortunio il 4 dicembre 1983, Juventus-Roma, uno scontro con Antonio Cabrini gli distrusse il ginocchio sinistro e lo costrinse ad una lunga inattività che lo tenne fuori dalla corsa giallorossa in coppa Campioni, culminata nella finale persa in casa ai rigori contro il Liverpool. Nell’87, il passaggio al Milan: «La verità è che il compianto Dino Viola, presidente giallorosso, era convinto di avere mollato una bufala al suo giovane collega Silvio Berlusconi. Le ginocchia di Carletto scricchiolavano (“Sono pieno di viti e di bulloni” scherzava lui), i bene informati lo davano già alla frutta... Faceva il capopopolo. Prima di ogni partita aveva un’abitudine bizzarra: con Paolo Maldini, Mauro Tassotti e Filippo Galli preparava uno strano intruglio in un pentolone: Coca-Cola, Polase e zucchero. Lo chiamava “il beverone”. Poi, scolando dal bicchiere quella porcheria, arringava i più giovani compagni: “Queste sono le tre tattiche della partita di oggi: rullo e tamburo, schiacciasassi e tritacarne”. Ogni volta lo stesso stravagante e goliardico rituale» (Alberto Costa) • Iniziò la carriera da allenatore come vice di Sacchi ai Mondiali del 1994 (che l’Italia concluse al secondo posto), nel 1996 portò in A la Reggiana. «Andammo a Pescara ad inizio stagione e ci fecero a pezzi. Federico Giampaolo andava via e segnava da tutte le posizioni. Ricordo che in pullman, la sera, scuotevo la testa e dicevo che era finita, non era il mestiere mio. Per fortuna avevo due collaboratori più esperti che mi dissero di stare calmo, stavamo lavorando benissimo, i risultati sarebbero arrivati. Avevano ragione loro» • Passato al Parma, nel 1997 fu secondo in serie A dietro la Juventus; passato alla Juve, nel 2000 e 2001 fu secondo dietro Lazio e Roma • I dirigenti della Juventus lo esonerarono (aveva un altro anno di contratto) «perché, come dice Riccardo Cocciante, lo consideravano “troppo buono e qui ci vuole un uomo”. Il fatto è che non è affatto buono nella comune accezione calcistica, cioè “pirla”. È una persona perbene, educata e disponibile, tanto da invitare, il giorno dopo il suo licenziamento dalla Juve i giornalisti a casa sua e offrire loro un posto dove raccontare il suo addio e pure generi di conforto. I suoi colleghi avrebbero sciolto i cani» (Roberto Perrone) • «Il mio dogma è: 4 difensori e 3 centrocampisti. Hai più copertura al centro e più varianti in attacco rispetto al 4-4-2, che è più prevedibile. Poi, se usi una o due punte, è meno importante» • Su questo, contrasti con Berlusconi, che diceva: «Due attaccanti sono il punto di partenza, se si vuole fare spettacolo. Gliel’ho ben spiegato, ad Ancelotti. Il mio non è stato un suggerimento, non è stato un diktat, e nemmeno un’uscita goliardica. Quel che ho detto, quello che dico è un’esigenza. Che, fra l’altro, toglie ad Ancelotti un problema non lieve. Ora che giocherà sempre con due punte, quando andrà male potrà sempre difendersi: me l’ha detto il presidente». Questo diktat (febbraio 2004) provocò curiose ricadute politiche: «Ora è il caso che il presidente Berlusconi chieda qualche consiglio politico a Carletto Ancelotti. Forse non sarebbe male» (Ferruccio De Bortoli), «Ancelotti in Parlamento» (Enrico Letta), «Visto quel che sta succedendo da quando c’è Berlusconi al governo non so neppure se basterebbe Ancelotti ministro» (Gianni Rivera) • Sul Chelsea, da cui è stato esonerato nel maggio 2011: «Il difficile non è allenarlo, ma rimanerci. La società non vuole aspettare, i progetti sono stagionali, non a lungo termine. Più in generale l’allenatore di oggi non ha tempo. Il risultato sportivo determina molto quello finanziario, quindi le cose si sono complicate. Ma l’errore clamoroso è giudicare un tecnico solo per i risultati, certi dirigenti non hanno la competenza per andare oltre. Io qui gestisco 50 persone, non solo una squadra» (a Paolo Brusorio) • Sull’esperienza a Napoli, terminata con l’esonero per dissidi con il presidente Aurelio De Laurentiis: «“Sono andato a Napoli perché, dopo nove anni all’estero, avevo voglia di tornare in Italia e Napoli mi sembrava una piazza interessante... Diciamo che non è finita bene, ma è stata una buona esperienza. Vivere a Napoli è una delle più belle cose che possano capitare. Poi un po’ per i risultati, un po’ per altre difficoltà, si è chiuso il rapporto. Io vengo esonerato il 12 dicembre, l’Everton ha mandato via l’allenatore ai primi di dicembre, le cose si sono combinate. Coincidenze. De Laurentiis ha detto: “Ho pensato di cambiare”, io gli ho detto “Sei sicuro?”, lui mi ha detto “Sì”, allora io ho detto: “Ok, allora cerco un’altra squadra”. Non avevo voglia di star fermo e farmi pagare senza lavorare. Allenare in Inghilterra è affascinante, e la società dell’Everton è ambiziosa”. Come fa un allenatore a capire che presto verrà esonerato? “Lo annusi, lo annusi... Nel calcio i segreti non esistono, si sa tutto di tutti. A Napoli si annusava... e che devi fare? Devi prendere atto”. Cosa le ha dato fastidio di questa vicenda? “Mi dà fastidio che, quando le cose non vanno bene, mi dicano “Ah, bisogna usare la frusta, sei troppo buono, sei troppo gentile e accomodante coi giocatori!”. Ma dico: i dirigenti al mondo non conoscono come alleno? Non mi puoi prendere e poi dirmi di cambiare il mio modo non solo di allenare: il mio modo di essere. Perché io sono così, e così sono arrivati i successi. Se tu mi dici ‘Devi usare la frusta!’, è sbagliato, è sbagliato”. È successo solo a Napoli...? “Ma no, è successo anche al Chelsea, è successo al Paris Saint-Germain... Ho vinto tanto, lo so, ma i momenti difficili ci sono stati dappertutto. Anche al Milan ci sono stati dei passaggi difficilissimi. Però superati. Ecco: forse il Milan è stato l’unico posto dove non mi hanno detto: ‘Usa la frusta!’. Perché mi conoscevano”» (a Beppe Severgnini) • È autore della sua biografia, scritta con Alessandro Alciato, Preferisco la coppa. Vita, partite e miracoli di un normale fuoriclasse (Rizzoli 2009) • Nel 2017 ha pubblicato Il leader calmo. Come conquistare menti, cuori e vittorie (Rizzoli), scritto con Chris Brady e Mike Forde • Per un breve periodo è stato opinionista a Sky.
Amori Dal 1983 al 2008 è stato sposato con Luisa Gibellini, morta il 24 maggio 2021 dopo una lunga malattia. Si conobbero quando anche lei giocava a pallone (era stata portiere della Roma, in serie A, e poi del Parma in B). «Spesso era lei che lo accompagnava da casa al campo di Milanello (e ritorno), ma non in auto, bensì in elicottero. Aveva preso infatti il brevetto di pilota nel 1999, a Reggio Emilia, quando Carlo allenava la Juventus. Anche in occasione della famosa partita Perugia-Juventus del 14 maggio 2000, quella del diluvio e della sconfitta che costò lo scudetto a favore della Lazio, fu lei a riportarlo nella loro casa nel Parmense con l’elicottero» (GdS). Hanno avuto due figli: Katia (Roma 18 aprile 1984), nutrizionista, già cantante vista in Amici, e Davide (Parma 22 luglio 1989), laureato in Scienze motorie e preparatore atletico. Entrambi lavorano con il padre. «Com’è lavorare con mio figlio? È bello. Davide è un allenatore con un patentino Uefa A: in Italia, non avrebbe l’età minima, chissà poi perché. Il rapporto tra noi è professionale, ma certamente mio figlio mi dice cose che nessun altro mi dice: anche sulle cazzate che faccio. Il rapporto interpersonale va benissimo. Ma all’esterno questo condiziona molto. Lui porta un peso» (a Servegnini) • Dopo la fine del matrimonio ha avuto una relazione con la giornalista rumena Marina Cretu. Nel 2011, mentre era al Chelsea, ha conosciuto la canadese Mariann Barrena McClay, con la quale si è sposato nel luglio 2014 a Vancouver
Frasi «Da tutti i maestri che ho avuto ho assorbito qualcosa: da Bruno Mora ad allenare la tecnica, da Angelo Benedicto Sormani il tiro in porta, da Liedholm la serenità, da Eriksson la tattica, da Sacchi l’organizzazione di gioco, da Fabio Capello a trarre il meglio dai giocatori» • «Sulla sorte di un allenatore incidono la stampa per il 5 per cento, i tifosi per il 10 e la società per l’85» • «Il Milan è una famiglia e la Juve un’azienda» (nel 2005) • «Sono dei Gemelli e quelli del mio segno hanno doppia personalità» • La frase di testa è il suo motto preferito, ma non ne è lui l’autore: la diceva sempre Liedholm.
Vizi «Mi rilasso in cucina. Non nel senso che cucino: nel senso che mangio». Uno dei suoi piatti preferiti è il bollito • «Carletto non se la tira mai, tranne che a tavola, perché una volta che inizia a mangiare può fermarlo solo l’esorcista. Da quando è diventato allenatore si siede a un tavolo a parte, con un menù a parte, con una capacità di digestione a parte. Mangia, beve, rimangia e ribeve» (Paolo Maldini nella prefazione alla biografia Preferisco la Coppa) • Fumava: «Avevo il ginocchio rotto, ero sul lettino, venticinque anni e tanta tristezza addosso. Il mio compagno di stanza, pure lui con il gambone alzato, disse: “Tu fumi?”. “Ma che, sei matto?, so’ giocatore io”, dissi. “Dai, prendi, è americana”, disse il mio compagno. L’accese con il cerino». Avrebbe poi smesso per onorare la promessa fatta ai figli alla vigilia della finale di Champions League vinta nel 2007 contro il Liverpool • Arrivato a Parigi per allenare il Paris Saint-Germain, si portò il macchinone inglese con il volante a destra («Basta fare il contrario di quello che facevo a Londra») • Superstizioso: «Ha i suoi amuleti, ma che portasse in panchina l’immagine di Padre Pio l’ho scoperto grazie alla Gialappas» (la figlia Katia a Gaia Piccardi) • Tende ad alzare il sopracciglio sinistro. «Se gli si alza vuol dire che c’è qualcosa che lo fa rosicare. Era una caratteristica che aveva già da giocatore. Ha una mimica facciale tutta sua» (Giovanni Galli, compagno di squadra ai tempi del Milan).