17 maggio 2021
Tags : Corrado Ferlaino
Biografia di Corrado Ferlaino
Corrado Ferlaino, nato a Napoli il 18 maggio 1931 (90 anni). Ingegnere. Imprenditore edile. Presidente del Napoli per 33 anni, con brevi interruzioni dal 1969 al 2002. Sotto la sua gestione il Napoli ha vinto gli unici due scudetti della storia (1986-87 e 1989-90), una Coppa Uefa (1988-89), due Coppe Italia (1975-76 e 1986-87) e una Supercoppa italiana (1990). «Per le donne e le macchine ormai sono vecchio. Mi restano Napoli e il calcio».
Vita «Unico figlio maschio di un ricco costruttore napoletano, appassionato di viaggi, auto e belle donne, che corre in pista e ha pure il brevetto di pilota d’aereo. Da bambino era talmente viziato, che per farlo mangiare ci volevano due persone: tale era la voracità del piccolo Corrado che bisognava imboccarlo a raffica, un cucchiaio dopo l’altro. Veramente erano necessarie due persone per farla mangiare? “Certo. Il secondo cucchiaio doveva essere già pronto, quando mi davano il primo: ero velocissimo a ingoiare e una persona sola non avrebbe fatto in tempo a imboccarmi senza farmi aspettare”. Roba di istanti, neanche il tempo di riempire di nuovo il cucchiaio? “Avevo fame e fretta. Il boccone successivo doveva essere immediato, altrimenti piangevo come un pazzo. Così mia madre decise che a darmi da mangiare bisognava essere in due, e il problema si risolse”. Veramente assai viziato. “Mi lasciavano fare quasi tutto quello che volevo, mio padre era sempre pronto a esaudire ogni mio desiderio. Solo una volta, ricordo, riuscii a fargli perdere le staffe sul serio”. Cosa combinò? “Avevo una decina d’anni. Ero un bambino molto goloso, e mi piacevano da morire i gelati. Volevo provarli tutti e con papà andavamo a caccia di nuovi gusti. Una mattina mi portò a Sant’Agata sui Due Golfi, scelsi un cono, lo provai, ma non mi piacque e lo buttai a terra”. E suo padre? “L’unica volta in vita sua che mi diede uno schiaffo. Ci rimasi malissimo, ma nello stesso tempo servì a farmi capire che c’era una soglia di rispetto oltre la quale non era possibile andare”. Un’infanzia felice, a parte quel ceffone? “Spensierata e serena. Quando abitavamo in via Arcoleo, mi regalarono una macchinina a pedali a bordo della quale sfrecciavo sul bel terrazzo del nostro appartamento. E poi grandi passeggiate in villa comunale con la bambinaia. Che bei ricordi...”. Quindi, è cresciuto a via Arcoleo? “Per qualche anno. Papà era un costruttore, e ogni volta che tirava su un palazzo cambiavamo casa”. E perché? “Il nuovo palazzo era sempre migliore del vecchio, e gli appartamenti più accoglienti e spaziosi, quindi vai con i traslochi. Da via Arcoleo ci spostammo a piazza Bernini e poi a piazza Leonardo. Quello del Vomero fu un bel periodo: giocavamo a calcio in strada, passavano pochissime auto e noi ragazzini eravamo i padroni assoluti della zona”. Quante case ha cambiato? “Parecchie. Senza contare che, quando cominciarono i bombardamenti, nel ’42, con mia madre ci trasferimmo a Fermo, nelle Marche, dove lei aveva dei parenti. Siamo rimasti lì un paio d’anni, prima che mio padre decidesse di farci tornare. Un po’ mi dispiacque andar via» (a Maria Chiara Aulisio) • «La prima partita del Napoli che ha visto? “Allo stadio Ascarelli con mio padre. Ero bambino, andavamo al pranzo domenicale dai parenti che vivevano lì vicino e poi alla partita. Allora c’erano dilettantismo e passione”» (ad Alessandro Bocci) • Dopo la maturità scientifica al liceo Vincenzo Cuoco di Napoli, inizia a lavorare nell’azienda del padre e contemporaneamente si dedica all’automobilismo. Partecipa tra l’altro all’edizione del 1959 della Mille Miglia, arrivando quinto, e a quattro edizioni della Targa Florio alla guida della Ferrari Gto (miglior piazzamento quinto posto nel 1964, in coppia con Luigi Taramazzo) • «Ero stato campione italiano di velocità con la Ferrari, avevo vinto la Targa Florio, gare a Monza e su percorsi in salita. In quegli anni lavoravo moltissimo, ero un ingegnere immobiliarista, con mio padre costruimmo interi quartieri della città. Di calcio sapevo poco, avevo giocato a livello dilettantistico ed ero stato squalificato per aver dato un pugno a un arbitro che mi aveva annullato un gol» (a Marco Caiazzo) • Entra nella Società Sportiva Calcio Napoli nel 1967: «Roberto Fiore, il presidente che ha sollevato entusiasmi con l’acquisto di Sivori e Altafini, gli cede una piccola quota azionaria. Ferlaino approfitta della “bagarre” fra Fiore e Achille Lauro per schierarsi dalla parte del vecchio comandante, che lo fa eleggere presidente il 18 gennaio 1969. “Traditore e bugiardo” è l’accusa lanciatagli dall’amareggiato Fiore. La prima stagione presidenziale di Ferlaino si conclude con un dignitoso sesto posto. Corrado si presenta per la prima volta all’hotel Gallia di Milano, all’epoca sede del calcio mercato, polarizzando l’attenzione su di sé. Scortato da una mezza dozzina di persone, affitta per due settimane una lussuosa suite, vola ogni giorno da Milano a Napoli e viceversa per tenere d’occhio i propri affari, offre pranzi e cene. Gli operatori calcistici non lo amano. Lo scomparso Bruno Passalacqua gli urla pubblicamente “buffone” dopo il fallimento della trattativa per il passaggio di Juliano dal Napoli al Milan. “Quando tratto con lui – confessa Giussy Farina, lo spregiudicato ex presidente di Vicenza e Milan – sto sempre con le spalle appoggiate al muro. Non si sa mai”. “Un giorno riuscirò a portare lo scudetto a Napoli” promette Corrado, che per quasi 30 anni si vanterà di aver sempre evitato al Napoli la retrocessione e che confida di considerarsi “l’ultimo dei Borboni”. Soltanto sfiorato nel 1975, in effetti lo scudetto arriva nell’87 e torna tre anni più tardi. È l’epoca di Maradona, il fuoriclasse argentino che soltanto l’ostinazione di Juliano, l’ex capitano diventato manager, riesce a strappare al Barcellona. Ma il vanto di Ferlaino sfuma nel 1998, allorché il Napoli inciampa nella stagione più vergognosa della sua storia, racimolando appena 14 punti e sprofondando in B dopo aver cambiato ben 4 allenatori e tre manager nel corso della stagione. Due campionati e una faticosa promozione targata Novellino. Poi una nuova retrocessione allontana sempre di più i tifosi da Ferlaino, che non è mai riuscito a stabilire un feeling con la città, che denuncia un paio di attentati dinamitardi alla sua bella villa in collina e che deve anche scontare qualche giorno di arresti domiciliari per una storia di tangenti» (Mario Gherarducci) • «Quando la prima volta disse che avrebbe comprato Diego, era una bugia. “Nell’intervallo di Italia-Germania a Zurigo, davanti ai giornalisti, il presidente federale Sordillo mi fa: ma insomma tu chi compri? Non ti rinforzi mai. Eravamo molto amici. E io rispondo: prendo Maradona. Ma era una battuta”. Trentanove giorni dopo, il 30 giugno 1984, Corrado Ferlaino portò davvero a Napoli il numero uno. Era un sabato sera. “Forse lo voleva Dio”, dice adesso l’ingegnere» (Angelo Carotenuto) • «Ma come le venne in mente di puntare a Maradona, 13 miliardi e mezzo di lire, mentre quasi non riuscivate a pagare i dipendenti? “La follia, quando ci sei dentro, mica la vedi. Avevamo davvero seri problemi. Proprio per il bisogno di fare cassa, organizzammo un’amichevole con il Barcellona. Volevamo venisse Maradona. Ci risposero che non stava bene”. Scopriste che in realtà Diego era in rotta con i blaugrana. “E cominciò un film. Un thriller...”. Che culmina nella missione impossibile del 30 giugno ’84. “Oltre alla follia di credere in quel progetto, pesarono alcune coincidenze irripetibili. Era un amico Enzo Scotti, che diventò sindaco Dc di Napoli per cento giorni. Ed avevo ascolto presso l’allora potentissimo presidente del Banco di Napoli, Ventriglia”. Che diede la fideiussione, 9 zeri. “Un sabato. Mi svegliai prestissimo, ottenni i documenti in banca, ma prima che leggessero i giornali: attaccavano l’idea di spendere tanti soldi per un campione. Andai in Lega, depositai una busta vuota. Proseguii, sempre in aereo privato, per Barcellona. Col contratto firmato da Maradona, feci tappa ancora a Milano, a sera: convinsi un vigilante a farmi entrare, al posto di quella vuota depositai la busta con il contratto, tornai a Napoli non so a che ora. La città esplodeva di gioia”» (a Conchita Sannino) • «Maradona mi ha accusato di averlo incatenato a Napoli ed è vero, ma l’ho fatto per il suo bene e per il bene del Napoli, vincemmo due scudetti e una coppa Uefa. Ma c’era anche un contratto da rispettare e che mi dava ragione. Parliamo del doping: dalla domenica sera al mercoledì Diego, come qualcun altro del Napoli, soprattutto calciatori giovani, era libero di fare quel che voleva, ma il giovedì doveva essere pulito, non so se mi spiego. Del resto, basta non assumere cocaina per un certo periodo di tempo perché questa non risulti alle analisi del dopo partita. Moggi, Carmando, il medico sociale chiedevano ai giocatori se erano a posto, allora non sapevo cosa accadeva, però qualche anno dopo sono venuto a conoscenza che si adottava un trucco: se qualcuno era a rischio gli si dava una pompetta contenente l’urina di un altro, l’interessato se la nascondeva nel pantalone della tuta e quando entrava nella stanza dell’antidoping, invece di fare il suo bisognino versava nel contenitore delle analisi l’urina “pulita” del compagno. Nonostante questo, Diego quel giorno del 1991 fu trovato positivo, Moggi gli aveva chiesto se era in condizione e lui rispose: sì lo sono, va tutto bene. Il fatto è che i cocainomani mentiscono a sé stessi. Risultò positivo e quando l’allora presidente Nizzola mi chiamò in via confidenziale per darmi la notizia fu troppo tardi. Insistetti, gli dissi: presidente dimmi cosa posso fare, ma lui rispose: ormai non puoi fare più nulla» (a Toni Iavarone) • È il presidente più longevo nella storia del Napoli. Tra il 1969 e il 2002 si è dimesso per brevi periodi nel 1972 (presidenza affidata all’ingegnere Ettore Sacchi) e nel 1983 (reggente un altro ingegnere, Marino Brancaccio). Nel 1993 ha venduto la società a Ellenio Gallo, ma due anni dopo è tornato a essere il maggior azionista. Nel 2000 ha ceduto la metà delle azioni e la poltrona di presidente a Giorgio Corbelli. Nel 2002 ha venduto il resto delle quote • «Perché ha chiuso col calcio? “Magari stavo facendo l’amore e mi domandavo ‘Chissà che arbitro mi daranno per la prossima partita?’. Era un’ossessione. Meglio lasciare, ma guardo tutto in tv, rigorosamente da solo. Non voglio distrazioni”» (a Bocci) • «Ingegnere, che cosa le manca di quegli anni d’oro? “Certamente la gioventù. E poi il tempo che ho sacrificato. Tutti i sabato sera a cena con i giocatori, sempre riso in bianco e niente vino per dare il buon esempio. Con il mio Napoli avrò avuto dei successi, ma quanti sacrifici...”» (ad Alberto Costa)
• «Adesso il Napoli lo guardo in tv e solo il primo tempo. Ho paura dell’infarto. Il secondo tempo non ha sentenze d’appello. Amo troppo il Napoli e Napoli. Ho provato a vivere fuori. Un periodo a Roma, un altro a Milano, ma la sera ero sempre in compagnia di napoletani. A quel punto meglio tornare a Napoli: ce ne sono di più» (ad Angelo Carotenuto nel 2014) • Ancora oggi ogni giorno va «nel suo ufficio a Palazzo d’Avalos – l’imponente edificio del Cinquecento che ha acquistato trent’anni fa nel cuore della Chiaia nobiliare» (Conchita Sannino) • Nel 2015 ha pubblicato il libro Achille Lauro. Il comandante tradito, scritto con Toni Iavarone (Minerva Edizioni). «Andavo a trovare Achille Lauro in giacca e cravatta e lui era completamente nudo. Immagini l’imbarazzo, mio e soprattutto delle suore che stavano di fronte alla sua villa. Era un nudista e a casa propria ciascuno fa quello che vuole. Comunque. Una volta, erano i miei primi tempi al Napoli, il giornale Il Mattino mi attaccava. Andai a chiedere consiglio e lui mi disse “E che problema c’è, nun t’accattà ‘o Mattino, accattate o’ Roma». Capisce, lui era fatto così. Tutto passa» (a Bocci).
Guai giudiziari Nel 1993 è stato latitante per un giorno e una notte, dopo che la Procura di Napoli, il 25 maggio, emette un’ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti con l’accusa di corruzione: secondo i magistrati titolari dell’inchiesta sulla Tangentopoli napoletana, avrebbe versato una tangente di 400 milioni di lire al parlamentare democristiano Alfredo Vito per assicurarsi i lavori per la bonifica dei Regi Lagni e per la ristrutturazione esterna dello Stadio San Paolo. Il 26 maggio Ferlaino si presenta si al carcere di Poggioreale e confessa tutto ai magistrati, ottenendo gli arresti domiciliari. «Parla, parla per dieci ore filate. Ha elaborato la sua strategia. Non vuole trascorrere neanche un minuto in cella, è disposto a confessare ogni cosa pur di ritornare nella sua lussuosa abitazione al Corso Vittorio Emanuele. Un agente di custodia lo perquisisce, gli sfila la cravatta, prende le impronte digitali. L’imprenditore si sottopone a malincuore al rito delle foto segnaletiche. I secondini gli strappano una promessa: non cedere il calciatore Fonseca al Milan, Ferlaino è d’accordo, ormai dice sì a tutti. Appena comincia l’interrogatorio confessa tutto ciò che sa sull’appalto truffa dei Regi Lagni, una colossale quanto inutile opera di bonifica, costata finora oltre 500 miliardi. Nomi, cifre, importi delle tangenti: Ferlaino è un torrente in piena, spiega di essere un corruttore e non un concusso, costretto a consegnare le bustarelle ai politici: “Ho pagato di mia iniziativa, per lavorare”» (Ottavio Ragone, Rep 27/5/1993) • Nel 2010 è stato condannato a tre anni di reclusione insieme a Giorgio Corbelli con l’accusa di bancarotta fraudolenta per il fallimento del Napoli avvenuto nel 2004. La sentenza, confermata in appello nel 2014, è stata annullata in Cassazione nel 2016 • Nel 2012 è stato indagato dalla Procura di Napoli per una presunta evasione fiscale di 30 milioni di euro attuata attraverso la costituzione di società offshore in Lussemburgo, Inghilterra, Svizzera e alcuni paesi dell’America Latina.
Amori Quattro matrimoni. Cinque figli: Giulio, Tiziana, Luca, Cristiana e Francesca. «Dice che non era socievole, ma con le donne sì visto che ha avuto quattro mogli. “Le donne, vero. Mi sono sempre piaciute e le ho sempre frequentate volentieri. La prima l’ho sposata che aveva solo 17 anni”. E lei quanti? “Solo uno in più. Ci conoscemmo perché papà costruì un palazzo in via Scarlatti e come al solito ci trasferimmo lì. Caso volle che al piano di sotto venisse ad abitare un altro ingegnere, che aveva una giovane e graziosissima figlia con cui feci subito amicizia. Ve la faccio breve: nel giro di qualche mese le chiesi di sposarmi”. La sua prima moglie. “Eravamo talmente giovani che i primi tempi continuammo a vivere ognuno a casa propria”. I suoi genitori come la presero? “Mio padre piuttosto bene. Ero un ragazzo molto vivace, e soprattutto andavo sempre dietro alle ragazze, papà sperava che sposandomi avrei messo la testa a posto”. Non fu così? “No. Diciamo che continuai a fare la mia vita tranquillamente, almeno fino a quando non andammo a vivere insieme. Che vi devo dire? Alle donne non resistevo”. E quindi anche mogli non se ne è fatte mancare. “Ne ho avute quattro: Flora Punzo, Patrizia Sardo che è romana, Patrizia Boldoni, napoletana, e la attuale, Roberta Cassol, milanese come mia madre”» (a Maria Chiara Aulisio).
Vizi Indossa sempre qualcosa di azzurro • Non beve caffè.